Guerra & sogno oggi a Parigi di Alberto Cavallari

Guerra & sogno oggi a Parigi CRONACHE FRANCESI Guerra & sogno oggi a Parigi Con Aron Parigi, aprile. Raymond Aron mi parla adagio del suo nuovo libro, Clausewitz, penser la guerre. Siamo nel suo studio di rue Turnon, verso il Lussemburgo. Aron recita perfettamente il personaggio che ha sposato, quello dell'intellettuale francese di destra, dalla testa lucida, dal pensiero esatto, che vede con secchezza matematica miche le cose non matematiche c cerca sempre la nozione del « necessario » nella storia, diciamo pure l'antiutopia. Calvo, il naso penduto, gli occhi da uccello notturno, un profilo che ricorda Missiroli, la cravatta a farfalla, siede a un piccolissimo tavolo, al centro della stanza, come in un palcoscenico personale, ricavalo nel palazzo sontuoso, percorso da scaloni dorati. Alle sue spalle c'è una finestra, la prima luce di primavera lo investe da dietro, simile a un ridettole. Intanto parla di guerra, dipana il suo monologo. L'opera di Aron è in due volumi. Il primo riscopro la iigura di Clausewitz, rovesciando la leggenda del « gran macellaio » prussiano, facendone un pensatore politico « dato che la guerra è un momento dèlia politica ». Il secondo volume passa dalla biografia al l'autobiografìa, nel senso che Clausewitz diventa Aron, si trasferisce nel nostro secolo, e scopre che tutti sono in qualche modo « clauscwitziani »: Lenin, Mao, Kissingcr, De Gaulle. Si tratta di un grosso lavoro d'erudizione, non facile, forse non nuovo. Glucksmann, per esempio, ha già scritto un suo « discorso sulla guerra » partendo da Clausewitz. Nondimeno, l'intelligenza di Aron scorre copiosa. Pri c'è l'affascinante gioco delle parti: Aron che si traveste da Clausewitz per vivere l'età napoleonica, in vesti prussiane e il prussiano che vive l'era planetaria travestito da francese. Ma perché la guerra? Perche questo invito a « pensarla »3 Aron mi dice: * Perché mi tormenta sapere se l'umanità sia davvero uscita dall'epoca delle grandi guerre. Lo credevo possibile, anni fa, quando scrissi le mie lezioni sulla società industriale, considerando che il massimo sviluppo comporta il minimo d'interesse ad essere distrutti. Lo credevo probabile, ancora, quan do scrissi il mio libro sull'equilibrio atomico, e sul problema di usare una minaccia di guerra per non eseguire mài questa minaccia. Arrivato a settant'anni, mi tormenta invece il dubbio che l'epoca delle grandi guerre sia solo soppesa provvisoriamente. Infatti, non ci si distrugge, ma non ci si disarma. Ci tono poi le grandi guerre civili, le grandi guerre marginali, e c'è un quadro politico guidato da una Ioga a clausewitziana. Così, fin-' che la guerra è per definizione possibile, credo si debba pensarla. Anch'io odio la guerra Ma noi: voglio arruolarmi tra gli studiosi di desideri ». L'opinione di Aron è che Clausewitz: fa da lente a un •• gioco della guerra » che continua, malgrado la pax atomica. Sola variante: la guerra « era il pagamento di un credito contralto con la minaccia, oggi è un credito che non si intende onorare ». Ma la logi ca di tutte le mosse resta clau sewitziana. « Vale per Kissingcr ciò che valeva per Lenin, la guerra come dato permanen te della politica. Fondamentale, per gli Usa e per l'Vrss, è il criterio di difesa, nella dissuasione. Persino in Mao c'è Clausewitz, col concetto chiave che la guerra è impossibile se l'attaccalo non si difende ». Aron, preso dal gioco delle idee brillanti, non si ferma più. Gli sfuggono addirittura, a traili, frasi in tedesco, « una lingua che avevo dimenticalo, e alla quale Clausewitz m'ha riportato ». Poi spiega che « dopo lunghe passeggiate nella sociologia americana », Clausewitz ha significato il ritorno alle sue origini culturali dove accanto a Montesquieu e a Montaigne, « c'è sempre slata Li Germania di Kant e dei pessimisti hegeliani ». Ma via via arriva al nodo del discorso Dice che ha passato la vita su tre temi di fondo del secolo (lotta di classe, società indù striale, equilibrio atomico) e di aver cercato in Clausewitz « un* visione globale della storia fuori dalle utopie pacifiste e millenariste ». Nasce al lora la domanda se per cast questo suo « pensare la guer i.i • fuori dalle utopie mille nariste non sia forse anche una ennesima polemica con Sar- tre. Risposta di Aron: «Certo // dialogo con Sartre finirà solo quando saremo morti ». La confessione fa da lampo al magnesio, come nelle' vec chic fotografie. S'allarga il campo, lo sfondo, e appare la Francia d'oggi. Aron, raziona- j lista, scettico, liberale, mira da sempre ad essere TantiSartre, suo grande rivale, uto pista, ex comunista, sacerdote dell'ultrasinistra. Pertanto A ron « pensa la guerra » come destino, come « tormento », in una storia considerata rapporto di forze, perche' Sartre « pensa la violenza » in termini di liberazione dai rapporti di forze. Così, tramite Aron, parla la Francia giscardiana quella che teme l'utopia della sinistra al potere, che si apre all'attrazione tedesca, fiutando nell'aria crisi, confusione, squi librin, tempi cupi. Tramite Sartre, parla l'altra Francia. Ma c'è qualcosa di simbolico in questi ex amici, ormai vecchi, che non si salutano più, e si ossessionano a vicenda con filosofìe diverse, ugualmente tragiche. Sono