Le donne dimezzate di Vittorio Gorresio

Le donne dimezzate LA CHIESA E LA RIVOLUZIONE FEMMINISTA Le donne dimezzate La tradizione ecclesiastica è misogina, dai duri moniti di san Paolo a recenti affermazioni di prelati e teologi - Persino nel Concilio Vaticano II ci fu battaglia prima d'ammettere ai lavori pochissime "auditrici" « Notiamo un pregiudizio che tende sempre più a diffondersi: alludiamo alla pretesa uguaglianza dei sessi, secondo cui non dovrebbe sussistere alcuna differenza di vita, di attività, di lavoro, di costumi, ecc., fra l'uomo e la donna. Questa uguaglianza è puramente utopistica, giacché non ha alcun fondamento biologico e tende solo ad assicurare piena indipendenza economica e sociale alla donna: tant'è vero che costei, dopo aver raggiunto una siffatta emancipazione, è sempre pronta a far valere le millenarie prerogative acquistate in virtù della sua appartenenza al sesso debole ». Questo mirabile squarcio di prosa è del professor Carlo Rizzo, libero docente di clinica delle malattie nervose e mentali dell'università di Roma, e si trova alla pagina 1043 del Dizionario di teologia morale pubblicato a cura della editrice « Studium » sotto la direzione del cardinale Francesco Roberti nel 1954, essendone segretario di redazione monsignor Pietro Pnlazzini. attualmente cardinale anche lui. La citazione mi sembra appropriata, nel senso che se lo Stato italiano avesse mai avuto a dimostrare una certa tendenza a seguire gli insegnamenti della Chiesa a riguardo della condizione della donna in Italia, ne sarebbe stato certamente indotto ad un atteggiamento che non è ingiusto definire illiberale. Anzi, l'esortazione congiunta dei cardinali Roberti e Palazzini Ipag. 1246). sotto la voce « Sessualità » arrivava a formulare una precisa raccomandazione ai nostii legislatori: « Dovrebbe essere cura dei governanti ridurre gradualmente la corsa delle donne agli impieghi, migliorando la retribuzione degli uomini e favorendo in varia guisa il ritorno delle donne al loro naturale ambiente domestico, per ii quale sono state create ». Sociologicamcnte parlando, simili posizioni sono esemplari, e possono spiegare l'atteggiamento talvolta feroce delle donne femministe nei confronti della Chiesa. Questa difatti non ammette a parità» fra i sessi, ma tutt'al più si limita a parlare di una « dignità » delle donne, in nome della quale Paolo VI ha ritenuto di non potersi esimere da una comprensiva sollecitudine per talune loro rivendicazioni, per esempio ammettendone una rappresentanza ad assistere ai lavori del Concilio ecumenico Vaticano 11. Potrà sembrare poco, ma era un progresso notevole se si tiene conto del punto di partenza, stabilito ir, dottrina da san Paolo: « Mulieres in ecelesiis taceant », tacciano le donne nelle Chiese. « Non enim permittitur eis loqui. sed subditas esse, sicut et lex dicit », infatti non bisogna lasciarle parlare, ma tenerle soggette, come dice anche la legge tè scritto nel libro della Genesi, ///, 16, che Dio disse alla donna: sarai sotto la potestà del marito, ed egli ti dominerà/. « Si quid autem volunt discere — continuava san Paolo nella sua prima Lettera ai \ Corinzi. XIV. 34-35 — domi i viros suos interrogant; turpe | est enim mulieri loqui in ec| desia », e se poi proprio voì gliono imparare qualcosa, si i rivolgano ai loro mariti, a l casa, perché è indecente che , una donna parli in Chiesa. Fatta la debita parte alle I concezioni socia/i correnti al tempo di san Paolo, è in- i negabile che l'alto e il basso ' ciero siano rimasti misogini j attraverso i secoli, o perché impersonassero nella donna il peccato, o perché difjidas- ' sero della sua diversa forma di morale, mentalità, intelligenza. Nei giorni del Concilio, il vescovo ausiliare di Lione, monsignor Al- ! fred Ancel. dette una testimonianza molto indicativa al riguardo, ricordando