Usa, il deficit della libertà di Vittorio Zucconi

Usa, il deficit della libertà L'AMERICA COMMEMORA DISTRATTA L'INDIPENDENZA Usa, il deficit della libertà Il treno celebrativo del bicentenario è fermo a Kansas City, nessuno vuole pagarne le spese - Al di là dell'oleografia resta l'insicurezza: i conflitti sociali sono sempre vivi, la scienza esprime dubbi e pentimenti, appaiono sintomi di "industriofobia" ì • Dal nostro corrispondente) Washington, marzo. // « Treno della libertà » è fermo a Kansas City e non riparte: viaggia con un miliardo e mezzo di deficit che nessuno vuole pagare. Lasciò Washington tre mesi fa personalmente salutato da Gerald Ford, con un carico di memorabilia celebrative, autentica enciclopedia viaggiante del bicentenario americano, dalla copia della Costituzione autografata da George Washington ai guantoni da boxe di Jne Frazier. « Viaggia, o treno, — disse Ford battezzando il museo rotabile — porta agli americani del Duemila V segno del loro passato glorioso »; ma il Presidente non offri che retorica: i fondi necessari vennero anticipati da quattro giganti, simbolo della industria americana, la General Motors, la Pepsi Cola, la Trust alimentari, la Prudential assicurazioni, con un miliardo di lire ciascuno. Oggi, i fondi sono finiti, il pubblico — che dovrebbe pagare cinquemila lire per venti minuti di viaggio e visita — diserta questo Orient Express del kitsch, i produttori di formaggi e bibite non vogliono più pagare. Il treno della libertà americana, simbolo della grande celebrazione nazionale, sì direbbe che viaggi soltanto a Pepsi Cola. Se non è giusto forse caricare di troppi significati allusivi il fallimento del « Treno della libertà », certo l'anno del bicentenario sembra scivolare tra le dita di un'America distratta, seminando souvenirs senza gusto e senza futuro. I cinque milioni di turisti attesi a Washington arriveranno all'appuntamento del 4 luglio, giorno anniversario della firma della dichiarazione d'indipendenza, come una mandria annoiata, qualche abbraccio, un po' di fuochi di artificio, stelle e strisce sulle camicie leggere di poliestere nell'afa di Washington, i e poi to_business,_«iri. j torno al lavoro di tutti i giorni, tra cui, in autunno, l'elezione di un Presidente. Le celebrazioni di Stato sono sempre occasioni perdute incordiamo Italia 61): in un Paese grande, sono grandi occasioni perse. Gli americani entrano nel Terzo Secolo di storia quasi svogliatamente, stordendosi in un commercialismo inversamente proporzionale alla intensità dei sentimenti (tutto ciò che si vende è « bi 1 centenario », tutto ciò che è « bicentenario » cioè si vende bene/. Si collocano i «padri fondatori», il cui messaggio libertario e rivoluzionario rischia di apparire scomodo, nella fissità dei musei di cere, improvvisamente popolarissimi, e delle riproduzioni di nickel. Il confronto fra il 1976 e il 1776. l'anno dell'indipendenza americana, viene risolto in chiave oleoi grafica, dicono i giovani che Iì hanno formato nella capitale il primo « comitato per un bicentenario popolare alternativo », proponendo ingenuamente la « seconda rivoluzione ». Re Giorgio li, sostengono questi alludendo al sovrano britannico che i coloni americani rinnegarono e combatterono nel 1776. è tornato e oggi sta alla Casa Bianca, alla presidenza delle grandi società multi- i nazionali, e va cacciato. Ve j fremiamo è forse la malat- tia senile del capitalismo? Fino al Vietnam Due secoli fa. l'Ameri;a uI sci dalla sua guerra risorgiì mentale e formò una nazione. Un secolo fa. fresca di guerre civili, ricostruì l'unità nazionale nel segno dell'industrialismo vittorioso del Nord. Nel 1776 e nel 1876. dunque, guerre aspre e talora feroci aprirono la strada alle due grandi rivoluzioni americane: ne nacque prime una nazione, poi una superpotenza industriale. Oggi, si vive la convalescenza di una guerra d'oltremare che tutti hanno perduto e da cui nessuno può trarre slanci: il Vietnam. Se si viaggia un poco alla ricerca dei segni del terzo secolo, molti sono confusi, pochi visibili, uno soltanto, forse, rivoluzionario e va in¬ travisto nel mondo delle comunicazioni, nel trasporto degli uomini e dei loro segni. Nuovissimi cavi «ottici» possono portare cinquecentomila impulsi al secondo, dieci volte più dei cavi di rame, e la navetta spaziale è in preparazione, per il 1980. disposta a portarci tutti a tariffa oltre i confini della Terra. « Ma non è una rivoluzione — mi dice il professor Chester Rapkin. sociologo a Princeton — poiché astronavi e raggi laser porteranno soltanto gli uomini ma le loro idee non le potranno cambiare. Un idiota sulla Luna rimane sempre un idiota ». La sensazione prevalente che si ricava esplorando la America bicentenario, passata la barriera dei ricordini placcati d'argento, è di un enorme convoglio umano in perdita di velocità, prossimo all'arrivo, ma in terre ancora sconosciute. A bordo, fra l'equipaggio e fra i passeggeri, v'è qualche mischia, ma non vere contestazioni sulla rotta. Si possono scegliere alcuni esempi, come il femminismo. E' il fenomeno forse più importante dell'America '76, con i suoi giorni esplosivi ed entusiasmanti, ma per ora è prigioniero fra l'aggressività operativa e la timidezza teorica, dove si tradisce forse la matrice «piccolo-borghese» delle sue ! ìdeologhe. La totale adesione della leadership femminista