la Francia spaccata in due, appunto tra utopia e « necessità », tra destra e sinistra. Soprattutto sono la « Trance morose », pessimista, incline ai pensieri neri, depressi, come diceva Pompidou. Sulla scia di Aron, parlano infatti di guerra « da pensare » la radio, i giornali, la critica, i salotti. Nel simbolo, è dopotutto Aron che segna il tempo, col suo monologo lucido, im bevuto di Montesquieu, ma pieno di frasi tedesche, come di schegge. Con Walberg Ma ci si rifugia nel sogno, sempre, quando nell'aria vagano pensieri sulla guerra, sulla violenza, e affiorano le de pressioni nervose collettive Raggiunge quindi il suo pieno adesso, il boom surrealista ini ziato anni fa, in una Parigi piena di mostre, commemora zioni, ristampe di Tzara, Breton, Savinio, e di gallerie che lanciano giovani surrealisti Trionfano solo De Chirico, Ernst, Picabia, mentre gli editori sfornano opere complete dei maestri che, tra il '20 e il '36, «da una trincea all'ai tra », fuggirono la realtà, « prò testandola come una cambiali falsa ». La gente corre alle esposizioni. L'autore del gior no è Michel Lciris. La stessa strada, del resto, imita la cui tura. E* piena di donne vesti te come Greta Garbo, sottane al polpaccio, giacche muscoli ne, frange, lunghi bocchini pei fumare. 11 funerale di Max Ernst, nei giorni scorsi, ha traversato una Parigi Idratici a quella della sua giovinezza Ne discuto con Patrick W'al berg che, in questi giorni, ha pubblicato una specie di sum ma di questo surrealismo che torna, trionfa, continua, quasi in risposta ad Aron e al sue « penser la guerre ». 11 libre s'intitola Lei Demeures d'Hy pnos. E' il definitivo riepilogc dei sogni, delle visioni oniriche partorite dall'arte moderna, una sorta di « penser la rive » nel quale Walberg ha versato tutta la sua vita. Questo teorico-poeta ha speso infatti tutta U sua esistenza ad essere il « continuatore critico » del surrealismo, a difenderlo come « permanente al secolo », come « costante », malgrado altri teorici, come Aragon o Éluard, volgessero al comunismo e all'arte sociale. Cosi, mentre i tempi gli danno ragione, il libro di Walberg si presenta come una bibbia della rinascita surreale. I. interesserà gl'italiani sapere che s'apre con De Chirico, si chiude con Cesare Peverclli. pittore di naufragi sognati, di cristalli abitati, di città invi sibili che corrispondono a quel le di Calvino. L'Italia forni sce al « ailto d'Hypnos » sa cerdoti importanti. Un grande pioniere è collocato tra i giganti del sogno, e un «giovane maestro » spicca tra gli « eredi della notte ». Walberg non trova molte differenze tra gli anni che videro la nascita del surrealismo e il presente. « Nei caffè di Motti parnasie » mi dice « gli anarchici erano, come adesso, un'ultrasinistra in polemica coi comunisti. Al potere, Tar dieti succedeva a Briand pressappoco come accade oggi. All'angolo della strada, si scorgevano il Fronte popolare, L Spagna, l'angoscia del futuro Fu così che, dopo Dada, dopo quel rifiuto di 'ulto radicato nella prima guerra mondiale, esplose questa voglia di sogro. d'immaginazione, d'inconscio, d'altri spazi ». La sua tesi J I che le inquietudini d'oggi con ! tinuano quelle di ieri, in un I » ciclo di malessere che non s'è chiuso ». e che comporti) I « continue fughe nel sogno • ì F.' stato un errore credere che il surrealismo fosse una moda passeggera. « Esso » dice « è l'altra faccia di un'angoscia le gala al secolo, e della quale ti secolo non s'è liberato ». Walberg non e un politico non inclina ne a buone né a cattive profezie. Semplicemente constata che « non c'è solo Freud alle radici dell'espressione surreale, ma un desiderio di salvezza dell'individuo minacciato dalla rivoluzione tecnica, perseguitato dalle dittature ». L'uomo « cacciato dal paradiso terrestre, sente il pericolo di una seconda espulsione, stavolta dal purgatorio umano ». Pertanto * cerca il cielo, la notte, gli uccelli in volo del grande Max Ernst » I Nessuna meraviglia, quindi, se | la cultura e la gente ritrovano che « /'/ reale è dopotutto nel surreale ». Mi ricorda che sua madre, un'irlandcse-americana, fu di quegli americani che, allo scoppio della prima guerra mondiale, vollero tornate in Europa Aveva un biglietto del Titanic, il caso volle che Io perdesse. Così Walberg giunse salvo a Parigi con un'altra nave. « E' in questo modo che la mia generazione » dice * ha aperto gli occhi sul mondo. Nt il mondo è diventato diverso mentre invecchiamo, pieno di Tilanic che affondano, come non cercare nell'arte la scia lappa di salvataggio? ». Naturalmente non voglio entrare nella discussane che infuria: sul surrealismo come « ritorno », come « retro », c come vera eostante del secolo Mi basta segnalare che vi sona anche i simboli di una terza Francia che, tra utopia riva (azionaria e realismo pessimi sta. inscguc il magico, l'ipnotico, il distacco, l'oblio. Wal berg, francese dal nome polac co, di nascita americana, protagonista della cultura parigina cosmopolita legata agli Ernst, agli Arp, ai Picabia, ai Man Ray, ai Malkinc, è il personaggio che meglio la rispecchia, facendo da evangelista a un'arte che si credeva estinta. Ma l'arte fa sempre da sismografo. No« è. impossibile che. stia registrando quei tempi cupi che dicevamo. Alberto Cavallari