Il "Don Giovanni" scommessa vinta di Massimo Mila

Il "Don Giovanni" scommessa vinta Opera, un bel successo a Genova Il "Don Giovanni" scommessa vinta La musica è grandissima, l'esecuzione scenica molto difficile (Dal nostro inviato speciale) Genova, 27 mango. Un teatro italiano che inauguri la stagione lirica col Don Giovanni si autoconferisce un blasone di nobiltà. Quando poi riesce a fornirne una esecuzione abbastanza buona, anzi, quasi per intero soddisfacente, nonostante la mancanza di una sede adeguata (l'Ente Lirico di Genova è ancor sempre ospitata nel Teatro Margherita), e sebbene nella distribuzione delle sovvenzioni statali il teatro in questione sia in una posizione di Cenerentola o quasi, allora vuol dire che all'ambiziosa nobiltà delle intenzioni corrisponde anche una sufficiente dose di capacità direttive (sebbene proprio l'Ente Lirico genovese aia uno dei più cronicamente tartassati in fatto di direzione artistica). Quella vetta suprema del teatro in musica che è il Don Giovanni, in cui si specchia quasi tutto il melodramma italiano dell'Ottocento, cosi come nel Flauto magico. si specchia quasi tutto il dramma musicale tedesco, è scarsamente rappresentato, in paragone della sua grandezza ed importanza, a causa dell'enorme difficoltà «li ordine scenico, per lo spezzettamento topografico dell'astone, che nei corso del due lunghi atti si sposta di continuo. Di qui il dilemma che un giornalista viennese efficacemente sintetizzava nel 1905, quando ci fu la celebre, ri innovatrice esecuzione di Gustav Mahler con le scene del pittore Roller: o si escogita una scena un po' generica, buona per tutti gli episodi di un atto, « ricavandone nlent'altro che approssimazioni e l'impossibilità di creare singoli stati d'animo propriamente autonomi ». Oppure fornire ogni episodio della scena che gli conviene, ma allora «si dovrebbe spettare la rappresentazione con lunghi intermezzi e togliere il tuo slancio oifafe». Le scene di Emanuele Lut¬ ebrprsggèdmdfrgesG za li si preoccupano soprattutto di questo secondo pericolo (che aveva rovinato una pur memorabile esecuzione di Karajan alla Scala), e cercano di ovviare al primo con l'impiego, un po' avventuroso, di . siparietti ed elementi mobi- ! li, tutti però ispirati a un iHiuittHHMNttMimM^ eri terio ornamentale di arabeschi spagnoleggienti, che riescono eleganti si, ma un po' cincischiati e sovraccarichi. Se accettiamo quanto sosteneva 11 già ricordato giornalista viennese, che « ognl parte di scenario, che non è al servizio del lavoro, reca danno», allora bisogna ammettere che slamo lontani dalle celebrate scene di Alfred Roller: «Nessuna decorazione, nessun ornamento. rtstpsgslqè geometria pura». (Ma, per quanto si sa, con estrema ricchezza di colore simbolico ed espressivo. Si leggano questi interessanti dati sul Don Giovanni mahleriano a Vienna in un saggio di Robert Werba nell'ultimo numero della Nuova Rivista Musicale Italiana). Entro queste scene la regia di Filippo Crivelli muove molto bene i personaggi delia intricata azione, anche se con esiti diversamente graduati a seconda delle capacità istrioniche e interpreta Uve dei singoli cantanti, Quando 11 regista si trova sotto mano un artista duttile e Intelligente come Taddei, ne esce un Le portilo originale e pur credibile, meno buffonesco del solito e invece più accentuatamente risentito nel carattere popolaresco, protestatario e generoso ad, un tempo: le sue ribellioni all'empia («temperanza del padrone sono aissai più sottolineate di quanto generalmente accada, nell» istesso tempo il consiglio di non accettare li fatale invito della Statua: « Dite di no! Dite di no! », non a'è mai sentito cesi disperato e drammatico. Un po' piti rigido risulta in scena il basso Nicola Ghiu**lev nei panni del protagonista. La voce è potente, la dizione chiara, Io stile non è perfettamente mozartiano. 