Grandi purghe e omertà

Grandi purghe e omertà IL " CALVARIO „ DEL PCI DALLO STALINISMO A BERLINGUER Grandi purghe e omertà Quando Stalin dava la creda ai presunti oppositori e sospetti trockisti, la rivista "Lo stato operaio" esultava: "I rettili velenosi debbono essere schiacciati" - Amendola ammette: "Non solo non ero turbato, ero entusiasta per quella durezza che consideravamo sacrosanta" • Tra le maglie della disciplina, la critica costante di Umberto Terracini e di pochi altri dissenzienti - La tragedia dei "compagni" che cercarono in Urss la patria del socialismo e vi trovarono i lager della Siberia II «Dicono che io sia stato il Bastian Contrario del partito comunista italiano. Che sia stato la sua coscienza critica: negli anni generosi di "Ordine Nuovo", in quelli bui dello stalinismo, nei travagli del dopoguerra. Non sono mancate, in effetti, incomprensioni talora inconciliabili con i compagni. Sono stato espulso per il mio dissenso, allo scoppio della guerra. Sono rientrato nel pei, perché è l'unico partito in cui possa concepire di inquadrare utilmente la mia azione politica. Non ho mai detto "mi inchino", ma nessuno può accusarmi di aver qualche volta assunto sterili posizioni frazionistiche. Il partito ha finito per accettarmi così come sono, perché ha capito che era l'unico modo per valorizzare le mie energie e la mia attività». Una storia del «calvario» I del pei — dalla «svoltai) sta; liniuna del '29'30 al pluralismo democratico di Berlin- ! »"cr ~ non P"° dimenticare Umberto Terracini. Ottan- \ \ tun'anni. sessanta di infutl- | cabile vita politica: con I Gramsci Un dagli inizi di "Ordine Nuovo", uno dei fondatori del partito al Congresso di Livorno del '21. in carcere fascista dal '26 al '37. quindi relegato al conlino sino al settembre '43: presidente dell'Assemblea Costituente, Ira i massimi artefici della Costituzione repubblicana, ininterrottamente seuntore comunista dal '4S ad oggi. Nuovo Lenin Le posizioni critiche di Terracini sulla «svolta» sono \ troppo note (specie con la pubblicazione del carteggio clandestino dal carcere) e troppo recentemente dibattute per dover essere ancora una volta riassunte. Ma do- , po' Quale )u il suo atteggia- I mento negli anni dello stali- i nismo più dittatoriale (an- ! che nei confronti dei pc eu- l ropei) e più crudele? «Per me lo stalinismo divenne qualcosa di reale solo quando passai dall'isolamento del 1 no ad allora avevo avuto, col i contagocce, notizie generali: carcere alla convivenza, sia pur limitata, del confino. Fi- ] sull'attività del partito e del- l'Intemazionale Comunista. Al confino, invece, potei cominciare a discutere con i compagni, e dai loro discorsi emergeva chiara una fiducia j cieca, un'adesione fideistica j all'Unione Sovietica e a quel i "nuovo Lenin" che si chia' mava Giuseppe Stalin. Io, che conservavo in me la ma- \ , I i ! l 1 trice gramsciana di "Ordine Nuovo", capii subito che c'era qualcosa che non andava, e — come al solito — non aspettai un sol minuto ad ; esprimere i miei dubbi». Il contrasto fra Terracini e i compagni del Direttivo j clandestino a Ponza e a Ven- | toiene ti luoghi del confino) \ era molto ampio. Nonostante che il VII Congresso dell'Internazionale Comunista, nel luglio del '35, avesse ribaltato alcune tesi di fondo del VI Congresso (crisi mortale del capitalismo socialdemocrazia--fascismo, eccetera) e fosse approdato alla politica dei «fronti popolari», numerosi dirigenti italiani continuavano a pensare come prima, con il «giova¬ i : ] ne» Secchia in testa. «Mi di cevano — ricorda Terracini — che sopravvalutavo la for za del regime fascista e l'au- I torità di Mussolini. Che il ] "fronte popolare" andava be i ne in Francia, ma meno in ! Italia: e io ero un opportuni| sta se pensavo ad un'alleanza antifascista che comprendesse anche cattolici e liberali. Erano incrollabilmente | convinti che il capitalismo, i momentaneamente riasse| statosi, fosse ancora vicino I alla crisi