Il reverendo tra i mafiosi di Francesco Rosso

Il reverendo tra i mafiosi LE GRANDI FAMIGLIE DEL CRIMINE: I COPPOLA Il reverendo tra i mafiosi Don Agostino è al centro di una straordinaria società per azioni a base familiare - Non ha mai imbracciato il mitra, ma sul suo cammino vi sarebbero almeno quattro morti • Scoperto per una spiata, che lo ha ricollegato al sequestro dì Montelera (Dal nostro inviato speciale) Palermo, marzo. Sovente basta un nome, pronunciato anche occasionalmente, a far scattare la molla dell'interesse professionale. Giacomo Taormina è appunto quel nome. Una sera come tante in un salotto palermitano assai « bene », tra uente squisita e oggetti preziosi. Conversazione un po' vacua su certe abitudini isolane tra le quali, inevitabile, la mafia. Il padrone di casa, uomo asciutto, alto, portamento aristocratico, un filo di baffi bianchi sul volto abbronzato, so- siiene che la mafia potrebbe essere debellata con metodi semplicissimi. « Come ho fatto io, dice; ho mollato due schiaffoni a Giacomo Taormina e sono ancora qui, come vede ». Lo vedo, ma se bastassero gli schiaffi a liberare la Sicilia dal secolare flagello, che ormai ha contaminato l'Italia intera, credo che ci proveremmo un po' tutti. Invece, non bastano carabinieri, magistrati, ergastoli, e nemmeno il buon Dio. se è vero che alcuni suoi ministri si rivoltolano nel crimine, o lo subiscono con uno strano concetto dei ma- le minore. Ed è qui. proprio a causa *" un Prc'e- c'ie scatta la molla dell'interesse, sotleci- \ tata da quel nome. Giacomo I Taormina, implicato nel se- \ queslro del conte Luigi Rossi 1 di Montelera. il crimine più \ recente e legato ai gruppi \ mafiosi di Tommaso Natale | che in anni nemmeno troppo remoli hanno fatto cantare armi d'ogni calibro, e popolato di morti ammazzati il cimitero del piccolo paese a dodici chilometri da Palermo. Per la ricchezza Afa di Tommaso Natale parlerò altra volta; per ora cerchiamo di restare più vi- | cini alla cronaca recente. non tanto per rinfrescare un avvenimento che fece scalpore, ma per interpretare un fatto socio-economico abbastanza diffuso nel Meridione: la famiglia come complesso industriale nell'attività criminosa. In ogni società bene articolata, la famiglia rappresenta il nucleo fondamentale: siccome in Sicilia la società è articolatissima, la famiglia, che poi diventa clan, è spesso una attrezzatlssima s.p.a.. società per azioni, che ha come scopo la creazione della ricchezza dal nulla l'estorsione, la minaccia. Il sequestro di persona rappre- sentano la catena di mon taggio di fortune cospicue create solo con l'audacia, la fantasia, un tantino di or ganizzazione. Il delitto sanguinoso non è sempre necessario, anzi, una delle preoccupazioni di questa società per azioni fa- miliare è di stare lontani il più possibile dall'omicidio; vi si ricorre quando è proprio necessario, per far tacere testimoni importuni, o eliminare ostacoli oltre i quali c'è la ricchezza. Discorso un po' lungo, ma necessario, dovendo parlare della famiglia Coppola, da Partinico, paese che rientra nella ira¬ ff'ca zona di Corleone, con tanti cadaveri di mafia al- meno quanti sono i vivi. E della famiglia Coppola fa parte don Agostino, un pre- te moderno, intraprendente, che aveva più dimestichezza con il codice penale che col breviario per potersi muovere meglio tra le ragne della legge. Certo lui il mitra non lo ha mai imbracciato, ma a leggere le indagini di cara- binieri e polizia, dì morti sul suo cammino ve ne sono al- meno quattro. Un prete tra i mafiosi non rappresenta uhà novità in Sicilia. Ricor- date padre Perrone, il gesui- ta del Gattopardo, e don Gaetano, il prete che dirige _ ti seminario-albergo del Todo | modo di Leonardo Sciascia, Don Agostino Coppola si tro- va immerso in un contesto sociale non differente dal suoi due confratelli in lette- , ratura: ha due fratelli. Già- ! corno