L'armatura di Amendola di A. Galante Garrone

L'armatura di Amendola NEL CINQUANTENARIO DELLA MORTE L'armatura di Amendola Cinquantanni fu. il 7 aprili 1926 — a poche settimane dalla morte ili Gobetti — spirava in una clinica di Cannes Giovanni Amendola, vittima dell'aggressione tesagli a Montecatini nel luglio dell'anno prima. Il fascismo, bisogna riconoscerlo, sapeva scegliere e colpire: non stragi di massa, alla nazista: ma un'accurata eliminazione di pochi, temibili avversari, con minimo dispendio di energie ed ccccllcn ti risultati. E' stata rilevata da uno sta rico la diffusa tendenza a collocare Amendola nel Pantheon dell'antifascismo, più che a studiarlo davvero. In questi ulti mi tempi, tuttavia, non sono mancati lavori seri, ila Alfredo Capone a Elio D'Auria, da Si mona Colarizi a Michele Biscione. I- l'attenzione si è spo stata dall'ultima battaglia antifascista alla lunga e tormen tata forma/ione dell'uomo. Co si che oggi possiamo meglio valutare la sua originalità c statura di pensatore e uomo d'azione, Non più un simbo lo. ma una persona viva, lega ta alla drammatica storia ilei primo venticinquennio ilei se colo. N'alo nel IKK2 a Napoli, aveva frequentato giovanissimo dopo i tumulti del 1X98, anar citici e socialisti, ed era statiarrestato. Intorno al '900, .-.pin io dal suo spirito meditativo e da un segreto fervore reli gioso, si era accostato alla teo sofia, portando in quelle ri vistine e in quei circoli, dalla cultura un po' dilettantesca un abito di serietà e d'impegni' intellettuale, che gli diede su bito spicco. Poi. si era irrobu Stilo negli sludi filosofici, ini mergendosi a fondo nella let tura dei tedeschi. Risale a quisii anni il suo primo incon tro con Croce. Ovvie le di ver genze fra i due. La sovrana melile del filosofo napoletane mal si poteva conciliare con l'afflato etico e la religiosità del giovane: lo si vede nel • loro discutere su Schopen hauei. (Caratteristico è il ti tolo di un volumelto ili Amen dola del 1911: La volontà è bene). Ma la reciproca, affettuosa ammirazione sopravvisse al dissenso filosofico, c anzi sì ravvivò negli ultimi annili soggiorno a Firenze e so prattutto la collaborazióne al la «Voce», (ino al lo volsero alla meditazione dei problèmi politici, da lui aftronl.iti con quella austerità che gli era connaturata. Subì, in quegli anni, qualche sue, gestione nazionalista; ma più a fonilo e durevolmente si riattaccò alle migliori tr.ulizio ni della Destra storica, che egli contrapponeva all'aborrito empirismo giolittiano e all'in volgarirsi della vita pubblica . Nel suo pensiero era già per cepibile un respiro europeo l.o doveva anche all'aulico triestino Scipio Slatapcr, che lo aveva avvicinato ai problemi austriaci e balcanici; e che nel 1913 confidava a un'amica: •• L'unico fra noi che sia già uomo i- Amendola ». Si era diviso da Salvemini a proposilo della guerra libi ia, ma se lo ritrovò accanto qualche anno dopo, nella cani paglia interventista. Frattanto si era dato al giornalismo; corrispóndente romano del « Resili ilei Carlino* nel 1913. e ; l'anno dopo, del <• Corriere ilei la Sera ». l'in qui. il suo alleggiameli io ili Ironie ai problemi del l'ora si confondeva con quello -di lami altri giovani della sua generazione; e oggi, col senno del poi. è anche più facile scorgerne i limiti. Ma in proprio nel eorso della gran ile guerra (alla quale pur par iciipò combat tenie i che la sua personalità cominciò a emergere e imporsi con caratteri di indubbia originalità A propo sito della questione delle nazionalità, e dello smembra mento dell'impero austro unga rico, egli si oppose nettamente alla politica di Sonnino. e si adoprò, con Albertini. Rollini e altri, per favorire quell'intesa con i rappresentanti delle nazionalità oppresse, che sfociò nel Patto di Roma dell'aprile 1918. Il suo distacco dal la <• marmaglia » ilei na/iona listi si fece nettissimo: e costoro ripagarono lui e Salve mini e Bissolttti con l'epiteto Ji •< rinunciatari nmmnmsctMpSaii sccpdstdfislnasmsstcbsidJts0strlngctqficmcpnc«sdi , , ' 1 i J sappiamo tutu quanto ci fosse, fatale l'abbandono della linea, insieme realistica e « mazzi ni.ma ». ila lui propugnala. C'era in lui una piega anche troppo severa, e una certa! rigidità di fronte all'irrompe re ilclle nuove forzi.