ai modelli politici ed economici prodotti ed imposti dai maschi americani fa pensare spesso a semplici ambizioni individuali frustrate, più che a innovazioni qualitative. « Forse — mi ha detto Galbralth — quando diecimila operaie saranno licenziate, nel terzo secolo, dalla futura presidentessa della General Motors, nascerà la vera rivoluzione femminista». Una frazione della organizzazione nazionale delle donne (« Now »/ ha proposto la pubblicazione di una carta dell'indipendenza femminile per celebrare il « loro » bicentenario, e l'idea sembra avere successo. L'altro grande problema sociale, quello negro, è ancora vivo e potenzialmente dirompente, poiché i termini non sono molto mutati, ma vengono attutiti da un flusso di denaro pubblico che rende sopportabile la condizione di emarginato, senza in realtà cambiarla. Anche la scienza ufficiale, che il governo Usa sta mostrando ai giornalisti stranieri in viaggi organizzati, dà improvvisi segni di dubbio. Il sereno positivismo de- I oli ultimi cento anni si è fat ' to incerto di fronte alle applicazioni militari, che hanno turbato migliaia di coscienze scientifiche negli Anni 60, e all'incubo ecologico. In Cali'ornia, ho incontrato scienzU ti che hanno abbandonrio il lavoro su armi sottomarine ed oggi « si pentono » difendendo ad oltranza la salute del plancton, delle coni 'tiglie. dei pesci di fonde. Uno dei cervelli più brìi1-..M dell'aviazione militare ha lasciato lo studio — ottimamente retribuito — dei motori per altissime quote e dirige oggi il centro nazionale per i trasporti pubblici, in un deserto del Colorado: ha letteralmente abbandonato i iets per i traili, a metà salario. La lenta Alaska LTSconomist ha parlato di sintomi di « industriofobia ». forse esagerando, ma tre anni di ritardo per costruire un oleodotto in Alaska che coprirà quindici miglia quadrate su seicentomila di territorio complessivo e selvaggio sono un bel tributo alla contestazione dei difensori dell'ambiente, e un'autentica eresia nella religione dello sviluppo industriale lineare. E l'eresia si diffonde: la costruzione di quaranta centrali nucleari, che aiuterebbero grandemente a ridurre l'importazione di petrolio, è bloccata da una campagna terroristica che dipinge ogni reattore come una potenziale Hiroshima. Von Braun. il padre dell'«Apollo» che oggi lavor:-. nella energia, fa osservare che hanno causato più vìttime i tagliaerba a motore che le centrali atomiche in funzione oggi, « ma nessuno sogna di vietare i tagliaerba ». Pure sfogliando velocemente, come in una specie di brossura sociologica, il catalogo dei problemi americani d'oggi, si vede come il senso di continua trazione, culturale, tecnologica e industriale, che il viaggiatore riscontrava quasi fisicamente soltanto dieci anni fa, sembra oggi allentato. I dati macroeconomlci sembrano confermare questa sorta di coagulazione improvvisa delle strutture americane, sem- pre più rigide sotto la spin- ta della continua presa di « diritti » di vari gruppi, le donne, le minoranze razziali, i giovani, i sindacati, i grandi monopoli industriali, ora finalmente anche il governo centrale. Dal 1950 ad oggi la produttività individuale nell'industria è aumentata qui del 98 per cento, meno che in Gran Bretagna, in Italia, in Francia, e neppure è confrontabile con la Germania (più 248 per cento) o il mostruoso Giappone (più 843 per cento). Le spese per assistenza pubblica sono passa¬ te da 24 miliardi di dollari (15 mila miliardi di lire) nel 1950 a 242 miliardi di dollari oggi, in lire 170 mila miliardi, oltre il doppio del bilan ciò militare. Una burocrazia « all'europea », stabile, quasi inamovibile e auto-giustificata è sorta: il Comune di New York spende in assistenza pubblica quasi quanto deve pagare per gli stipendi dei funzionari che la distribuiscono. Non v'è candidato alla Casa Bianca che non offra agli elettori decimazioni nel ministeri e fra i burocrati, sapendo perfettamente di mentire. Trecento grandi società controllano quasi il cinquanta per ì cento del mercato interno e ' la tendenza alla monopoli* j sazione continua. Sono segni, per quanto superficiali, di cambiamenti radicali, qualitativi nel « sogno americano ». che la retorica del bicentenario non riesce a coprire. Forse l'America ci ha troppo abituati a « esplosioni » di vitalità, e ci stupiamo eccessivamente oggi di fronte all'ipotesi che il terzo secolo sia quello della « implosione », di un riassestamento degli equilibri interni, di : una riscrittura delle priorità ! nazionali, secondo una gra: duatorui che non si può nemmeno intravedere. Sarà il 1976 l'inizio della fine — come sostengono storici inglesi — per il secondo impero mondiale della storia moderna dopo quello britannico, o il giubileo in corso è solo anno di minuti commerci turistici, che passerà senza lasciar tracce nel futuro? Ci sembra che soltanto negli avvenimenti del 1974-75, il biennio che ha concluso il secondo secolo di storia unitaria americana, vi siano abbastanza significati — con la fuga dal Vietnam e la cacciata di Nixon — per stimolare una ricerca più approfondita di verità non soltanto celebrative. E' persino possibile che, per una volta, la logica scolastica delle date corrisponda al reale svolgimento della storia. Vittorio Zucconi

Persone citate: Ameri, Frazier, George Washington, Gerald Ford, Nixon, Re Giorgio, Von Braun