Le riforme in conserva

Le riforme in conserva INCHIESTA: COMPRAVAMO (E AVREMMO POTUTO ESSERE) Le riforme in conserva Dal triennio 1945-48 furono accantonate non solo le scarse velleità rivoluzionarie, ma anche molte energie innovatrici Alla "democrazia progressiva" si è sostituita una "restaurazione progressiva" che ha portato all'immobilismo politico e alla corruzione del potere - Le lontane radici degli scandali di oggi: sottogoverno, clientelismo e sprechi del denaro pubblico SI conclude l'Inchiesta di Carlo Sartori sulla « svolta » del triennio '45-'48. Le due puntate precedenti sono state pubblicate lunedi 23 febbraio e lunedi 1" marzo. «La tragica fine della repubblica cecoslovacca ha scosso tutto il mondo civile. Ora la pressione comunista viene esercitata sulla Finlandia e si riflette sull'intera penisola scandinava. La Grecia è sottoposta ad attacchi militari diretti da parte di ribelli che sono appoggiati attivamente dai Paesi vicini , dominati dai comunisti. In i 1 .,„,,„ . _, Italia una minoranza comu- nista sta compiendo uno sforzo risoluto ed aggressivo per prendere il controllo del Paese. I metodi cambiano, ma lo schema è fin troppo chiaro». Con queste parole Harry Truman lanciava, il 17 mar- l *> » accorato ap- ! Pello «per la salvezza del ] l'Europa dal comunismo». La drammaticità delle . espressioni era tale da meri- { \ i tarsi la prima pagina di tutti i giornali, ma in realtà si trattava soltanto di una nuo- { va tappa della famosa «duitrina» che il presidente degli Stati Uniti aveva enunciato giusto un anno prima lil 12 marzo del '47), trasformando di fatto l'America in una potenza mediterranea e dan- \ do alla strategia di «contenimento» del comunismo (poi codificata da George Kennan in un famoso saggio) un carattere ideologico e globale. Intervento Usa Sono proprio i mesi della primavera del '47 quelli in cui l'atteggiamento degli Stati Uniti verso l'Italia compie «una rapida e profonda evoluzione». Fino a quel momento il governo americano — a differenza dell'altro «tutore» dell'Italia, la Gran Bretagna — non aveva avuto le idee molto chiare: solo una gran paura degli «spettri» del «comunismo», deH'«anarchismo», del «sov¬ versivismo», e una naturale inclinazione verso le forze anticomuniste o sedicenti tali, ovunque si annidassero. j «Dalla primavera del '47, invece — dice Antonio Gambino — gli Stati Uniti prendono l'iniziativa di studiare i metodi per migliorare la situazione economica e le condizioni di sicurezza interna, pongono il veto ad ogni idea di un rapido ritiro delle truppe anglo-americane, si preoccupano anzi di rafforzare con vendite di armi moderne, "a un costo nominale", l'esercito italiano». E non c'è solo questo. 1 documenti segreti recentemente «liberati» dagli archivi del Dipartimento di Stato (e pubblicati nel libro «Gli americani in Italia», di Faenza e Fini) svelano quali copiosi contributi l'ambasciatore americano sollecitava a Washington per De Gasperi e la de. per i socialisti scissionisti, per alcuni rappresentanti sindacali in funzione anticomunista. E proprio I j in quel tempo l'ambasciata Usa a Roma diventa, per molti uomini politici italiani, un punto di riferimento costante: nella primavera del '47 sfila a cena, a casa del rappresentante economico Henry Tasca o del professor Adams, il fior fiore dell'anticomunismo (scoperto o nascosto), da Pacciàrdi a La Malfa, da Pastore a Bonomi, da Merzagora a Fani ani. Spesso, in quelle cene, i nostri politici, smaniosi di ben figurare, provocano negli attenti interlocutori la sensazione esattamente opposta a quella desiderata. Come Fanfani, ad esempio. Leggiamo che cosa scrìve di lui John Adams. nel dispaccio 86500/6-2747 inviato al Dipartimento di Stato all'indomani dell'incontro: «Amintore Fanfani è un uomo piccolo, allegro, presuntuoso... Vi sono state voci contraddittorie circa la sua posizione politica, se cioè sia di sinistra, di destra o di centro... Durante la conversazione, ha espresso numerose opinioni prive di senso: ma è probabile che tali opinioni fossero il risultato di una mentalità che pretende di avere una risposta pronta a tutte le domande, piutto sto che di convinzioni reali... Secondo lui, ad esempio, la ragione per cui la percentua le di figli illegittimi è più alta a Ferrara che in qualsiasi altro posto dipenderebbe dal fatto che a Ferrara c'è una forte concentrazione di ebrei...». Afa le brutte figure di qualcuno non incrinano il di segno generale. Non sono ancora passati due mesi dall'enunciazione della «dottrina Truman» e dalla svolta nelle attenzioni degli Stati Uniti in Italia, che De Gasperi provoca la crisi di governo, estromette i socialcomunisti e liquida definitivamente l'ipotesi di «democrazia progressiva» vagheggiata da Togliatti. Alcuni storici attribuiscono all'intervento americano (quello scoperto del piano Marshall e quello segreto dei finanziamenti anticomunisti) il peso principale in questi eventi del maggio '47. Ma non tutti sono