11 tipo di voce è quello tipico del basso russo, o comunque orientale, un tipo di voce, tanto per intenderci, alla Boris Chrlstoff. e non ci risulta che Chrlstoff abbia mal impersonato Don Giovanni. Se ne giovano i tratti più crudeli ed egoistici del personaggio, ebe può anche darsi siano i piti veri; ma la vernice mondana e fascinosa che a un Don Giovanni è indispensabile viene qualche volta compromessa da una emissione vocale esplosiva, un po' aggressiva. Le due dame vanno bene. Celestina Casapletra Kegel fa una Donn'Anna meno dura che quella personificazione della vendetta che in essa vedeva Hoffrnann: una Donn'Arma gentile e trepida, forse poco appariscente nelle arie, ma finissima nel grande racconto dell'attentato subito da parte del libertino assassino di ano padre, racconto di cui ha sfiorato con sapienza e delicatezza tutti 1 sottintesi psicanalitici. Come Donna Elvira, Margherita Rinaldi conferma l'impressione già lasciata a Torino, nel Conte Ory. di attraversare, una stagione eccezionalmente felice per freschezza di voce e qualità d'interpretazione. Luigi Al va. conte Ottavio, è sempre quel finissimo tenore mozartiano ohe da tempo ammiriamo, con buona pace di chi lo dice vecchio e consumato. Il pregio di questo artista è sempre stato riposto nell'intelligenza e nella proprietà stilistica, più ohe nello smalto materiale della voce. Il basso Graziano De! Vivo fornisce un imponente Commendatore, e la coppia yustlea di Masetto e Zerlina è resa da Arturo Testa e da Mariella Devia con un tono di realismo meno buffonesco del solito. Anche qui si vede lo zampino di Crivelli, un regista che un tempo eravamo soliti a limitare entro la sigla dell'eleganza e della morbidezza, ma di cui Insogna prendere atto che invece è giunto ad una maturità capace di qualunque prova. Da un uomo della sua finezza ci era parso strano, nella scena culminante del banchetto, un certo incongruo affaccendarsi di servi carponi dietro la tavola per sparecchiarla non visti, mentre al proscenio Don Giovanni, la Statua e Leporello con timo una delle più grandi pagine di tutta la musica. Poi abbiamo capito: à per poter permettere il bell'effetto di Don Giovanni che trascinato nella botola infernale si aggrappa invano alla tovaglia e se la tira addosso. Bell'effetto, ma chissà se vale la pena dt quel molesto tramestio. D'altra parte, che Don Giovanni si tiri addosso tutto, tovaglia, zuppiera, piatti, posate e candelieri accesi, può essere eccessivo. Altro, piccolo lieo: l'urlo dt Donna Elvira che s'imbatte nella Statua sulle scale, dovrebbe venire da fuori scena; forse iKpalcoscenico del Margherita e, nonostante tutto, un po' troppo .largo J»r consentirlo. dito, anche a scena aperta, va attribuito ai direttore di orchestra Thomas Ungar: uno che, fortunatamente, non concepisce Mozart imbalsamato nella compostezza classica. La sua direzione e vivida, fervorosa, eppure calibratisi ima. Sarà merito suo, ma certo l'orchestra ci ha stupito per la sua finezza: cèrti lavoretti contrappuntistici ed espressivi dei basai non accade di sentirli in molte delle incisioni grammofoniche che vanno per la maggiore. Come faceva Toscanini, Il direttore ha omesso l'ultima aria di Donna Anna, «Non mi dir bell'tdol mio», che per la sua palese inopportunità drammatica ha sempre costituito la disperazione dei grandi mozartiani, da Berlioz a Dallapiccola. Discreti gli interventi del coro, istruito da Adolfo Fanfani. Come ormai ò abitudine frequente, sebbene non giustificata dalla partitura, il coro e stato coinvolto nel « Viva la libertà » del primo Finale, per il benvenuto alle maschere. Massimo Mila Mozart di Levine (Copyrlirtil N.Y. Rcvtew al dotta. Opera Mundi • pei l'Udì* La Stampai

Luoghi citati: Genova, Torino, Vienna