Un liceo fuori del tempo

Un liceo fuori del tempo INCONTRI CON STUDENTI E PROFESSORI A ROMA Un liceo fuori del tempo Nessuno crede più nell'insegnamento tradizionale, la riforma non arriva, le sezioni sperimentali non hanno mezzi • Gli allievi sono divisi tra rivendicazioni corporative e confusi oltranzismi; è ambigua anche la posizione di molti docenti Koma, marzo. Dopo esser passati di liceo in liceo, a Roma, si esce amareggiati e con un sentimento di dispersione addosso. La vecchia scuola non tiene più: gli ordinamenti scolastici d'un tempo, rimasti in piedi in scheletro, possono dare il capogiro per la loro distanza dalle più eie- né la sperimentazione, cosi come si è venuta configurando, prospetta soluzioni realmente alternative. Si dice che il modo di studiare dei licei sperimentali punta soprattutto a offrire un metodo nuovo agli studenti: il metodo della ricerca. Ma è sempre possibile obiettare che la « ricerca » in sé è appena un fantasma. Diceva quel grande sperimentatore di forme espressive che è stato Picasso: « Io non cerco, io trovo ». E aveva ragione. Con questo intendo dire che il vero prò\ blema. per una scuola che j voglia essere formativa — mentori esigenze di cultura; qui non stiamo parlando di studi superiori, — è di contenuto. Decidere che ragazzi di quindici, sedici, diciassette anni, massimo diciotto. « cerchino » non sapendo cosa cercare, o sapendolo confusamente, è insensato. Quando si considera cosa questi studenti « cercano », ci si accorge che. tutto som- mato. la novità è ristretta in quel che i programmi mi- nisteriali. senza alcun dub- bio sclerotizzati. stabilisco no da decenni. Ma è anche vero che ac- cadono fatti nuovi: ad esem- pio, la tecnologia è entrata nella scuola, non soltanto co- me teoria o storia della scienza, ma come pratica. Alcuni studenti dello Sperimentale XXV (ospitato all'ultimo piano del « Pilo Albertela ». Santa Maria Mag- giore) mi dicono che il loro sforzo è di capire quale sia il rapporto Ira studio e lavoro. Ma aggiungono pure che questa esigenza, attiva oltreché legittima, è spesso messa in forse dagli stessi insegnanti, e dalla situazione obiettiva in cui versa l'istituto. Accade che gli insegnanti non siano preparati a ri¬ spandere alle proposte degli allievi o che, rispondendovi, si mostrino noncuranti e sempre pronti a tornare ai binari consueti. Cosa dire quando si viene a sapere che nei licei sperimentali vengono consigliati per lo studio della storia della filosofia t tre volumi del Lamanna. che sembrarono già inutilizzabili a chi oggi ha quarant'anni? Quei volumi, per quanti aggiornamenti abbiano potuto subire, vanno rimandati a chi desideri considerare il modo in cui, sei e più lustri fa, si studiava la filosofia nei licei italiani. E veniva studiata e presentata a confortare quel detto scemo che la vuole come « la scienza con la quale e senza la quale si rimane tale e quale». filosofia in un liceo conqual che passione sa in quali dif ficoltà si è imbattuto, allo scopo di mutare una men talltà che gli studenti sem bravano aver assimilato per vie imponderabili. Dall'anteguerra Inutile dire che le cose sono cambiate, o che anche allora erano diverse, ma nelle scuole italiane non tanto: e chiunque abbia insegnato Dunque, c'è un problema di insegnanti: la loro preparazione, o la loro disposizione ad aprirsi a reali sperimentazioni. Gli studenti sostengono che gli insegnanti sareb¬ bero disponibili nella maggioranza dei casi, e che. sempre nella maggioranza dei casi, sono animati dalle migliori volontà: ma, alla resa dei conti, non hanno di meglio da offrire che schemi esauriti. Offrono cioè quel che hanno: una preparazione avvenuta con criteri e su lesti che nulla o poco hanno risentito di quel che la cultura ha proposto di nuovo. I E gli studenti hanno fame \ di novità, forse anche, sog- ! giacendo alla logica del consumo che governa la realtà 1 in cui sono nati e cresciuti. Di fatto, quando si affacciano sul mondo extrascolastlco, gli