che nei seminari come nelle diocesi sempre fu d'uso mette- 1 re in guardia contro le donne: « Attenzione alle donne, si continua a dire, mentre piuttosto è da insegnare al prete come egli debba comportarsi con loro ». : Quanto l'insegnamento fosse necessario si vide fino dai primissimi giorni del Concilio. Discutendosi di ri/orme liturgiche, un vescovo si oppose a che la comunione fosse impartita nelle due specie del pane e del vino. I allegando l'argomento, un ' j po' futile, che le donne usano rossetto per le labbra e quindi è inconveniente che . si accostino a un calice. Anche senza parlare di ri- , forme, il trattamento riservato alle donne durante i primi anni del Concilio fu di j | netto sfavore. Alle messe celebrate prima delle congregazioni conciliari si ammet- I levane anche i giornalisti accreditati, purché non fossero di sesso femminile Invitati di più alto rango po- ' levano accedere alla comunione all'altare maggiore, sempre che uomini Un giorno del 1963. nel corso della seconda sessione, tu negata l'ostia consacrata alla signora Nhu. vedova del dittatore vietnamita nonché cognata dell'arcivescovo di Hué. monsignor Ngo Din Thuc. Toccò la stessa sorte alla cognata di Paolo VI. moglie del senatore democristiano Ludovico Montini, un'esemplare madre cristiana di sette figli, che venne esclusa dal sacramento perché donna. Naturalmente non mancavano le proteste. Il padre gesuita Karl Rahner. uno degli esperti, si diceva stupito del paradosso in atto: «Mentre sentiamo dirci che la religione è diventata un affare di donne e di bambini, noi continuiamo a pensarla come una questione riservata a noi celibi ». Se ne scandalizzava il consigliere patriarcale di Antiochia dei Mei chiti. monsignor Neofito Edelby: « A riguardo del laici si presenta uno schema che debbo definire asessuato: la donna non vi è neppure nominata. Tuttavia, come sposa e come madre mi sembra insostituibile ». egli osservava. Con uguale ironia, l'arcivescovo di Bruxelles e Malines. cardinale Leo Suenens, lamentava che te donne non fossero ammesse al Concilio: « Le donne che — se non mi sbaglio — rappresentano la metà del genere umano ». Chiedeva quindi che le superiori generali delle grandi congregazioni religiose avessero adito in San Pietro: « Ci sono nel mondo un milione e mezzo di suore: avranno pur diritto ad una raivpresentanza fra noi». Si rispondeva generalmente, come sempre in questi casi, che il problema non era ancora maturo, e che comunque gli osservatori laici, uomini, erano stati invitati a farsi portavoce dei desideri dei movimenti femminili d'azione cattolica. Per conseguenza era abbastanza giusto che la New York Herald Tribune del 23 ottobre 1963 commentasse: « La Chiesa non si è ancora resa conto dei progressi fatti dalle donne nell'ultimo secolo. L'influenza di donne come Giovanna d'Arco e Caterina da Siena è stata enorme nella storia delle Chiesa, ma non si è mai ammessa né a tutt'oggi mai praticata nella Chiesa l'uguaglianza dei due sessi. Si crede tuttavia che papa Paolo VI stia considerando con favore l'inclusione di donne tra gli uditori laici per la prossima sessione». Egli difatti la considerava, e vi si risolvette alla vigilia della terza sessione, ii 12 settembre 1964. annun dando che una rappresen tanza femminile « naturai mente poco numerosa ma significativa e simbolica » sarebbe stata ammesse in San Pietro. « Questo eccezionale provvedimento — continuava — è stato preso perché la donna sappia quanto la Chie sa la onori nella dignitàdel suo essere e della sua missione umana e cristiana ». Due giorni dopo, inaugurando la terza sessione conciliare, paternamente disse all'indirizzo delle donne: «Siamo lieti di salutare le nostre care figlie in Cristo, le auditrici. per la prima volta ammesse ad assistere alle assemblee conciliari ». Quel giorno, tuttavia, le