«Parlamentini» universitari in crisi come il Governo

«Parlamentini» universitari in crisi come il Governo Questa settimana si vota in quasi tutti gli Atenei «Parlamentini» universitari in crisi come il Governo Nessuno ci crede più: le elezioni considerate una formalità burocratica - Prevista una ulteriore diminuzione dei votanti dopo la già scarsa affluenza dello scorso anno - L'anticipo del Politecnico di Torino: meno 10 per cento rispetto al 1975 «Elezioni? Quali elezioni?». Domanda stupito lo studente. Alle sue spalle un tatse-bao che invita a non presentarsi alle urne si confonde con altri sul problema della casa, sul governo, sullo sciopero dei metalmeccanici. Nel palazzo delle facoltà umanistiche, a Torino, come nella maggioranza delle altre università italiane, la seconda prova elettorale dei «parlamentini» promette di svolgersi in un clima di quasi assoluta indifferenza. Lo scorso anno, i pochi votanti (appena il 14 per cento degli aventi diritto) raggiunsero i seggi passando tra la folla degli extra - parlamentari, astensionisti e minacciosi. Adesso, la maggior parte degli studenti sa che nei giorni prossimi ci saranno delle elezioni, ma non si preoccupa. Qualcuno, addirittura lo ignora. La vigilia elettorale nei nostri atenei (eccezion fatta per quello di Roma) ricorda più l'adempimento di una formalità burocratica che non una battaglia politica. Questa settimana, giovedì e venerdì, dovrebbero recarsi alle urne quasi un milione di studenti universitari. Se il «termometro» del Politecnico di Torino (dove le elezioni si sono svolte con quindici giorni di anticipo) è valido, l'affluenza raggiungerà cifre irrisorie. Nella facoltà di Ingegneria, che l'anno scorso aveva registrato una delle percentuali più alte d'Italia, i votanti sono diminuiti di oltre il dieci per cento. Nel febbraio del '75, alla Statale di Milano, partecipò alle elezioni solo l'otto per cento degli studenti. Qual cuno, paradossalmente ma non troppo, ipotizza quest'anno le urne completamente vuote. «I parlamentini rischiano di coinvolgere gli studenti solo nell'avallo delle decisioni prese da altri, dai "baroni", dal ministero. Come è possibile essere ottimisti?» spiegava giorni fa, in piena «campagna elettorale», un giovane rappresentante del pli al Politecnico di Torino. In realtà i giudizi negativi sugli organi di rappresentanza accomunano sia gli astensionisti sia le federazioni giovanili dei partiti «parlamentari». Fanno eccezione il pei e la de (quest'ultima appoggiata agli integralisti di Comunione e Liberazione) che, non a caso, avevano raccolto lo scorso anno la maggioranza dei (pochi) suffragi. La «sfiducia» dei partiti giustifica solo in parte il disinteresse con cui le elezioni vengono affrontate. «E' l'Unversità stessa che ha perso credibilità — osserva un giovane sociologo di Scienze politiche —. Non dà sicurezza, non garantisce status sociale. Come si fa a impegnarsi per una fabbrica che produce disoccupati?». Quest'anno poi, apparentemente per assurdo, anche la rottura de! fronte astensionista degli extraparlamentari rischia di contribuire a una ulteriore «disaffezione» degli studenti. Lotta Continua ha deciso di partecipare, in quasi tutti gli atenei, con una lista propria. Non ci saranno più le pressioni, anche fisiche, per boicottare i «parlamentini», ma non ci sarà neppure il battage polemico tra sinistra ufficiale e ultra che aveva contribuito a sensibilizzare la vigilia delle elezioni dello scorso febbraio. Il caso del Politecnico piemontese lascia intendere che neppure i comunisti e i socialisti (quasi ovunque schierati in una lista unitaria) possono guardare con ottimismo alle votazioni dei prossimi giorni. A Torino hanno perso circa il quindici per cento dei suffragi, pur conservando, ampiamente, la maggioranza. I voti raccolti da Lotta Continua coprono solo in parte la'sensibile diminuzione percentuale. La sfiducia negli organi che avrebbero dovuto «far rientrare la democrazia negli atenei» è certificata anche a livello ufficiale da un disegno di legge, bloccato solo dalla crisi di governo, che prevedeva la sospensione e il rinvio al prossimo anno della chiamata alle urne. «Ogni organo elettivo nella scuola — venne spiegato — dura in carica due anni. Anche i parlamentini, con un mandato più lungo, potranno funzionare in modo più soddisfacente». Nessuno è riuscito a fugare il sospetto che si sia trattato, in realtà, del tentativo di rinviare «sine die» una prova quasi sicuramente destinata a scarsi risultati. Nonostante le speranze, i buoni propositi, le garanzie che l'avvento degli organi collegiali nella scuola (a tutti i livelli, dalle elementari alle Università) sembrava promettere, è bastato un anno di esperienza per ridimensionare la portata della «rivoluzione dei decreti delegati». Anche nelle scuole medie e inferiori, poche settimane fa, l'afflusso di genitori, insegnanti e studenti alle urne è sensibilmente diminuito. Davvero qualcosa non funziona in questi organi collegiali. Silvano Costanzo

Persone citate: Silvano Costanzo

Luoghi citati: Italia, Milano, Roma, Torino