Montedison: processo d'appello per i "fanghi rossi,, del Tirreno di Filiberto Dani

Montedison: processo d'appello per i "fanghi rossi,, del Tirreno ^ marzo prossimo davanti al tribunale di Livorno Montedison: processo d'appello per i "fanghi rossi,, del Tirreno Imputati Eugenio Cefìs e 4 dirigenti - La Corsica ha chiesto nove miliardi per danni iDal nostro inviato speciale) Milano, 1D marzo. Riesplode la storia dei «fanghi rossi» di Scarlino: al tribunale penale di Livorno, il 24 marzo, processo d'appello contro Eugenio Cefls. presidente della Montedison e quattro dirigenti del grande complesso chimico: al tribunal: civile di Bastia, il mese prossimo, processo contro la Montedison per i : danni causiti dall'inquinamento marino. I giudici di < Livorno dovranno pronun [ ciarsi sulla sentenza del pre [ tore che, il 27 aprile 1974, ha ! '■ inflitto, con il beneficio della, j condizionale, tre mesi e venti giorni di carcere a Eugenio • Cefis, Alberto Grandi, Marco. Micarelli, Angelo Lorenzi elCesare Bianconi, colpevoli|d'aver danneggiato «rie risorse ; biologiche dell'alto Tirreno e idel Mar Ligure, immettendovi sostanze tossiche atte ad ucci- j dere gli organismi marini e distruggere il plancton, alimento fondamentale della fauna ittica». I giudici di Bastia, invece, dovranno pronunciarsi su una richiesta di risarcimento per ttdanni ecologici» avanza- l o : < ! la lavorazione del biossido di , titanio, un pigmento che ser- dison dai due dipartimenti ' deva Corsica, dall'associazione dei pescatori di Bastia e dalla municipalità di Nizza: 55 milioni di franchi francesi, pari a nove miliardi di lire. 1 « fanghi rossi ». sono, come si sa. le scorie dei- ve a colorare vernici, smalti • plastica. Contengono una foro. te quantità di solfato di ferro eliche a contatto con l'acqua i|diventa rosso), acido solforie ; co, manganese, vanadio, titae i nio e cromo. Dall'aprile '72 al settembre '73. le navi cisterna - j dello stabilimento che la Montedison ha costruito a Scarlino, nel golfo di Follonica, li hanno scaricati al ritmo di tremila tonnellate al giorno a nord di Capo Corso, in un rettangolo di mare che misura sedici miglia per tre. la storia dei «fanghi rossi»' tumultuose manifestazioni diprotesta, attentati dinamitardi La forte pressione popolare, oltre a provocare l'intervsnto della magistratura che ha mandato sotto processo i responsabili dell'inquinamento marino, ha infine ottenuto soddisfazione senza costringere la Montedison a smantellare uno stabilimento che nove anni fa aveva richiesto un investimento di 35 miliardi di lire e dà lavoro a più di seicento persone. L'intesa raggiunta nel gennaio '74 prevedeva che, inizialmente, lo stabilimento trattenesse a terra gran parte dei «fanghi rossi» e scaricasse in mare soltanto le scorie depurate dell'acido solforico: in un secondo tempo, ma entro il 1975, un nuovo impianto, il primo al mondo in senso assoluto, avrebbe «riciclato» tutto, eliminando cosi anche gli scarichi. Da allora sono passati due anni, dei « fanghi rossi » non s'è più parlato, la stessa vicenda giudiziaria ha perso il I clamore d'un tempo. Ecco, invece, riaccendersi l'interes se. Dalla Francia, negli ulti! mi due mesi, arrivano un paio di bordate: rispondendo all'interrogazione d'una parlamentare, il ministro « per la qualità della vita » André Jarrot afferma che la Montedison « è venuta meno all'impegno di interrompere gli scarichi in mare entro il 1975»; a sua volta, l'avv. Christian Huglo di Parigi, specialista in problemi d'inquinamento industriale, informa i giornalisti che la Corsica chiederà olla Montedison 55 milioni di franchi a titolo di risarcimento (dice testualmente: <.•/..< società chii mica italiana non ha mantenuto le sue promesse ed è per questo che noi riprendiamo la guerra contro la Montedison basandoci sul principio che "chi inquina \ paga"»). Ma come, il problema dei n fanghi rossi » non era stato dato per risolto? Il cronista, perplesso, chiede lumi alla Montedison, parla con tecnici ed ecologi del colosso chimico, ricava queste notizie: l'impianto per il « riciclaggio » non è stato costruito, le scorie del biossido di titanio vengono tuttora scaI ricate in mare, l'onere della j depurazione appesantisce i .costi di produzione al punto da mettere in forse la sopravvivenza dello stabilimento di Scarlino. Cominciamo dall'impianto ! di « riciclaggio » delle scorie. 1 Perché non è ;.tato realizzato? Rispondono i tecnici della Montedison: « Tutta colpa della crisi energetica che ci è capitata fra capo e collo proprio quando avevamo cominciato a costruirlo. Lo impianto doveva consentirci di riutilizzare l'acido solforico, ma il suo funzionamento era basato sull'evaporazione dell'acqua: ciò avrebbe comportato un astronomico costo di gestione. Siamo stati costretti a puntare su un nitro impianto che tratta l'acido solforico con calcare macinato: ne vien fuori una torbida di gesso assolutamente innocua. Solfato di ferro e "fanghi", invece, li accumuliamo a terra, in appositi bacini, dove vengono trattati da impianti di filtrazione, lavaggio e neutralizzazione ». E i versamenti in mare? « Scarichiamo soltanto la torbida di gessa, jv'ndi non è più il caso di parl"~e di "fanghi rossi", di inquinamentodi disastro ecologico. Il deflusso avviene attraverso un tubo flessibile di 120 metri di lunghezza che immette i rifiuti in una zona di mare '••m fondali di oltre mille 'retri. Una volta scaricavamo i tremila tonnellate al giornoI oagi arriviamo sì e no alle I 1800 tonnellate. Oltretutto è i un'operazione che per la sua complessità dev'essere compiuta in condizioni di mare calmo: quando ci sono, come in questa stagione, delle perturbazioni, siamo costretti ad accumulare le scorie nelle installazioni a terra per¬ che lo scarico in mare e au- liere non cumulabili. Succe¬ de allora che i depositi si saturano frequentemente provocando un arresto della produzione Si spiega così perché lo stabilimento di Scarlino lavora soltanto al 70 per cento e, soprattutto, perchè i costi dì produzione sono altissimi e le perdite economiche ingentissime ». Filiberto Dani