mortale, avesse ormai scavato la sua fossa... ». Il discorso resta un momento sospeso. Poi: «Sì, oggi sembrano espressioni ridicole. Ma allora i compagni ci ! credevano... facevano parte i di un loro vocabolario agita' torio e appassionato, e trovavano terreno fertilissimo ! nel monolitismi disciplinare 1 del partito...». /Incora una pausa. Ma è un attimo: «Cer- to, il monolitismo — riprende Terracini — è stato una delle grandi forze del pei: era difficile allora trovare un compagno che contestasse la linea ufficiale del partito. Non dico che il monoliti- i smo sia stato anche una del- |le sue debolezze, perché tutto sommato non ha avuto conseguenze catastrofiche... Ma certo è pensabile che una politica seguita con con I sapevolezza della sua natura ; i e del suo contenuto sarebbe | stata più utile di una politij ca seguita per pura discipli] na». Dalle pagine della sua rei cente «Intervista sull'antifa- |il seismo», Giorgio Amendola con/uta questa interpretazione di Terracini e cita un episodio di "dissenso" che lo ri- guardò personalmente (nel l'ottobre del '33). per dimo strare che «anche in quel pe riodo il partito comunista aveva una discussione interna». «Non bisogna vedere — rico Paolo Spriano. autore della monumentale « Storia del partito comunista italia- dice Amendola — il pei come un blocco monolitico. Bisogna invece vedere il pei e l'Internazionale nel vivo di una lotta che esisteva sempre al loro interno ». Avvalora questa tesi anche lo sto- no » (uscita in 5 volumi da Einaudi). Ma al di là e al di sopra nare. dettato dall'incrollabile fede sovietica. La «cartina di tornasole» di tutto ciò è costituita dalla reazione del pc italiano all'ondala montante dei processi, delle purghe e delle repressioni di Stalin in Urss. Per pochi che si staccano dal partito (come Altiero Spinelli, nel '37), la grande maggioranza accet tu il fatto compiuto. del dibattito, restava il «ver- bo» staliniano e si imprime- va l'adeguamento discipli- Qll t Quella tempra Scrìsse Secchia: « Fummo colpiti, amareggiati, discutemmo vivacemente, anche. Certe cose sembravano inverosimili, assurde, incredibili. Ma prevalse sempre in noi la fiducia nel partito. nell'Intemazionale Comunista, nell'Unione Sovietica». Amendola, oggi, va ancora più in là ed ammette: «Non solo non ero turbato, ma ero entusiasta: perché davanti allo sfasciume delle democrazie occidentali e alla sicurezza del prossimo intervento nazista, trovavo un punto di riferimer o sicuro nella "tempra d'acciaio", come dicevamo, zlvcsvdi Stalin, nella sua durezza, i che consideravamo sacrosanta, e nel richiamo costante al grande esempio del Terrore francese». Dal Centro Estero del partito giungevano, del resto, ordini ideologici ben precisi. | Dopo il primo processo con- tro Ztnoviev e Kamenev (estate del '36), «Lo stato ì operaio» pubblicò un edito- i riale dal titolo: «I rettili velenosi debbono essere ; schiacciati!». «La classe ope- raia del mondo intero — | scriveva l'editorialista, forse Togliatti — ha compreso che il verdetto di Mosca era nei cessano e giusto. L'Urss è l un grande Paese dove il socialismo ha vinto dove la ■ più alta democrazin fiorisce, dove il benessere delle masse aumenta di giorno in gior! no... I comunisti italiani e il j proletariato rivoluzionario del nostro Paese sono solidaj li con gli operai, i colcosiani e il popo>o sovietici, e assieme ad essi si stringono attorno ai dirigenti del Partito Comunista dell'Urss ed al grande e amato compagno Stalin, capo intelligente e saggio del proletariato mondiale». Il cupo intelligente e saggio del proletariato mondiale era solo all'inizio della sua avventura di follia e di\ ferocia: in due anni, dei quasi duemila delegati che ave- \ vano partecipato al XVII \ Congresso del pcus nel 1934, ! oltre mille furono arrestati: dei membri del comitato centrale eletti allo stesso congresso, dieci furono eli- : minati nel '36, 98 arrestati e \ uccisi anch'essi per la mag- \ gior parte nel '37'38. Ma