L'Europa felice

L'Europa felice OMBRE E MORTE D'UNA CIVILTÀ L'Europa felice Alla conoscenza e all'amore di Virgilio, Curtius fu iniziato da un amico di Oxford, che in Germania studiava le fonti della critica biblica. Ernst Robert Curtius era ancora adolescente; più tardi sarebbe diventato uno dei grandi filologi romanzi del secolo: la sua opera sulla letteratura europea e il medioevo latino è classica. Erano i primi anni del Novecento: Curtius ricorda anzi la data precisa, 1905 (aveva quindi diciannove anni), per che in quell'anno usciva il Dia Ingo delle forme di Rudolph Borchardt dove i metodi della filologia tedesca venivano confrontati con quelli di Oxford L'innominato amico aveva l'abitudine di leggere Virgilio in treno, usando un'edizione tascabile in carta d'India della Clarendon Press, che Curtius si fece prestare o regalare. Aveva letto YEneide a scuola, senza particolare interesse; quella volta scoperse le Bucoliche, « Presto, dice, trovai un verso che mi colmò di gioia sconosciuta: Mille mette Siculi! crrant in montsbus agnae» Più tardi, a Oxford, uno stu dente gli chiese di leggere con lui il sesto libro deu'Eneide. Un ter/o amico, sempre inglc se, gli fece conoscere Teocrito. L'Inghilterra gli apparve così come un paese in cut l'Umanesimo c il culto della tra dizione classica erano una re alta vivente e non soltanto una specializzazione accademica e un soggetto di ricerche erudito (come, e sottinteso, in Germania). « La piccola espe rienza che ho ricordato — spie ga Curtius — è un caso escm piare di "trasmissione" di una tradizione. Ho ricevuto un libro dalla mano di un amico più vecchio, l'ho Ietto perché volevo partecipare al suo mondo; la tradizione diventa viva solo quando ci viene trasmessa da una persona cui noi vorremmo diventare simili » (E. R. Curtius, Letteratura europea. Bologna, Il Mulino, 1963. pp. 23-24). Curtius e morto in Italia, a Roma, nel 1954. Borchardt ha vissuto per decenni in una villa vicino a Lucca: traduceva Dante in tedesco, ma si divertiva anche a trasporre in un curioso italiano antico le poesie del suo amico Hofmannsthal. L'amico inglese studiava in Germania e Curtius si recava poi a trovarlo a Oxford. Tutto questo evoca un'immagine dell'Europa nei decenni tra Ottocento e Novecento di cui non è rimasta più traccia, se non nei libri di memorie o nella grande metafora della letteratura. Nel Mondo di ieri, Stefan Zweig li descrive come « una età d'oro della sicurezza »: ma. in esilio e in fuga, cacciato dal nido, nessuno meglio di lui poteva valutarne la fragilità In quella piega di calma incosciente, alcuni fortunati potevano illudersi che il mondo a vesse raggiunto la soglia della ragione, che ci fosse pace e benessere per tutti e per sempre. « Tutto nel vasto impero — scrive Zweig — appariva saldo e inamovibile ed al posto più alto stava il sovrano vegliardo; ma in caso di sua morte si sapeva (o si credeva di sapere) che un altro gli sarebbe succeduto senza che nulla si mutasse nell'ordine prestabilito. Nessuno credeva a guerre, a rivoluzioni e sconvolgimenti. Ogni atto radicale ed ogni violenza apparivano ormai impossibili nell'età della ragione ». (S. Zweig, Opere nelle. Milano, Mondadori, 1961, p. 677). S'intende che questa descrizione, essendo vera per una parte minima della società e per una parte ancora più piccola della realtà di quegli anni, e sostanzialmente falsa. E' la descrizione di un momento culminante e provvisorio: il suo splendore coincide in realtà con l'agonia della grande civiltà borghese, la stessa che brilla nella nostalgia critica di Adorno. Oggi possiamo misurarne, insieme alla presunzione, la profonda inconsapevolezza: quel mondo aveva innalzato la sicurezza a valore primario isafety first) mentre era sul punto di dissolversi. I figli di quelle famiglie rie-che e padrone del proprio fu- turo andranno dispersi per il mondo. Zweig è, insieme, il testimone e la vittima: ebreo perseguitato, morirà suicida in Brasile, subito dopo aver rievocalo il mondo di ieri, in un anno, il '42, in cui le armate naziste avanzavano dovunque Thomas Mann e Adorno abitavano ditoni a lx>s Angeles, anch'essi scacciati dalla Germania: dalle loro conversazioni nasceva il Doctor ts!t;iux\ si sente la frustrazione dell'esilio in ogni aforisma dei Mi nima moralia. dove si registra- no, appunto, i minimi segni di una