stridori, le sfasa- [ ture della scuola diventano . avvertìbili più che mai. Con questo veniamo alla situazione obiettiva in cui moltissimi istituti versano: lo stato delle loro strutture. Un esemplo, da questo Liceo Sperimentale XXV ospitato nel romano « Pilo Albertel- ! li ». Il XXV occupa l'ultimo piano d'un edificio malandò- ' to: il numero delle aule è ridottissimo. « Ho scelto », mi dice uno studente di terza, « fra le materie opzionali, il russo. Con l'insegnante non sappiamo dove fare esercitazione. Nella mia classe è impossibile perché la maggioranza studia inglese e 1 quindi resta in aula. Facciamo esercitazione in corrido- • io: ma lì. naturalmente, è come non farla ». Avete i gabinetti scientifici? domando. « No. C'è uno sgabuzzino con qualche apparecchio: non ci si entra in più di tre o quattro. Né gli apparecchi possono venire portati fuori: sono vecchi, ridicoli ». Un liceo sperimentale do- , vrebbe agire a « tempo pieno »: i ragazzi dovrebbero trascorrervi l'intera loro I giornata di studio. Escono intorno alle quattro del pomeriggio. Dove mangiate? chiedo. « In classe, in corridoio: ci portiamo il cibo da casa, oppure usciamo, andiamo in qualche trattoria intorno. Qualcuno ci fa abbonamento mensile... ». Un altro ragazzo interrompe: fa il quinto anno, è arrivato alla fine del curriculum, vuol dire il risultato della propria esperienza. Solo sulla carta «Nel primo biennio le cose non vanno male. Si riesce in qualche modo a realizzare quella tnterdisciplinarità che la scuola nuova si propone. Nel triennio successivo tutto si sfascia. Si ritorna da capo in diverse materie. Prima abbiamo studiato la storia greca: adesso si studiano i filosofi greci e, quanto alla storia, si dovrebbe studiare il medioevo. In pratica non si riesce a fare né l'una né l'altra cosa. Ma questo è un esempio banale. La questione è più vasta. I licei sperimentali sono nati per sperimentare appunto nuovi metodi didattici. Sono nati, dicono: ma sono nati sulla carta. Non è stato dato loro niente perché si caratterizzassero, perché funzionassero: né aule, né insegnanti adatti. Si è dimostrato così che i nuovi metodi non sono praticabili: anzi, che la stessa riforma della scuola, la riforma a venire, va ritardata finché... Chissà a quando! Insomma, le difficoltà in cui sbattiamo la faccia ogni giorno qui dentro dovrebbero essere un monito a farci capire che la scuola andava bene così come era. Invece sono un monito a farci capire la mancanza di volontà politica di chi ha avviato questa riforma, sostanzialmente dichiarandola impossibile. Io non sono d'accordo con alcuni miei compagni quando attribuiscono alcune responsabilità di disfunzione agli insegnanti che abbiamo. Le responsabilità sono ripartite: sono degli insegnanti, sono nostre; ma la stragrande maggioranza di esse ricade su chi la riforma non la vuole perché ne ha paura: e la allontana nel tempo o la camuffa. Un paese diventa moderno quando la scuola funziona ». Cose non dissimili sosteneva un gruppo di studenti del «Visconti», un liceo che agisce nell'alveo della tradizione. «Ci chiediamo spes- so», mi diceva uno di loro. «perché la scuola non assol- ve a un ruolo che noi. dall'interno, possiamo riconoscere positivo. La nostra ri- sposta non è: perché non forma l'intellettuale organiCO, ma piuttosto perché non riesce a fornire alcuno stru- mento di inserimento per l'individuo nel. mondo del lavoro. Non li fornisce neanche a quei pochissimi che possono nutrire in sé la vocazione degli studi e dell'insegnamento. Errori, noi studenti», continuava questo ragazzo, un biondino di sedici anni con la taccia di un putto di Luca della Robbia, «ne abbiamo fatti tanti. Abbiamo chiesto il 6 minimo garantito: in alcune scuole lo abbiamo anche ottenuto. Ma, al meglio, quella conquista riduce gli effetti dello studio a nozionismo. Il diritto allo studio è un'altra faccenda: è qualcosa che deve riqualificare la scuota stessa. Voglio anche dire che abbiamo chiesto cose che diminuivano