e Domenico, sicuramente meno colti di lui, ma altrettanto scaltri. Provengono da una povera famiglia di contadini, il giovane Agostino ha studiato latino e teologia, sa ragionare. I ma- ! flosì siciliani inviati al confi- j no nell'Italia settentrionale possono diventare degli otti- mi soci in affari solo che si sappia agire come si deve, /j primo colpo i tre fratelli I /<, fanno in Sicilia, a Pater- I mo: rapisCono Luciano Cas- j sina flgU„ di un rìcco indu. s,rj0;e> e chiedono un mtliar- \do e mezzo di riscatto, una cifra che pareva enorme per quei tempi. Ed ecco l'astuzia di chi ha studiato filosofia ed altro; trovare l'intermediario giusto. Tra i rapitori e la fami- olia de' ™p"° s< s'ab"isce un contatto attraverso una persona al di sopra di ogni sospetto, il gesuita padre Aiello. che è anche consulente spirituale della famiglia Cassino. Le trattative vanno per le lunghe, ma danno risultati lusinghieri, sul miliardo e mezzo chiesto all'inizio viene fatto uno sconto di duecento milioni. Il giovanotto torna a casa, i suoi genitori si rallegrano, il buon gesuita ringrazia Dio di aver contribuito a salvare una vita, sia pure per un prezzo piuttosto alto. Secondo i carabinieri, questo primo successo invoglia la famiglia s.p.a. dei Coppola ad allargare il giro d'affari: al Nord ci sono molti siciliani al confino: perché lasciarli 'che'voiìa il ~vtaggio^da*To rjno a Palermo, e forse si sarebbe sciolto' presto an jj nodo Rossi di Monte- inoperosi? Non sarebbe più opportuno servirsene, visto che ormai in Sicilia i limoni succosi sono stati già quasi tutti spremuti, mentre al Nord, famiglie che sembrano da quattro soldi, sono invece ricchissime e dopo i primi pianti sulla loro miseria, sborsano i miliardi come niente? Chi abbia avuto l'idea di insediare nei ricco Settentrione i più tamosi grassatori di Sicilia e Calabria non è noto, certo ha dato un impulso più che considerevole all'industria dei sequestri. Al Nord ci sono i Taormina, altra s.p.a. proveniente da Tommaso Natale, non lontano da Carini dove, nel frattempo, don Agostino Coppola è stato trasferito con funzione di parroco. I Taormina e i Coppola si conoscevano, oppure sono stati messi in contatto da altre « persone di rispetto »? Per ora non si sa nulla a questo proposito. La sola cosa certa è che la Guardia di Finanza, un bel giorno, sotto un cumulo di letame nel cortile della fattoria di Giacomo Taormina a Calvenzano, provincia di Bergamo, scopre una botola, un covile e. dentro il conte Rossi di Montelera. L'istruttoria è tuttora in corso, ma si conosce abbastanza per ricostruire la vicenda. Andato bene il colpo a Palermo tramite il padre gesuita, Il prete di Carini lo vuole ripetere in Piemonte. Fatto rapire Rossi di Montelera, qualcuno telefona ad un prete, padre Costa, avvisandolo che, per liberare l'ostaggio, dovrebbe recarsi a Palermo e mettersi in contatto con «un amico». Padre Costa, vedi caso, era stato per qualche tempo alla « casa professa » di Palermo e conosceva benissimo padre Aiello. Arrivato nel capoluogo siciliano, avrebbe fatalmente parlato con il confratello, il quale lo avrebbe messo al corrente di come aveva contribuito a scioglie- re il nodo del rapimento Cassina. Era un gioco sotti- lisslmo. per influenzare psi- cologlcamente il prete. Padre Costa, anch'egli con le migliori intenzioni, fece qual lem se, con la voglia di strafare, i Coppola non avessero commesso un passo falso organizzando un altro sequestro, diciamo nel CentroNord, a Fabriano, provincia di Ancona. Non si trattava di gente delle famose cartiere ma di un industriale di elettrodomestici, il sen. Merloni. Si doveva rapire la sua figliola Maria Francesca. 