auditrici non erano presenti nella basilica, a riceversi il saluto del Papa: ami nemmeno si sapeva quante sarebbero state, né i loro nomi. Erano soltanto preconizzate, per il momento, e trascorsero ancora dieci giorni prima che il Vaticano comunicasse le scelte compiute: otto madri superiore di ordini religiosi, cinque dirigenti laiche di organizzazioni cattoliche e due vedove di guerra « scelte per onorare il dolore che esse rappresentano, per condannare la guerra e per marcare il simbolo delle più profonde aspirazioni dell'umanità ad una vera pace cristiana ». L'anno seguente, per la quarta sessione, il numero delle donne auditrici fu aumentato a ventitré. Il primo a rivolgere loro ii aula un saluto formale fu l'arcivescovo di Strasburgo, monsignor Jean Julien Weber, che il 6 ottobre 1964 le appellò gentilmente « sorores carissimae » passando comunque subito ad occuparsi d'altro: sacre scritture e testi non sacri egizi ed assiro-babilonesi. Fu il cardinale canadese Paul Emtle Léger, arcivescovo di Montreal, che il 21 ottobre fece la grande proposta rivoluzionaria di ammettere le donne a parlare nell'aula, per farvi « esposti tecnici sui grandi problemi che si pongono al mondo moderno ». San Paolo ne sarebbe stato inorridito, ma in ogni modo la proposta di far parlare le donne in Chiesa non ebbe seguito. Un altro vescovo canadese, monsignor GerardMarie Coderre di Saint-Jeande-Quebec. il 29 ottobre a nome di tutto l'episcopato del suo paese suggerì che il Concilio attestasse che la donna « ha un compito necessario e specifico da svolgere nella Chiesa ». ma tutte le voci canadesi rimasero isolate. A non contare gli interventi di due vescovi congolesi, Joseph Malula di Léopoldvllle e Joseph Nkongolo di Luebo, che esaltarono entrambi la dignità della donna, si deve ammettere che il tema ritenne poco l'attenzione dei padri conciliari. Fu un uditore laico, l'argen¬ tino Juan Vasquez, presidente della Federazione internazionale della gioventù cattolica, a lamentarsene apertamente VII novembre 1964: « In ogni momento, in tutti i settori, la donna esercita nel mondo un'azione di indiscutibile efficacia per l'elevazione, il progresso della comunità umana e della Chiesa. Eppure, all'atto pratico, nonostante tutte le proclamazioni, non siamo ancora arrivati a riconoscere effettivamente la sua posizione ». Tanto era vero che la accana delle donne uditrici, la signorina Marie-Louise Mori net, in una pubblica conferenza il 10 ottobre aveva protestato: «La donna, monsignori, è uguale all'uomo in dignità. Dovrebbe essere libera nella sua vocazione. Monsignori, nei vostri interventi non potreste insistere su questo punto? ». La signora Madeletne Leroy-Boy. presidente dell'Alleanza internazionale «Giovanna d'Arco », pose un quesito preciso: perché le donne non possono venire ordinate sacerdoti? ! protestanti hanno donne pastori e non se ne lamentano. La signorina Josepha Munch. laureata in teologia dalla Facoltà di Monaco di Baviera, ne scrisse al papa direttamente, ma non so se abbia ricevuto una risposta soddisfacente. Sembra comunque che l'incarico di una risposta indiretta venisse affidato al padre Pierre Duprey, sottosegretario per la sezione orientale del Segretariato per l'unione dei cristiani, il quale spiegò che il sacramento dell'Ordine sacro è una partecipazione al sacerdozio dì Cristo ed alla sua relazione con la Chiesa, sua sposa. Perciò la donna sacerdote non può essere, senza che ne venga in nulla diminuita la sua grandezza, che su un altro piano: « Ma ciascuno I — concluse — nel corpo mii stico ha la funzione che Cri; sto gli ha assegnato ». La donna dunque stia «al suo posto » come ugualmente esigono lo Stato, la società e la Chiesa degli uomini. Le femministe sanno bene con che cosa hanno a i che fare. I Vittorio Gorresio Roma. Una conferenza di femministe (Foto Team)