la nostra fatica ma lasciavano la scuola quale era. Questo è proprio quel che non andava fatto, e conforta chi ci giudica guastaj feste. In fondo, ci preoccu-1 piamo soltanto di guadagna i re la promozione, e taccia | mo del corporativismo sen j za accorgercene». Questi ragazzi del «Visconti» hanno battibeccato un po' fra loro. Anche loro, come gli altri che ho incontrato, erano pronti a parlarmi della propria utopia, di come vorrebbero la scuola di domani, sfuggendo curiosamente a guardare in faccia la scuola di oggi. Quan-do ho chiesto se frequentassero il gabinetto scientifico d'istitutj. mi hanno risposto di no: «E' un museo: gli apparecchi che ospita vanno rispettati come pezzi d'antiquariato, sono inservibili a qualsiasi esperimento». E a quel punto si sono decisi a dire, che il loro'modo di contestare alcui ni insegnanti che considerano fuori gioco è del tutto idiota: «Bruciamo il cestinoPortiamo sterco di cavalloin classe. Sono i soliti scherZi da caserma, che riusciamo a fare con più facilità duna volta perché la disciplina è sparita». Sembra che abbiano nostalgia per la disciplina, ma anche quella nostalgia finisce per apparire un vezzo. «Il fatto è che vanno ascuola senza sapere perché/ migliori di loro sono degli autodidatti. Il resto nonsi prefigge altro scopo che"lare casino"». Parlo con una giovanissima insegnante. Ha «fatto il '68» da studentessa: torna quest'anno nella scuola come supplente di lettere, liceo classico «Tacito», l'istituto dove una settimana fa una discussione fra preside e studenti si è chiusa col ricovero del preside in ospedale per collasso cardiaco. «Sì», dice questa ragazza che si è laureata da poco: «il 'SS è stato realizzato nei licei, ma soltanto nei suol aspetti negativi. Alcuni sanno che il diritto allo studio è diventato un puro e sem plice diritto alla promozio ne: ma tutti, concordemen te, hanno voluto che fosse così. Perfino alcuni insegnanti. Alla resa dei conti, non si sa cosa insegnare, ed è inutile e pazzesco andare in caccia di grane. Quando si dice che la scuola è diventata un immenso parcheggio di ragazzi in attesa della disoccupazione, non si dice niente di avventato. Su dieci ragazzi che pensano e si preoccupano del loro futuro, ce ne sono mille che abbracciano il partito del "tanto peggio tanto meglio" senza rifletterci due volte. E' semplice, è facile abbracciarlo. E' stabilito, ad esemplo, che la versione di latino sia fatta in gruppo: chi ha in mano il vocabolario è soltanto uno di loro: gli altri leggono Lotta continua. Se l'insegnante tenta di invitare questi ultimi a tradurre, c'è il rischio della contestazione selvaggia, dello sciopero e così via. A parole, invece, tutti sono disposti a sostenere che il lavoro di gruppo deve come metodo essere rispettato, e che ogni iniziativa individuale va corretta, se non bloccata». Chiedo a questa insegnante quale sia il suo orientamento politico. Mi risponde: «Sono comunista: e questo, in una classe qualsiasi di liceo, può diventare motivo di contestazione da sinistra. Ma la vera questione politica è un'altra: a causa degli scioperi continui, che variano da istituto a istituto, nei licei di Stato, In alcuni per lo meno, le iscrizioni stanno diminuendo: mentre le scuole private sono in fase di rilancio». Ur. ragazzo del XXV mi aveva detto: «Ci vorrebbero quieti, tranquilli e benpensanti. Perché lo dovremmo essere? Mi consigliano di andare in biblioteca a leggere un libro, ma nessuno mi ha spiegato come cercare il libro nello schedario. Mi dicono che frequento un istituto modello: poi, la nostra scuola è divisa in tre sedi e non se ne capisce il perché. Alcune classi stanno al "Pilo Albertelli", altre al "Giulio Cesare", altre ancora al "Dante". Le sembra che questo sia un modello di organizzazione?». Il ragazzo parlava con demagogia, ma alla sostanza metteva in luce crude verità. Enzo Siciliano

Persone citate: Albertelli, Enzo Siciliano, Lamanna, Luca Della Robbia, Picasso, Visconti

Luoghi citati: Roma