Quelle nozze Hitler-Stalin

Quelle nozze Hitler-Stalin INCHIESTA: IL "CALVARIO,, DEL PCI VERSO IL PLURALISMO Quelle nozze Hitler-Stalin I comunisti italiani accolsero il patto di non aggressione russo-tedesco del 1939 con giustificazioni non solo tattiche, ma anche ideologiche: "L'imperialismo anglo-francese è uguale a quello nazista" - L'espulsione di Terracini, Camilla Ravera e Leo Valiani, che dissentivano da quel "matrimonio politico" - Come Togliatti ridimensionò le "fesserie" di Ventotene 111. \_ , «Il patto di non aggressio- | ne tra ITTnione Sovietica e la j Germania segna una svolta nella storia d'Europa e non soltanto d'Europa. Fino a ieri i fascisti tedeschi seguivano una politica estera ostile verso di noi. Oggi però la situazione è cambiata e non siamo più nemici. L'arte politica nella sfera delle relazioni estere non consiste nell'aumentare il numero dei nemici, ma al contrario nel ridurlo ». Cosi, il 31 agosto 1939, Molotov spiega al Soviet supremo le ragioni dell'accordo che pochi giorni prima ha stipulato con Rlbbentrop, rappresentante della Germania nazista. E' il classico fulmine a del sereno. Ancora nel mar- zo. al XV III Congresso del pcus a Mosca, Stalin ha riba- mQ fa neHa di„erenza tra «il blocco dei tre Paesi aggressori» (Germania, Italia e Giappone) e il gruppo di «Stati democratici non aggressori» ile grandi potenze capitalistiche occidentali). Nei mesi seguenti l'Urss ha | [ | | , i I ' insistito presso Gran Breta- \ gna e Francia per giungere a , un patto difensivo di mutua ! assistenza che preveda un ; reciproco, effettivo impegno contro il nazismo ormai dilagante. A Mosca è arrivata (senza troppo entusiasmo, a dire la verità) una mUsione militare anglo-francese. Ma alla metà di agosto il fallimento delle trattative e apparso ormai chiaro (anche per il veto del governo polacco al passaggio di truppe sovietiche nel suo territorio in caso d'invasione tedesca, veto sostenuto dagli inglesi), e l'Vrss si è trovata di fronte a una drammatica alternativa. Convinto che Hitler stia per invadere la Polonia e minacciare direttamente l'Urss. Stalin ha scelto l'unica via che gli consenta di guadagnare tempo. Ma è una scelta difficile da I spiegare agli antifascisti e antinazisti europei, che in tutti questi anni di «fronti popolari» e di alleanze allargate, chiudendo perfino un occhio al cospetto dei processi e delle «purghe» staliniane, hanno visto nell'Unione Sovietica l'unico baluardo contro le odiate dittature di Hitler e Mussolini. La tempesta è inevitabile. L'Unione popolare — costituita all'estero da comunisti, socialisti, uomini di Giustizia e Libertà, repubblicani — entra in rapida crisi. Il suo segretario. Romano Cocchi, condanna aspramente il patto e vorrebbe portare l'organizzazione a fare altrettanto, ma i comunisti — Longo, Sereni. Giuliano Pajetta — reagiscono: l'Unione Sovietica non si tocca. Lo spartiacque del fronte italiano è Pietro Nenni. Il più sconvolto, il più colpito di tutti. E' passato poco più di un anno da quando ha scritto ad Angelo Tasca (lettera del 3 febbraio 1938): «Non consento che la formu- la di "dittatura del proleta rio" sia da abbandonarsi... Né consento con te che la dittatura in Russia debba es sere considerata come esat tamente il contrario di quel che voleva Marx». Sono pas sari plichi mesi da quando, nella primavera, è andato a trovare i volontari reduci dalla Spagna nei campi di concentramento di Argèles sur-Mer e Saint-Cyprien, lan dando una campagna di so- lidarietà tra tutte le forze antifasciste in vista dello scontro ormai vicino. Ora. di fronte al patto russo-tedesco, non può che alzare le mani e dare le dimissioni da segretario del psi. Ma non rinuncia a tentare di ricucire l'unità d'azione spezzata. Condanna quei compagni di partito — come lo stesso Tasca e Modigliani, come molti membri dell'Esecutivo — che propugnano la persecuzione dei comunisti. SuM'Avanti! denuncia il « voltafaccia sovietico ». accusa Stalin di aver rovesciato la sua politica nei confronti di Hitler « senza aver sentito il bisogno di dire una parola alla classe operaia internazionale che è stata cosi interamente abbandonata a se stessa ». ma continua ad implorare i comunisti: « Quel che noi vi chiediamo è di riconoscere che il patto di Mosca non si inserisce nella linea politica che abbiamo insieme difesa e che volevamo assieme rar trionfare. Quello che noi vi chiediamo è di ricreare l'armonia e la continuità del pensiero e dall'azione, anche separandovi su un punto determinato da Mosca... ». Disciplina E' chiedere troppo, in questo momento, agli uomini del pei. Come dice Paolo Spriano, « i comunisti italiani condividono, in ogni caso, la polemica mossa dallTJrss nei confronti dei Paesi occidentali, hanno vissuto l'espe- rienza della Spagna e della Cecoslovacchia. Si aggiunga l'elemento della disciplina, della fiducia riposta in Stalin, della solidarietà di gruppo, più forte nella tempesta ». Purtroppo, c'è anche qual- cosa di più. Non tanto Togliatti. Montagnana e alcuni altri del Centro estero del partito, ma i membri del comitato clandestino confinati a Ventotene si dimostrano, in questa occasione. « più realisti del re » o. se si vuole. « più stalinisti di Stalin ». Non contenti della « ragion di Stato» sbandierata da Molotov, infittiscono di giustificazioni ideologiche il groviglio del patto russo tedesco, giungendo ad affermare in pratica che i due imperialismi (quello tedesco e quello anglo francese) « per noi pari son ». « Una vittoria anglofrancese — si legve ìv un documento del Direttivo ài Ventotene (Scoccìmarro. Secchia. Li Causi. Santhià, Cicalini, Pratolongo) — non significherebbe affatto vittoria della democrazia ». Testimoni, e vittime, di questa intransigenza sono Umberto Terracini e Camilla Ravera. Comunicano il loro dissenso ai compagni di Ventotene, e questi li espellono | dal partito: per la Ravera è I | il primo atto di « insubordinazione ». per Terracini è solo la conclusione di un lungo processo. « Sapevo di essere in bilico, già emarginato — ricorda ora Terracini — ma cosa vuole, quel patto urtava, feriva la mia sensibilità di antifascista e di comunista. Non si poteva accettarlo passivamente, bisognava denunciarlo. Invece i compagni erano accaniti nel sostenere il contrario. Mi dicevano che l'Urss doveva fare la propria guerra di difesa dall'aggressione e non immischiarai in quella .sll'Occi- dente, che era unn guerra tra imperialismi i quali condu- cevano il loro eterno litigioMi sembrava che scherzassero... ». Preciso, minuzioso, il ricordo d'< ^umilia Ravera, oggi una soave vecchietta di 86 anni. « Io sapevo — ci dice — che il Centro estero del partito, e specialmente Togliatti, era vicino alla nostra posizione e considerava il patto russo-tedesco solo un compromesso momentaneo. E cercavo di farlo capire ai compagni di Ventotene. Come potevano non vedere che la vittoria del nazismo a conclusione della guerra avrebbe coinciso con la fascistizzazione dell'Europa, mentre una vittoria anglo-francese avrebbe perlomeno aperto altre strade? Si, era una guerra imperialistica, ma ciò non voleva dire che l'uno e • l'altro gruppo imperialistico in contrasto fossero diventa- ti la stessa cosa, fossero da { porre sullo stesso piano ». Terracini e la Ravera rientreranno nel partito con la Liberazione. «Quando incontrai Togliatti a Torino nel '45 — ricorda lei — mi venne vicino e mi disse: "Scordati le fesserie di Ventotene". Era una conferma alle mie convinzioni speranze ». ane mie |Chi invece si stacca dal partito proprio per il patto russo-tedesco e non vi farà più ritorno, è Leo Valiani. Era già un comunista sui generis, legato al pei « più dalla lotta antifascista ad Ioltranza che dalla dottrina marxista ». angosciato dai dubbi che i processi stali- 'nianf avevano creato in chi Iriusdva ancora a ragionare. 11 patto russo-tedesco pone fine alle sue esitazioni. « Esso provava — ci dice ora Valiani — l'innocenza dei trockisti e del buchariniani, che Stalin aveva massacrati accusandoli di essere agenti della Germania nazista. Era Tm«1Ul' ™al'?- legBrSÌ ad Hitler. Mi sfuggiva cer- tamente, allora, la visione completa della politica estera di Stalin, fino all'ultimo portata avanti sul doppio binario di Francia-Inghilterra da un lato e Germania dall'altro. Ma in ogni caso balzava all'occhio il cinismo del dittatore sovietico nel calunniare i trockisti. quando era stato proprio TrockiJ a prevedere con due anni di anticipo il voltafaccia di Sta- lin e l'approssimarsi di un patto russo-tedesco di "spartizione". Del resto, gli archivi ci confermano oggi che mai vi furono contatti tra trockisti e nazisti ». Ma Valiani non esce immediatamente dal partito. « Subito dopo l'accordo russo-tedesco il governo francese sciolse il pc e cominciò ad arrestare i comunisti ita- liani fuoriusciti. Solo chi sconfessava il patto veniva lasciato in libertà. Ma mi sembrava troppo vile comperare la mia incolumità in quel modo. Mi lasciai arrestare, fui mandato al campo di concentramento del Vernet. Ll, quando il mio atteggiamento non poteva più essere considerato opportunista, espressi ai cornpagni il mio dissenso, la mia opinione che i trockisti era- no stati vittime di mostruo¬ si assassinii e che si imponeva la loro riabilitazione ». Espulso E' espulso. «Quattromila compagni di ogni nazionali chiusi con me in quel campo, mi tolsero da un giorno all'altro il saluto. Me lo restituirono qualche me- se dopo quando, capitolata la Francia. l'Ovra e la Gestapo ispezionarono il campo del Vernet ed offrirono ai detenuti italiani e tedeschi la possibilità di chiedere la liberazione alle autorità dei rispettivi paesi: io. come tutti i comunisti e gli anarcnici rlflutai Ma ormai il contrasto con il partito era insanabile. Nello stesso 1940 Valiani aderiva a Giustizia e Libertà, ove militerà per tutta la Resistenza. « Senza quel dramma, forse sarei rimasto. Ma gli anni dell'immediato dopoguerra mi avrebbero dato nuovi motivi, altrettanto fondamentali, per uscire: Parl° dei Processi stalinia ni di Budapest, Praga, Bucarest, Sofia. Parlo dell'atteggiamento del pei di fronte al dissenso di Tito nel '48. di fronte all'invasione dell'Ungheria nel '56 ». Altre tappe, non mevo dolorose e controverse, del « calvario » del pei verso il pluralismo democratico. Carlo Sartori (Continua) Stalin negli anni della guerra