Madri che uccidono i figli di Elvio Ronza

Madri che uccidono i figli Fatti drammatici che sconvolgono la gente Madri che uccidono i figli Nella notte tra giovedì e venerdì della scorsa settimana, una giovane donna di Firenze, Maria Abbate Saletti, ha ucciso la figlia primogenita di 7 anni, poi ha tentato di eliminare anche la figlia più piccola. Infine ha cercato di togliersi la vita. Una tragedia non insolita, secondo le statistiche. Ma perché alcune madri sono spinte, all'improvviso, a uccidere i propri figli e a suicidarsi? Chi sono i veri colpevoli? Quando succede, e il cronista capita nella casa della tragedia, e poi si rivolge alla polizia, e insomma vuole capirci qualcosa, perché si può anche spiegare un delitto d'amore d'interesse di rabbia, tutte situazioni che rientrano nelle luci e ombre della vita, ma come si può dare un senso al crimine di una madre, una qualsiasi normalissima madre che all'improvviso si scatena e uccide uno due tre figli o tutti i figli che ha messo al mondo nella sua breve o media esistenza (le statistiche infatti precisano che gli infanticidi o figlicidi avvengono in genere quando la donna è tra i 25 e i 45 anni), e poi tenta di uccidersi e sovente non ci riesce: dunque il cronista cerca di capire come mai è avvenuta una cosa del genere. E la risposta è quasi sempre la stessa: ma che vuole che sia, esaurimento nervoso no? mica le madri si mettono a strozzare i figli se non sono malate, giusto? E invece se uno ci pensa su, e analizza i fatti, e perché questo e perché quello, magari confortato dal parere di psicologi e sociologi che oggi vanno di moda e sanno dire sempre qualcosa su tutto, non è poi tanto giusto parlare di esaurimento, minimo è giustificazione superficiale, c'è qualcosa di molto più complesso nell'avventura sanguinaria di una madre che alza la mano armata sui figli, e spesso non è la sola colpevole, non nel senso che abbia avuto dei complici, questo no, nel senso piuttosto che ci siano state complicità sotterranee, come dire... involontarie, di chi le viveva vicino. Prendiamo il caso di Firenze, Scandicci anzi, alcuni gior- ni fa. Maria Abbate Saletti, giovane donna, lascia un biglietto al marito Luigi, infermiere: « ... perdonami... sei buono... non ho rancore verso nessuno... »; poi costringe la figlia Alessandra, 7 anni, a scrivere sullo stesso foglietto: « Ciao papà, perdonami »; poi mette a letto le bimbe, non dimentica nemmeno le arance sul comodino, come al solito, per la notte; poi strangola Alessandra, ci prova anche con Marilena, 3 anni, e infierisce su se stessa, si svena: tutto a ritmo lentissimo, come un film passato al rallentatore, ci impiega delle ore, tanto che faranno in tempo a salvare lei e la più piccola... Che si dice? Che Maria era donna riservata, taciturna, premurosa, non si poteva assolutamente immaginare in lei una violenza così, anche se da molti anni non stava bene, infatti viene fuori la solita battuta: esaurimento nervoso. Si scopre anche un passato di traversie fisiche, operazioni dopo ognuna delle maternità, gli antidepressivi ordinati da un medico qualche mese addietro. Però, al di là delle cure, qual è il comportamento di chi vive attorno a lei, che non siano ie solite frasi generiche « fatti coraggio, hai due figlie, forza, una donna come te! ». Ma qualcuno ha rinunciato —■ questo ci domandiamo — un giorno solo al proprio lavoro, ai propri impegni, per starle vicino, svagarla, aiutarla ad aprire oasi di speranza.? Certo, i sociologi parlano dei « mali di fondo della famiglia », e si scivola quindi sulla crisi dei ruoli maschili e femminili, e si riparla delle frustrazioni edipiche, e la diagnosi ha spesso suggestivi riferimenti, ma quasi sempre si dimentica di offrire le soluzioni più semplici, quelle fatte di contatti stretti, solidarietà reale tra i soggetti, marito, moglie, figli. Ognuno invece continua a vivere i propri drammi fino agli inasprimenti assoluti, alle cadute che fanno esplodere esistenze esemplari, quelle definite « perfette, chi poteva immaginarlo? ». La realtà è cinica, e ognuno di noi è disposto a perdonare, rendersi conto, capire: dopo però, quando il dramma è avvenuto. Prima ci confortano le discussioni tra scienziati, alle quali non aggiungiamo la buona volontà di guardarci attorno, domandarci se l'ombra che ci slitta vicino, o la persona che ci ha appena baciati, ebbene abbia bisogno di qualcosa di più dello sguardo pietoso. Sette maggio 1975, Verrua Savoia. Bruna Bertocco, 31 anni, uccide due figli, di 5 e 2 anni, per un caso si salva il bimbo più grande. La madre si taglia le vene: la salvano. Perché? Ha dimenticato tutto, non sa. Quante di queste donne dimenticano l'attimo del raptus. Oddio, se riandiamo alla biografia di Bruna: un'infanzia triste, orfana a pochi anni, subito chiusa in orfanotrofio; esce a 18 anni, dirà che « tra ì 18 e i 21 passai il perìodo più bello a servizio di una famiglia che mi amava »; si sposa; quando ha i figli «credevo di impazzire di gioia». E perché in questa famiglia apparentemente, o realmente, felice, una madre si trasforma in macchina di morte, strangolando due figli con un fazzoletto? Che cosa è tornato alla luce, dentro di lei, da trascinarla al centro di questa commedia degli orrori? Ed è giusto parlare di improvvisa pazzia? Oppure è comodo, confessiamolo, parlare di improvvisa pazzia, perché i casi come questi in fondo sono rari, di modo che non siamo nemmeno costretti a provare pubblico rimorso? Eppure siamo complici, con la nostra indifferenza, con la tardiva compassione. Non ci sono forse dati precisi che dovrebbero metterci in guardia? In Inghilterra ogni giorno due bambini sono uccisi dai genitori; in Germania ogni anno 600 dei 3000 bimbi maltrattati muoiono... Dobbiamo continuare? Che in Italia nel 1970 ci sono stati 2 casi di infanticidio, 32 nel 1971, 26 nel 1972? E poi si scopre che quasi sempre ad uccidere è una donna, e il sociologo ci aiuta a interpretare il fenomeno: «Gli uomini sfruttano la propria violenza contro chi è più debole: le donne. E dunque le donne, diventate vittime di sopraffazioni fisiche e psicologiche, ribaltano la violenza sui più deboli, i figli». E' una catena di sangue. Aggiunge Io psicologo: «E' il rischio di chi vive. Non è lecito mettere in discussione tutti i matrimoni e le vite di tutte le mogli e di tutti i mariti per qualche episodio di violenza». La società è salva, abbiamo emarginato il tabù, il fenomeno, la «vicenda fuori della norma». I nostri figli sono salvi. La pazzia non ci sfiorerà mai. E' il calcolo delle probabilità che ci mette al sicuro. E dunque: possiamo continuare a ignorarci. A tacere. Elvio Ronza Firenze. La famiglia Saletti: il marito, la moglie Maria con in braccio la piccola Marilena (ricoverata in ospedale) e, accanto, l'altra figlia Alessandra, che è stata uccisa

Persone citate: Bertocco, Bruna, Maria Abbate Saletti, Marilena, Saletti

Luoghi citati: Firenze, Germania, Inghilterra, Italia, Scandicci, Verrua Savoia