Fo: "La droga fa bene ma soltanto al potere,,

Fo: "La droga fa bene ma soltanto al potere,, Un incontro con Fattore-autore a Milano Fo: "La droga fa bene ma soltanto al potere,, Alla Palazzina Liberty la farsa politica "La marijuana della mamma è la più bella" (Dal nostro inviato speciale) Milano, 6 marzo. Dario Fo e la droga, e la crisi della famiglia, e la fine dei grandi principi, e la polemica col partito comunista, e poi ancora Dario Fo. «La marijuana della mamma è la più betta», da alcuni giorni in scena alla Palazzina Liberty, diverte una buona parte del pubblico, e fa discutere tutti. Dal suo bunker fine Ottocento al centro del parco, l'attore ha lanciato un altro bengala, nel cielo del nostro teatro, il fuoco passa rapido, sembra incendiare tutto; e, quando si | spegne, lascia, insieme, un'impressione di allegria e un odore di bruciaticcio. L'allegria è quei!a che <•oìdi mica l'attore 1 sulla scena, con la sua recita- ! zione progressivamente acce-1 lenita, i suoi guizzi burattineschi, che recuperano, in chiave moderna, la farsa più antica. Il bruciaticcio è quello che nasce dalla esibizione delle sue idee e, soprattutto, dalla deliberata provocazione delle idee altrui. Il dissenso nei suoi riguardi, questa volta, è cominciate prima ancora che Io spettacolo andasse in scena; e l'attore è riuscito a raccogliere altri «no» subito dopo il debutto. Ma Fo vive nell'eresia, coltiva con tenacia la sua posizione di reprobo, quasi quanto l'aerba» che i personaggi della sua farsa fingono di coltivare nella vasca da bagno. «La marijuana della mamma è la più bella» è, insieme, una comica del primo Fo e un apologo sociale dell'ultimo Fo, per un risultato inconsueto su un tema oggi anche troppo consueto. La parabola ! è rovesciata fin dall'inizio, ! con le luci che si accendono | su un bravo nonnino e una i appesantita madre di famiglia (Dario Fo e Franca Rame) dediti a fumare hashish fra le lenzuola stese in cucina. E' un avvio irresistibile, per una situazione base che l'attore si diverte a capovolgere man mano, la chiave per lo sviluppo della commedia. Più ardua la tesi di fondo, che l'attore sostiene in coerenza con le proprie scelte politiche, e dichiara con spavalderia alla ribalta, prima dello spettacolo. «Noialtri siamo convinti che la droga, tutta la droga, fa bene. Fa bene a quelli che la sanno controllare». Purtroppo, nella nostra società, soltanto i ricchi hanno gli strumenti per controllarla. I poveri ne diventano schiavi. E il potere si serve della droga, come di altri mezzi, per asservirli ancora di più. Il problema della droga — avverte Fo — non si risolve con la repressione; ma neppure predicando una permissività generica, che può andare a danno delle classi subalterne. Si risolve politicamente, cambiando il controllo dei mezzi di produzione e di consumo. L'attore, sulla scena, invita a battersi perché finisca la discriminazione fra i'i ricco che usa la droga e il povero che ne viene usato. La tesi, cosi congegnata, costringe Dario Fo a ballare per le tre ore dello spettacolo sul. la corda tesa, l'esercizio che egli ama di più; e gli consente di trovarsi in contrasto con quasi tutti. Può respingere, insieme, le posizioni dei conservatori e dei radicali, dei comunisti e degli hippies. Non accetta lo spirito liberalizzante della nuova legge sulla droga, «perché i problemi non si risolvono con le leggi, ma con il cambiamento della società», diffida delle proposte sanitarie per curare i drogati, «perché il problema non è farmacologico ma politico»; prende decisamente le distanze dai gruppi come il «Re nudo», che difendono la droga secondo una concezione «aristocratica», e individualista. La polemica più dura, ancora una volta, è con il partito comunista. Ci dichiara: «Il pei ne fa una questione di potere. Ha ttecettato Videa della legge. Ma un partito comuni sta che accetti queste soluzio ni non è più un partito marzi- ! sta». Il solco con il pei sembra essersi accentuato, anziché attenuarsi, dopo il 15 giugno. Lui e i suoi attori, nella Palazzina Liberty, rimangono «occupanti», in guerra con l'amministrazione comunale milanese, anche se adesso a Palazzo Marmo ci sono i comunisti. «I nostri maggiori nemici sono proprio loro — dice Fo —. Odiano tutto quello che non è controllato direttamente da un'organizzazione». E non amano nemmeno il suo nuovo spettacolo, che l'Unità critica aspramente Dario Fo, sulla scena, non se ne preoccupa. Anche se viene emarginato dai partiti di massa («o che dicono di essere di massa»), sa di poter contare sul pubblico della Comune. Sono 85 mila associati nella sola Milano, affollano ogni sera i suoi spettacoli. Lui li aspetta II, sullo spiazzo, davanti al monumento che ha fatto erigere contro Bava Beccarisi lo riconoscono tutti e lui finge di riconoscerli tutti, è il «suo» partito di massa. Giorgio Calcagno

Luoghi citati: Milano