Napoli produce sociologi di Mimmo Candito

Napoli produce sociologi Boom degli iscritti alla nuova facoltà Napoli produce sociologi Tremila iscritti, aula sempre piena • La città costituisce un inesauribile testo di studio dal vero - I nuovi metodi didattici trovano ostacoli in una mentalità in ritardo t Dal nostro inviato speciale) Napoli, 22 marzo. Quando c'è lezione di sociologia, nel vecchio Ateneo di corso Umberto le aule del pri. mo piano sono schiacciate di studenti; e al bidello che viene ad annunciare la fine della lezione e l'orario di chiusura può accadere d'essere cacciato via con grida indignate e minacce di «occupazione». In una Università distrutta, inutile, senza futuro, questa della sociologìa napoletana è una storia assai singolare, che merita d'essere conosciuta. L'atto di nascita è il 9 marzo '72, quando la Gazzetta Ufficiale pubblica il decreto presidenziale che dice: «l'resso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Napoli è istituito il corso di laurea in Sociologia». E' l'inizio paludato, accademico, ma le sociologia empirica napoletana ha una lunga cronaca anteriore, che ha protagonisti il gruppo «Nord e Sud» di De Capraris e Compagna e il breve lampo del Copcos con Alberoni, Bob bio e Rossi-Doria. Il superamento del meridionalismo tradizionale, le analisi di Alluni, Mottura, Capecelatro Donolo, Pugliese, hanno con tribuito alla socializzazione1 dei problemi del Mezzogìor no, e di Napoli in particolare, razionalizzando la necessità di interventi organici nel territorio. Ci sono, certo, ostilità e contrasti, ma l'appoggio dello storico Giuseppe Galasso, preside della facoltà di Lettere, è determinante alla sconfitta del tradizionalismo del corpo accademico. Già al primo anno, l'autunno del '72, gli iscritti sonj più di 600; oggi sono quasi tremila, una cifra che supera gli studenti degli altri tre corsi della facoltà (Lettere, Filosofia e Lingue) messi assieme. Napoli, si sa, è uno straordinario laboratorio sociale; le sue strade e la sua gente sono un mondo complesso e contraddittorio, l'Industria vi convive con centocinquantamila disoccupati e duecentomila sottoccupati, le feste popolari e le sceneggiate non ignorano il gangsterismo scientifico della camorra. Lauro e Cava sono l'altra faccia dei «bassi» miserevoli e sovraffollati. A questa realtà stimolante che circonda il vecchio palazzo del «rettifilo» va aggiunta — dicono alcuni docenti napoletani — «la particolare propensione della nostra gente all'osservazione sociologica, una vocazione fatta di intuizioni acute e di grande disponibilità alla comprensio ne sperimentale delia società in cui viviamo». Forse c'è una piccola punta d'orgoglio, e di trionfalismo; ma pur senza ignorare i dise gni «baronali» che hanno influito sulla nascita di questo corso di laurea, e la genericità della scelta compiuta da molti dei tremila studenti, non v'è dubbio che il succes- so trova spiegazioni anche nei dati oggettivi della realtà napoletana. La sociologia è una scienza empirica, che impone un confronto continuo con la realtà: «// libro di testo principale — dice il professor Vitiello — è fuori dalle finestre dell'aula», e Napoli è 11. Interprete e motore di questo successo è il docente di metodologia della ricerca sociale, Domenico De Masi. Sfruttando sue esperienze a Roma e Milano nell'ambito della formazione di quadri professionali, De Masi ha introdotto i::-.a didattica nuova, «in cui teoria e pratica sono strettamente interconnesse e gli studenti debbono alternare continuamente lo studio teorico individuale al dibattito collettivo e alla verifica diretta delle proprie ipotesi nel vivo della vita quotidiana». Ci sono incontri continui con studiosi italiani e stranieri, e lezioni e ricerche fatte «sul campo», nei luoghi in cui accadono i fatti da studiare, Galatina, Nola, Guardia Sanframondi, S. Agata dei