A Praga il congresso del pc: Husak non perdonerà i 500 mila espulsi?

A Praga il congresso del pc: Husak non perdonerà i 500 mila espulsi? Otto anni dopo la "primavera cecoslovacca», di Dubcek. A Praga il congresso del pc: Husak non perdonerà i 500 mila espulsi? (Dal nostro inviato spedate) Praga, 10 aprile. Il quattordicesimo congresso del partito comunista cecoslovacco, che si svolse alla fine di maggio del 1971, fu il congresso della restaurazione, del ritorno ufficiale alla illegalità socialista» dopo che il partito aveva espiato per tre anni i peccati doli'«illegalità controrivoluzionaria» di Aleksandr Dubcek e dei suoi seguaci. Significativamente, il congresso del 1971 porta lo stesso numero di quello che s'era tenuto il 22 agosto 1968, subito dopo l'intervento «normalizzatore» delle truppe del Patto di Varsavia, successivamente dichiarato nullo. E. alla fine del congresso, il preambolo dello statuto del partito fu modificato per introdurvi il ptincipio dell'irepunizione permanente»: «Il partito si epura delle persone che violano o non seguono la sua linea politica e i suoi statuti, che predicano e diffondono opinioni opportunisti: concetti revisionisti, ti nazionalismo e V anticomuni» mo. e che compromettono con la loro attività il nome onorevole di comunista». Il quindicesimo congresso — che s'apre lunedi e che viene ostentatamente definito «il secondo congresso legale» dopo il 1968 — sarà il congresso della riconciliazione? Otto anni dopo l'intervento, sbriciolata con una dura e sistematica repressione ogni forma di dissenso, Gustav Husak compirà, con la benedizione di Mosca e nel segno della distensione, il gesto di perdonare i 500 mila comunisti espulsi dal partito? A novembre dell'anno scorso, quando Husak andò a Mosca e vi venne accolto da Leonid Breznev con «solennità fraterna» senza precedenti, si pensò che il «leader» cecoslovacco fosse andato a cercare il nulla osta (anche contro i suoi avversari interni, in primo luogo Vasil Bilak) per un perdono dei «controrivoluzionari», che sani le ferite laceranti apertesi nel tessuto del partito e nella vita economica del Paese. In fondo, Gustav Husak — che fu incarcerato durante le purghe staliniste degli Anni 50 e giuoco un ruolo importante nella «primavera praghese» — è l'unico tra gli attuali dirigenti che possa presentarsi come l'uomo della riconciliazione nazionale, una sorta di Radar cecoslovacco. Quasi tutti gli osservatori di Praga, però, concordano che vi sono poche probabilità clic un gesto, ancorché simbo¬ lico, di perdono possa venire nei prossimi cinque giorni dalla tribuna dei congresso, anche se non molto tempo fa il «Rude Pravo» ha scritto che «il partito non condanna nessuno per sempre» e ha lanciato un appello affinché «tutti» ricomincino a lavorare insieme. Ci sono stati, è vero, dopo la conferenza di Helsinki alcuni deboli segni d'allentamento della morsa poliziesca, che dal 1968 soffoca la Cecoslovacchia. Il pittore Jiri Kuhn- ha potuto assistere all'apertura di una sua mostra a New York. Lo scrittore Milan Kundern ha ottenuto il permesso di tenere alcune conferenze in Francia. Il comr ediografo e poeta Paver Kohout è stato autorizzato, per la prima volta in sei anni, a recarsi in Svizzera per la «pri-1 ma» della sua ultima operu, «Roulette», che non ha mai potuto essere mostrata a Praga. Ma si tratta di gesti destinati soprattutto all'opinione pubblica internazionale nel tentativo — sicuramente incoraggiato da Mosca — di migliorare l'immagine e la credibilità della «leadership» cecoslovacca e di far dimenticare al inculo le umiliazioni inflitte a Xtbcek, oggi impiegato di roncetto a Bratislava, e ad altri 500 mila comunisti suoi ::eguaci. Lo stesso Kohout, in una lettera aperta indirizzata a ' u-iil;. ha scritto che questa «immagine idilliaca» del j raese. che si tenta di propor| re al mondo, «è artificiale». Semmai, molto più aderente al clima che si respira nel partito e nel Paese è un documento riservato, pubblicato recentemente in Occidente, e firmato da Vasil Bejda, capo dell'ufficio ideologico del Comitato centrale. E' un appello alla vigilanza, alla disciplina, alla lotta senza quartiere contro le ormai pallide tracce della «primavera»; ed è, al tempo stesso, un atto d'omaggio, di vassallaggio all'Unione Sovietica. •■■/.' lavoro ideologico — vi si legge — deve preoccuparsi di diffondere l'internazionalismo proletario e il patriottismo socialista. In Cecoslovacchia, infatti, il nazionalismo antisovietico sta diventando preoccupante (...). Con l'anttsoviettsmo s'è diffuso anche il nichilismo, cioè l'atteggiamento negativo verso la nostra realtà socialista attuale e verso le prospettive di sviluppo socialista. E' questa la conseguenza d'aver lasciato la parola a quelli che ci attaccano, e si comportano come se nel nostro sistema non ci fosse nulla dt positivo». (Ma quanto sia diffuso e istintivo il nazionalismo antisovietico lo dimostra, proprio in questi giorni, un avvenimento sportivo: in Poloni.: sono in corso i campionati mondiali di hockey e la sconfitta inattesa dei russi contro i polacchi, nella prima giornata, ha scatenato l'entusiasmo dei cechi; per una strana coincidenza, l'incontro decisivo tra Cecoslovacchia e Urss, le due grandi favorite, è in programma sabato, il giorno dopo la conclusione del congresso ). II dilemma cecoslovacco (continuare la restaurazione o offrire la riconciliazione?) riflette, però, una situazione di disagio e d'imbarazzo, che è generale nei Paesi comunisti a partire dalla stessa Unione Sovietica. Da un lato, si riconosce in questi Paesi, dopo la conferenza di Helsinki, la necessità di presentare all'Occidente un'immagine diversa, conciliante, meno poliziesca e illiberale. Dall'altro, c'è il timore che ogni concessione, sia pure formale, possa intaccare la monoliticità del sistema, aprendovi brecce che potrebbero allargarsi a poco a poco, fino a diventare irreparabili. Questo dilemma è oggi tanto più acuto in quanto non sono più soltanto i governi occidentali «borghesi» a sollecitare i cambiamenti, ma anche certi partiti comunisti ocPaolo Garimberti (Continua a pagina 2 in quinta colonna)