universale dissoluzione. In quei brevi decenni la borghesia europea raggiunse quindi uno stato supremo di pienezza e di solitudine. Credeva nel progresso indefinito e nella saggezza della « mano invisibile ». Credeva nella grandezza del sapere scientifico e nella sua capacità di creare un'umanità nuova. La sua intelligenza utilizzava tutto il passato del mondo per addolcire e raffinare la vita. Ma nessuno sembrava capire che la ricchezza, la sensibilità, la bellezza, la musica, i viaggi, la cultura erano un privilegio effimero dovuto all'atto di volontà feroce di una classe, a un prodigio di entropia negativa. In realtà, quell'edificio perfetto e confortevole nel quale si celebravano i fasti di una civiltà raffinata posava le sue fondamenta sullo sfruttamento e sull'ineguaglianza. ★ * L'insidia della malattia che incombe sul piccolo Manno Bùddcnbrook è la metafora di un vizio della struttura, ma la sua natura di metafora la colloca in una sfera neutrale: essa abita l'immaginazione e la intenerisce. La spietatezza della politica deve ancora venire. L'ingiustizia è una nozione che resta estranea alla coscienza di quel periodo, rimossa dall'amore della separatezza e dalle esaltazioni della libertà individuale; ciò non toglie nulla al fatto che si tratta di una condizione originaria; la sua presenza indecifrata contiene i' segnale di un minaccioso caos alle estreme frontiere dell'ordine. Fascismo, nazismo, razzismo covano in quel grembo. Il bisogno nevrotico di distinzio- ne e dunque già un atto di | difesa; la ricerca dell'eccentri- cita e della solitudine lascia I intravedere qualche carattere del futuro. Le masse ribollono contro le esili spiagge dell'isolotto sul punto di venire sommerso e le dittature esprimono il tentativo di esorciz zarle, come spiega Elias Canetti parlando di Hitler e del suo architetto. Attraverso le atroci lacerazioni di due guerre mondiali, erompe una civiltà diversa, quella che nel dominio del ciclo produzione consumo impone una nuova totalità: e nella quale alla morale privata e ai suoi spazi di avventura e di scelta si sostituiscono gli slandards collctti vi di comportamento dettati dal potere e prolungati dai mass media Cosi quell'Europa è vera mente una figura del passato; possiamo evocarla con lo stcs so distacco con cui evocherem mo l'Atene di Socrate, la Firenze di Lorenzo de' Medici Un ceto privilegiato ed esclusivo custodiva e coltivava un patrimonio di valori chiamato la tradizione: da un capo all'altro del continente, viaggian do e dialogando, scambiando testi e scoperte, esso serviva una nuova religione; chiamava alla scena del presente il passato, rendeva attuali i personaggi e le opere dei tempi remoti, evocava Omero e Virgilio, Dante e Shakespeare, Calderon e Goethe perché diventassero insieme coevi e contemporanei. Né le differenze che distinguevano profondamente l'una dall'altra ognuna di quelle esperienze, opere e persone; né il fatto che nel frattempo il mondo era diventato un altro, strappato alla relativa continuità dei millenni precedenti dall'epoca traumatica (1750-1830, più o meno la vita di Goethe) delle rivoluzioni (industriale in Inghilterra, sociale in Francia, filosofica e scientifica in Germania), turbavano la pienezza e la serenità di quel sodalizio e le gratificazioni che sgorgavano da quell'identificazione. Ricchezza di cultura, nobiltà morale, eleganza, rigore, onestà e prestigio intellettuali sono i caratteri di quel momento e di quel ceto europeo: mentre la storia incubava mostri e tragedie, la morte pei gas e la morte atomica, guerre planetarie, demenze collettive, quel gruppo internaziona le di amici colti, educati, raffi nati viveva al di sopra di tutto, separate» dal destino degli altri. Eppure la sua innocenza e il suo prestigio entravano pienamente nel quadro, erano l'armonia che permetteva lo strazio, erano il richiamo ai valori che rendeva possìbile la loro distruzione. Esiste infatti una misteriosa relazione tra la bellezza e l'emozione della poesia, l'ordine elei mondo in cui è profezia e bagliore, la sfera del bene cui allude e sembra attendere: e la volga rità, la cicca violenza, la fragorosa arroganza con cui lo storia dell'uomo procede nelle sue dimensioni più reali: essa fa della poesia e della sua purezza una figura dell'ingiusti zia dilTusa dovunque, che offende e ferisce. Angelo Romano