d'accordo: «Le scelte - chiave sul terreno politico • istituzionale ed economico — dice Gambino — erano state compiute ben prima, dalle forze interne: al punto che il governo Parri dell'estate - autunno del '45 appariva già un governo "anacronistico", più avanzato di quelle che erano le realtà politiche del Paese. E difatti Parri era guardato con sospetto dai funzionari statali e dalla stessa magistratura, ignorato dalla grande industria. Alle sue spalle agiva invece un governo segreto di fatto, il cui capo riconosciuto era De Gasperi». Niente di nuovo, dunque, quando De Gasperi assume formalmente — nel dicembre '45 — la carica di primo ministro. E tantomeno niente di nuovo quando — nel maggio '47 — estromette i socialcomunisti dal governo. Certo, non si può negare che la «restaurazione progressiva» degasperiana come risposta alla «democrazia progressiva» togliattiana, si era mossa prima dì quel maggio '47. Ma non si può neppure dimenticare che la fine del tripartito e la for- mozione del quarto governo De Gasperi segnano anche il definitivo avallo della «linea liberistica» di Einaudi, il quale — fino ad allora governatore della Banca d'ItaHa — diventa vice-primo ministro e ministro del Bllan- ciò. Da quel momento il «disegno di ricostruzione capitalistica» appare nella sua completezza; da quel momento — è la tesi di nume- rosi storici dell'economia — la linea della Confindustria è davvero vincente, sia sul pia- no della politica finanziaria, sia sul piano della battaglia sindacale. Ed ecco apparire — come nota Federico Caffé — «la frattura tra l'ampia partecipazione popolare allo sforzo di sollevamento civile del Paese e ii successivo prevalere di una politica economica tutta tesa verso i ceti medi». / giochi sono fatti. I conti tornano. Tutti i dispersi fili (politica, economia, istituzioni) si rannodano nelle stesse mani. E' avvenuto quanto temeva Ignazio Silone dicendo: «Ricordatevi che le energie rivoluzionarie non si possono mettere in conserva come le prugne, col pensieio di servirsene più tardi, quando saranno stagionate». Oli italiani — e lo si è visto nel corso di tutta questa inchiesta — hanno messo in conserva non solo le (già scarse) energie rivoluzionarie, ma anche le (più abbondanti) energie riformistiche. In breve, con una rapidità quasi da «golpe bianco», lo Stato «ha assorbito — come dice Valtani — la rivoluzione antifascista ed è tornato conservatore». Non sono passati ancora tre anni dalla fine della guerra che De Gasperi può affermare: «La nostra democrazia si riassume in una specie di potere delegato, esercitato da ristrettissimi gruppi politici». Gruppi ristretti Frase profetica, anche. Con l'instaurazione del regime de, infatti, non soltanto l'Italia aveva un partito conservatore in grado di ottenere il consenso delle masse senza dover sovvertire l'ordinamento politico e sociale; non soltanto — come sostiene Carocci — «diventava possibile un disegno reazionario in grado di usare e di to e al di là di tutto questo, si ponevano le basi del «sordo immobilismo» che ha caratterizzato la classe politica italiana degli ultimi trent'anni. I «ristrettissimi gruppi» di cui parlava De Gasperi sarebbero divenuti sempre più ristretti, fino ad identificarsi con gli inamovibili «baroni» della Democrazia Cristiana ie dei parliti ad essa vicini) e con i toro uomini di fiducia: tutti personaggi di un gioco di potere alle spalle, e sulle spalle, degli italiani. Padroneggiare la soyversio ne e 1 °PP<»izione». Al di sot Oggi ci indigniamo degli scandali che travolgono il nostro mondo politico. Non ce ne stupiamo, però. Storici e politologi sono concordi neliaffermare che questo modo di condurre la cosa pubblica era già «scritto» nel destino dell'Italia che usciva dal triennio di battaglie perdute del '45-47 e dalla sua naturale conclusione, le elezioni del 18 aprile 1948. Fu allora che il «Paese reale» si scollò inesorabilmente dal «Paese politico». Se, nei primi mesi del dopoguerra, la storia d'Italia l'avevano fatta anche gli ex partigiani, le masse in sciopero, gli operai nei consigli di gestione delle fabbriche, da quel momento la mediazione dei politici e le trame dei partiti (spesso indifferenti alle reali esigenze della nazione) assumevano un rilievo fondamentale: al punto che si faranno e si distruggeranno governi per gli accordi, le beghe, i capricci di questo o di quel personaggio, di questo o di quel gruppo; si alimenteranno il sottogoverno, il clientelismo, la comizioI ne; si finamieranno gli spre\ chi pubblici in nome di ri| forme mai attuate; si inqui; neranno tutte le strutture dello Stato, si paralizzeranj no il fisco e la magistratura; | si lasceranno crescere le più \ macroscopiche ingiustizie . sociali, all'ombra della mistificazione consumistica. La : svolta di quegli anni cruciali i si farà dunque sentire in hit| to il trentennio della Re' pubblica. Ma purtroppo nel | senso opposto a quello che I avremmo voluto e sperato. Carlo Sartori (3. fine)