Genova tra fallimenti arresti e difficoltà di Paolo Lingua

Genova tra fallimenti arresti e difficoltà Franca Fassio e Luciano Vaccari in carcere Genova tra fallimenti arresti e difficoltà Gli episodi clamorosi della "Villain Fassio" e della "Ceramica ligure" sono gli aspetti più vistosi della crisi locale - Grandi imprese hanno lasciato la città per impiantarsi in territori più adatti - In dieci anni persi cinquantamila posti di lavoro /Dal nostro corrispondente) Genova. 29 aprile. L'arresto, nel giro di 24 ore, di Franca Tomellini Fassio e di Luciano Vaccari. sotto il medesimo capo di imputazione — bancarotta fraudolenta, in seguito a fallimento delle aziende di cui erano a capo — ha riaperto il discorso doloroso della crisi economica di Genova. Il fallimento della «Ceramica Ligure Vaccari» ri. sale al 1972: le responsabilità penali dei suoi dirigenti sono emerse soltanto nelle scorse settimane, in coincidenza con il sostanziale «salvataggio» della azienda, tramite la Gepi. La nuova società, che si chiama «Eta-Geri» sta attraversando un periodo di difficile decollo: ci sono molte speranze e soprattutto molta buona volontà, ma l'avvenire non è roseo. Per l'ormai ex gruppo «Fassio» invece si brancola ancora nel buio anche se si parla, in via ufficiosa, delle prime timide offerte: 11 miliardi per la portacontainers « Atlantica», ferma da ieri nel porto di Genova e poi una ridda di «voci» per quel che riguarda le due società di assicurazione «Levante» ed «Europa», con ipotesi di offerta sconcertanti (non verificate, né ufficializzate) che vanno da minimi di quattro-cinque miliardi, sino a «tetti» di quindici-diciotto. Comunque è eerto che le attività sostitutive o subentranti pai tono da un'ottica e soprattutto da una strategia puramente speculative e comunque con prospettive «riduttive», rispetto tù passato. Per certi aspetti le due aziende finite nel vortice del fallimento e dell'azione penale sono emblematiche per una città come Genova che, alla fine della seconda guerra mondiale, era una città che disponeva d'una robusta struttura di medie aziende di quelle sul migliaio di dipendenti tanto per dare una indicazione statistica (il gruppo Fassio aveva circa 900 dipendenti e la «Vaccari» 1100). In trent'anni, ma soprattutto dal 1960 ad oggi, queste industrie sono praticamente scomparse, cosi come sono emigrati numerosi centri direzionali. Tutto ciò per differenti mo tivi: la Mira Lanza dieci anni fa ha trasferito gli zuccherifici di Cornigliano per portarli vicino ai centri di coltivazione delle barbabietole; la «Esse» e la «Mobil» si sono trasferite a Roma per motivi ai politica aziendale. La «Shell» dopo la sua «italianizzazione» è stata degredata a «terminale» provinciale dell'Agip. L'Èridania è sul punto di lasciare la città. Accanto a questa «depauperazione» dovuta a scelte manageriali e strategiche, ci so no stati i drammi dell'im prenditoria locale. La chiusura delle ferriere «Bruzzo», del saponificio «Asborno», della «Foroni Lo Faro», e, alla metà degli Anni Cinquanta, il fallimento clamoroso del Banco De Cavi, la ristrutturazione, sovente dolorosa, delle aziende di Stato, clamorosa quello dell'Italcantieri, sino al recente fallimento della Mani mut e alle chiusure della «Torrington» e d'una fascia di piccole aziende vassalle dei mastodonti dell'Iri. Attualmente a Genova l'unica azienda privata in condizioni di floridezza, anche se destinata, almeno per il piano regolatore approvato alcuni giorni fa, ad uscire dalla cerchia urbana, resta la raffineria «Garrone», con i suoi circa 900 dipendenti. L'imprenditoria privata per 11 resto è frammentata e dispersa, gracile anche sul piano delle prospettive. Genova ha perduto oltre 50 mila posti di lavoro negli ultimi dieci anni (sono statistiche ufficiali), cosi come è scesa da 850 mila abitanti del 1968 agli 802 mila al 31 dicembre del 1975. Sono cifre eloquenti: i «centri» economici, almeno sul piano occupazionale, sono ridotti a quattro: il porto, con circa 20 mila addetti nei diversi settori, l'Italsider, con 12 mila dipendenti, il gruppo Ansaldo con poco più di 8 mila, poi c'è l'amministrazione comunale con circa otto mila. Si tratta d'un dominio incontrastato del settore pubblico con una politica economica impostata, anche in considerazione dell'attuale crisi generale, su criteri di gestione e non di investimento, in pratica su una difesa «politica» dei livelli occupazionali. Del resto la Camera di com mmercio ha recentemente rile-vato che gli investimenti nel settore produttivo a Genova, negli ultimi dieci anni sono stati praticamente nulli. Il che significa che gli impianti esistenti sono al limite dell'obsolescenza e che, per gli anni avvenire, si prevedono soltanto altre chiusure se non addirittura drammatici «crack», simili a quelli di Fassio e di Vaccari. Che connotati ha ormai l'imprenditore ligure? Forse sarebbe meglio ribaltare la domanda e chiedersi quali connotati ha perduto l'irti- prenditore ligure. Il primo, senza dubbio, è la diffidenza nei confronti dello Stato-imprenditore, idiosincrasia che è caduta sino all'estremo opposto di una corsa alla «ta talizzazione». La stessa signora Fassio ha commesso il più grave dei suoi molti «passi falsi» proprio nel tentativo di farsi «assorbire» da un ente u partecipazione statale. Una politica, sia pure sul piano diverso d'una abile «partnership», che è sempre riuscita al disinvolto Glauco Lolli Ghetti e alla quale s'è recentemente convertito anche l'ultimo caposaldo «liberista» della città. Angelo Costa, costretto da una serie di necessità certamente di carattere generale e congiunturale, ma anche da spinte di cambiamento che vengono dall'interno del suo gruppo. Quali prospettive dunque si aprono per la città e per il suo hinterland? L'apertura di Suez compirà il «miracolo» di rilanciare la Genova «anseati ca» dei traffici del medioevo ed industriale della seconda metà dell'Ottocento? Sembra difficile che per la città di profili la «terza età». Le battaglie per la chiusura delle industrie si sono trasformate quasi sempre, in questo decennio, in rotte cla¬ morose o in ritirate strategiche. La classe imprenditoriale è abbattuta e sfiduciata. Un solo salvataggio è riuscito felicemente: l'assorbimento della «Elah» ( oltre 400 dipendenti) da un gruppo internazionale americano alla genovesissima «Dufour», avvenuto l'anno scorso. Forse non è un caso: l'industria alimentare e dolciaria, come tutte le attività «bianche» si addice alla configurazione socio-economica della città, che non regge più l'industria «pesante». E' un'indicazione? Occorre però un nuovo spirito ed una «nuova classe». Paolo Lingua

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