all'indomani del famoso prò- ; cesso contro il cosiddetto \ «Centro parallelo trockista» (il secondo dei grandi prò- j cessi staliniani, apertosi il 23 gennaio del '37). Giuseppe Berti ammoniva ancora una volta i compugni italiani (su « Lo stato operaio » del febbraio successivo): «Ricordate. A proposito del processo Zinoviev la Pravda scriveva: "I morti politici si distinguono da quelli comuni Der il fatto che non viene loro tolta la possibilità di appestare l'atmosfera e di fare del danno ". E adesso, dopo il secondo processo, adesso che il piar.o mostruoso di questi banditi appare in tutto il suo orrore, noi dobbiamo concludere che non bisogna ] più nemmeno per un minuto I dare a questi morti politici | che. oggi, prendono vita nel- , Ir vesti dì agenti di Hitler, la i possibilità di ammorbare j l'atmosfera e di fare del dan- no. Bisogna che questi morti politici diventino dei morti comuni». Perché questa adesione fideistica? «Non si scordi — sostiene Spriano — che allora il prestigio dell'Unione Sovietica era più alto che mai, che la fiducia riposta in essa e nel suo capo era assoluta da parte dei comunisti, i quali vedevano oltretutto nelle posizioni anti-unitarie assunte dal trockismo in Francia e in Spagna la convalida migliore, al di là della attendibilità di questa o quella accusa processuale, della necessità di combattere il trockismo non meno aspramente del fascismo». II terrore staliniano lascia come tracce non soltanto i j cadaveri degli oppositori, ve- ri o presunti. Di pari passo j con esso, si va introducendo nella vita di tutti i partiti comunisti qualcosa di più grave del dogmatismo e dell'intolleranza che caratterizzarono la svolta del '29-'30. qualcosa che è in contraddizione con il vento innovatore dei fronti popolari, dell'uni- tà antifascista, della piatta- forma democratica ora con- divisa da socialisti e comuni- sti. «E quella tal cosa — dice Spriano — è l'atmosfera di inquisizione e di sospetto che penetra nelle varie "se- zioni nazionali", circola nelle loro direzioni, provoca nuo- ve lacerazioni e conflitti. La componente poliziesca, la paura, il linciaggio morale. si trasferiscono dai casi de- gli ex oppositori russi, tutti via via condannati, a quelli tore noti, ora passati sotto un cupo silenzio) dei diri- genti di partiti esteri e di centinaia di quadri internazionali che vivono in Urss. La caccia al trocklsta nascosto diventa la caccia alle streghe nel 1037 e nel 1938». Si compie così un crudele «contrappasso»: numerosi compagni che sono fuggiti dal fascismo e dal nazismo, o che sono emigrati in Unione Sovietica alla ricerca della vagheggiata «patria del socialismo», vi trovano la più spietata repressione e pagano con anni di lager in Siberia — taluni con la morte — la loro cieca fiducia. Quanti furono gli italiani che ebbero questa sorte? Si parla di qualche centinaio, si ricordano alcuni nomi: Vincenzo Baccalà. Bruno Rossi, Giuseppe Rimola. Edmondo Peluso. Sopravvissuto Qualche giorno fa. in casa di Alfonso Leonetti. abbiamo incontrato uno dei soprav vissuti. Si chiama Dante Cor neli, è un proletario origina- briccini. L'ultimo, «Vorku ta». parla proprio di quel «mondo esecrato da Dio e dagli uomini, sconosciuto a quasi tutti gli abitanti di rio di Tivoli, ha trascorso quasi vent'anni nel lager di Vorkuta, estremo Nord della Siberia. E' silenzioso, sembra sempre che guardi lontano. Sulla sua tragedia personale ha scritto numerosi li- questa terra», dove fu mandato nel 1936 perché riconosciuto colpevole di «attività controrivoluzionaria trocki sta». Scrire per un impegno preso con se stesso e con i compagni più sventurati: «Chi ce la farà deve raccon tare, deve far sapere la vita infernale vissuta e la fine che molti di noi hanno fat to». Un impegno importante. da portare avanti sino in fondo senza falsi pudori: perché nella storia — come dice Amendola — non si possono lasciare dei buchi. Carlo Sartori (2. continua. Il precedente articolo è uscito lunedi 15 marzo >