14 anni; riscatto, un paio di miliardi. Il basista questa volta doveva essere Vito Gallina, siciliano, al confino come tanti altri, che aveva comperato un'azienda agri- cola a Rocchetta Alta, poco lontano da Fabriano. Tutto era a posto ed in 1 ordine, la s.p.a. Coppola pa- re aobi<* Provveduto a tutto i eo" la sua verfelia organiz- zazione. mandendo anche la ^^Oe^a^a : nee come quella in cui fu ritTOVato Rossi di Montelera. ;„ prjndpi0i vito Gallina ^ re avssse aderito alrinizia. tiva ma ^ M sa per aua. li ragioni, disse che preferiva i rimanere fuori. Don Agosti no Coppola non deve essere un manager troppo malleabi- le; un biglietto aereo trovato nel suo appartamento da gio- vane celibe a Palermo, pare sta In prova di un suo viag- gio a Fabriano via Roma e ancora in compagnia di Giuseppe Piromalli, il calabrese implicato nel rapimento di Paul Gettu. Vito Gallina deve aver resistito ad ogni pressione, e pochi giorni do- po fu trovato con la gola squarciala da due fendenti: i soliti ignoti, per disprezzo, gettarono sul suo cadavere una manciata di spiccioli, per significare ch'era stato un uomo da quattro soldi Vito Gallina aveva però un fratello. Giovanni, reduce da lrenVannì di galera per aver ucciso una ragazza che aveva rifiutato di sposarlo. Il senso della famiglia lo avevano anche i Gallina, e per vendicare il fratello ammazzato Giovanni pare abbia buttato in braccio ai carabinieri tutti i Coppola, prima svelando il luogo in cui era nascosto il conte Rossi di Montelera, poi accennando ad un giro di affari, e di delitti, assai più vasto. Primo, il sequestro Cassina a Palermo, secondo, quello dell'industriale Tortelli a Vigevano, terzo l'assassinio ed il tentato omicidio di due contadini, di cut nemmeno si era parlato, tanto sono frequenti in Sicilia questi delitti. La vendetta Col soldi messi insieme dai lucrosi sequestri, i fratelli Coppola avevano acquistato una estesa azienda agricola, detta « Lo Zucca » dalla principessa Giulia Gangi, ma su quel fondo vivevano e lavo- rateino due contadini e pe- corai. Angelo Sgroi e Salvatore Randazzo. I fratelli Coppola It pregarono di andarsene, e quelli risposero che la legge gli consentiva di stare dov'erano. Dopo un attentato a lupara. Angelo Sgroi fu bellamente accoppato dal solito ignoto. Salvatore Randazzo se la errò con alcune brutte ferite a panettoni, ma non volle rivelare il nome del suo aggressore e finì in carcere per favoreggiamento. Giovanni Gallina insinuò che i mandanti dei due crimini erano i fratelli Coppola. Sapeva di essere un uomo bruciato, ma pare non avesse più interesse alla vita, come se la vendetta lo avesse interamente appagato. Due giorni dopo l'arresto dei Coppola, Giovanni Gallina tornò a Carini; non aveva ancora fatto quattro passi per le vie del paese che già era morto disteso per un ben centrato colpo di lupara. Uno di più prematuramente al cimitero, ma chi può incolpare del delitto i fratelli Coppola se erano chiusi da due giorni all'Ucciardone? Due soli, mi dicono, il sacerdote don Agostino e suo fratello Domenico, ma il terzo, Giacomo Coppola, è latitante, ed è sicuramente in Sicilia, mi dicono i carabinieri. Per ora, oltre a lettere anonime, a telefonate che dicono e non dicono, di prove contro i tre fratelli ve ne sono pochine. Per esempio, il biglietto aereo trovato nell'alloggio di don Agostino Coppola, ma intestato a Salvatore Alterno, autista dell'azienda tramviaria di Napoli, e trentatré banconote da centomila lire provenienti, si dice, dagli ottocento milioni pagati dalla famiglia Baroni di Vigevano per il riscatto del loro congiunto. Don Agostino, prete astuto, non aveva pensato che la vendetta del bifolco Giovanni Gallina potesse rovinare il suo piano, così bene architettato. Ma poi. chi può dire che lo abbia davvero rovinato? E' in galera col fratello, è vero, ma chi è nella pania più di lui è Giacomo Taormina, che « ospitami » il conte Luigi Rossi di Montelera. Ed è il nome di Giacomo Taormina che darà il via ad un'altra, feroce storia familiare, come è scaturita dalla conversazione col mio squisito ospite palermitano. Francesco Rosso