- sociali, e alle convulsioni del dopo guerra Ma direi che proprio qui. in questo suo abito di -< implacabile intransigenza» l« chiuso in una lucilia arma tura ili purezza, e armato ili una concentrala delerminazio ne di volontà •- sono paroli sue. che gli si attagliano be Purtroppo i . nissimo), è da ricercarsi la pri I ma radice del suo anlifascismo militante, Ministro ilei gabi ' nello Facto, al momento della marcia su Roma fu. con Alcs I sio e Taddci, tra quelli che cercarono ili opporsi alla capi tolazione. Y. ben lo sapeva Mussolini, che qualche giorni! prima, nel discorso al Teatro San darlo, aveva additato i tre all'esecrazione delle sue squa ilre. Oggi non è difficile cogliete] i limiti ili questo suo antifa seismo, pur tanio coraggioso i coerente: come la persuasione, ch'egli nutrì a lungo, di una! possibile « normalizzazione » i del fascismo; o, do|x> l'assas sinio di Maiteotti, l'astrattezza, legalistica e moralistica dell'Aventino, del quale egli fu il capo più prestigioso e impavido; o la superstite iIIti soria fiducia in qualche inizia liva dell'inetto monarca. Ma non credo che sia un indulgere ai simboli e ai miti dell'antifa seismo lo scorgere negli ulti mi anni di lotta e di vita la sua vera grandezza, la sua stes j sa creativa originalità di politico, dal suo discorso ilei '23 conno la legge elettorale Acer bo in poi. Non tulli sono ancora coni sapcvoli ilei valore che ebbe, ira la fine ilei 192-J e la mela del 192?. ['Unione nazionale\ Jcllc forzi' liberali e democratiche, naia per suo impulso e sotto la sua guida: un panilo. 0 un embrione di parlilo, stroncato sul nascere, come tutti gli altri partili, dalla tirannide, ma, nella sua forzala labilità, indubbiamente vitale. Y. ciò non solo per il suo ardilo programma, leso a una rinnovala democrazia lo. per meglio dire, a una democrazia che in Italia non c'era mai stata: che tale non poteva ilirrj quella dell'età giòlittiana, definita da Amendola -• asfittica »l. Né solo per la qualità morale e intellettuale dei prin cipali aderenti. Ma soprattutto perché quell'iniziativa politica non tu dimenticata. Nel 1946, in un discórso al Teatro Lirico di Milano. Parri diceva: « La mancanza ili una consi stenle e resistente posizioni democratica fu di grave dan no al tempo dell'avventura fa scista. Amendola Io aveva cos'i ivvertito che costituendo la -uà l'ninne Nazionale mirava dichiaratamente a questo fine che egli giudicava essenziali all'avvenire ilei paese. Ritcco i gliamo l'insegnamento, ri preti , diamo la tradizione i l'evala volte interrotta ». Si noti, poi, che fin dal 192-1 Amendola aveva compre , so. e lo scriveva, che ilemocra zia voleva dire ascensione ili tulio il popolo nella vita dello Sialo. <- verso la luce della vi la politica •-. E aveva sentite l'estrema drammaticità della ' Iona: .. Qui si cade o si vin 1 ce •». Per questo, negli ultimi tempi, aveva febbrilmente cer calo contatti e accordi con li i lorze ili sinistra. Lottò lino all'ultimo, nono Stante le due vigliacche e brutali aggressioni ilei 26 dicemJ bre 1923 e del 20 luglio 1925 Sapeva benissimo a che cosa andasse incontro, come individuo. Ma non piegò mai. Rifiutò sempre — come aveva scritto a Giovanni Boinc già nel 191 I — il destino di molli