Goti, a contatto immediato con il potere politico, le classi sociali, gli effetti della industrializzazione, il mondo contadino. L'attivismo di De Masi ha suscitato i rancori dei «vecchi» professori, ma gli ha guadagnato l'appoggio degli studenti e fatto, della sua lezione, la più seguita e partecipata dell'intero corso. L'immaginazione sociologica del docente è molto spinta, le sue tecniche didattiche provocano il coinvolgimento e il dibattito, ignorando le vecchie strutture e i formalismi cattedratici. Le piccole aule non sono più sufficienti, l'orario della lezione non basta: si va oltre, ignorando le disposizioni del rettore, e si cerca anche d'avere in prestito una sala nella vicina sede dei sindacati, «per poter continuare la nostra lezione senza essere disturbati». La frequenza e l'interesse degli studenti si manifestano in un impegno scientifico che vince anche le gravi carenze (mancano aule, biblioteche, attrezzature, laboratori) del corso di laurea: In due anni, sono state realizzate ottanta «ricerche» su problemi di stretto interesse locale — dall'emigrazione alla disoccupazione, al lavoro minorile, ad un'anulisi dello stesso corso di sociologia — avviando una metodologia d'indagine preziosa per la conoscenza della società partenopea; sono stati realizzati tre documentari per la televisione, ed è nata una cooperativa editrice come strumento diretto d'intervento a livello culturale e politico. Dice Vitiello: «Questi sono studi dai quali non si può uscire come si e entrati». Resta il problema degli sbocchi professionali. A giugno s'immetteranno nel mercato del lavoro napoletano alcune centinaia di «dottori in socioliogia»; le speranze d'una sistemazione coerente olla loro scelta universitaria sono praticamente nulle; un'inchiesta condotta dagli stessi studenti presso un campione di aziende meridionali ha riscontrato grande attenzione verso la sociologia ma nessuna disponibilità a impiegare sociologi. L'apparato produttivo è costituito prevalentemente da piccole e medie imprese, i managers del Sud vedono ancora il sociologo come una sorta di assistente sociale; gli studenti ne sono consapevoli, ma se alcuni si dicono disponibili a qualsiasi occupazione, la maggior parte fa un discorso duro e provocatorio: «Saremo disoccupati, ma saremo I primi disoccupati "critici" del Sud: avremo strumenti culturali e politici che ci permetteranno di organizzare la nostra protesta e la p nostra condanna. Saremo un pericolo continuo per chi ha voluto questo». E' mancata finora quello che il professor Ragone definisce «politica culturale ilei corso, cioè la creazione di rapporti con le istituzioni produttive, politiche e culturali della città». E' uno degli aspetti della crisi della sociologia in Italia, a Napoli assume un rilievo particolare per le contraddizioni socio-politiche dell'ambiente cittadino. De Masi dice che «la sociolo- \ già deve sviluppare in chi la coltiva non solo una particolare attitudine all'osservazione e alla critica della realtà, ma anche e soprattutto un concreto impegno a operare in questa realtà per superare le contraddizioni e dirigerle verso sbocchi più adeguati»: eppure può capitare che — facendo la conta di tutti gli studenti che una notte debbono partecipare a un giro di studio nel centro storico, poiché di giorno il traffico umano rende impossibile ogni ricerca — quasi tutte le studentesse presenti in aula dichiarino di dover rinunciare, «pere/le alle otto debbo essere a casa, se no i miei genitori mi mandano via». L'esplosione di sociologia a Napoli è un fatto positivo, un grosso test di modernità; ma l'anima angosciata e tradizionale della città è ancora presente, anche nel ragazzino di undici anni che — con un thermos e quattro tazzine — gira tra gli studenti a vendere il caffè mentre il professore sta spiegando Marx e le human relations di Elton Mayo. Mimmo Candito