uomini, quello di « vegetare a lungo, foglie secche che non si decidono a cadere ». Di qui la sua serenila. Il 24 dicembre 1925. ormai segnalo dalla morte, scriveva a Turati: •< Possiamo rallegrarci tra noi di aver tenacemente preferito la causa dei vinti a quella che avrebbe perduto le nostre ani- i me... Basta sapere e pensare| tche "lutto si muove" per essere ceni che un giorno la "eausa dei vinti" sarà la "causa ilei \incilori" » Non meno valore, anche politico, ebbe in quegli anni la solidarietà che si strinse fra lui e alcuni uomini di saldissima tempra - come Roberto bracco. Enrico Presimi. Unibeno '/.molli bianco. Giovanni Mira, e altri ancora —, a i contrasto con i cedimenti e le] villa ilei molti, dei troppi chesi piegarono. Amendola esercitò sui migliori una straordinaria forza ili atirazione e di ! coesione: e fu, anche questo, un seme per l'avvenire. Uno di loro, il lombardo Giovanni Mira, idealmente vicino ad Amen dola, si era adoperato per la Unione Nazionale, aveva ideato e organizzato il congresso del partito, e nell'autunno del '25 era andato in Francia a discutere con lui il manifestoprogramma, elaboralo in Italia con alcuni amici. Il 9 aprile 1926, di ritorno | da Cannes. Mira scriveva agli amici questa lettera (inedita): i •< Voi ini avete piegato di scrivere qualche cosa per Giovanni Amendola che morto, e mi avete fatto grande onore. Ma 10 non posso; non debbo scrivere nulla Ilo letto parole deificale a Lui in giornali amici e avversari, piene ili inespresso dolore le une. fredde di forzato rispetto le altre. Era meglio non scrivere né queste, né quelle Meglio, oggi, il silenzio. «...Il silenzio regnava ieri > manina laggiù, in quel vialedi camposanto straniero, quando Egli fu chiuso nella sua tomba provvisoria e gli astati . ti vi deposero una sola corona dal nastro bianco rosso e verde e vi sparsero alcuni fiori. Erano quindici, gli astanti: parte fratelli sorelle figli, parte amici di Roma e di Milano, e un solo fedele della sua prò- ' vinci.!. Parole non furono dette. Tutti, il gran morto e i miseri vivi, sentivano la presenza d'un destino terribile e augusto. E taluno che avrebbe voltilo piangere, ringoiò anche 11 pianto, perché così doveva fare. Di lì a poco, il gran martire rimase solo, nella tomba Straniera, sull'orlo di quel giardino pensile sopra la babelica cinà di gioia, tra l'infinito cielo e l'infinito mare. Finalmente libero. « ...M'era apparso come un prigioniero in cilene, quando l'autunno scorso lo trovai in . uno spedaletto. esuli e povero.. lantbtsstsdalnrI ocogcI i tiamo | terni fraspi i ] ! lontanò dalla patria e dagli amici. Nel cavo degli occhi ncrissimi aveva già l'ombra tragica, ma ne'la calda voce vibrava ancora una fede piti forte ili tutto, Ci abbracciammo stretti streni, con quella pas- \ sione, con quello struggimento che si prova solo quando si è lontani dall'Italia e che dice come la si ama. Perché anche per Lui tutto era IL la religione della patria, che nessuno ebbe più alla, più pu ra, più eroica ili Lui. — ... Senmigliaia ili cuori he battono. E lo I rito di Lui, passando, susci-1 ta altri innumerevoli palpili, oggi, domani, sempre, dappertutto. Le anime si sollevano come ad un coro; ma Egli, oggi, vuole silenzio . In quel silenzio, si venne preparando alla lòtta una nuova generazione: quella ilei li glio Giorgio, e di tanti altri con lui. Proprio come Amen dola aveva vaticinalo nel 1925, I in una lettera a Croce: •■ l.a vita consueta deve essere in- i tcrrotta, per dar luogo a un ' periodo di milizia, per la salvezza inorale del nosiro paise... Senio che siamo ancora pochi, e che dobbiamo essere molli ». Così s.trebbe staio. E la « causa dei vinti » sarebbe diventata, con la Resistenza, la <- causa ilei vincitori ». A. Galante Garrone