Bimbi terribili a scacchi di Luciano Curino

Bimbi terribili a scacchi E' cominciato a Torino il grande "Torneo Stampa Sera,, Bimbi terribili a scacchi Trecentosessanta concorrenti : una trentina di ragazzi hanno giocato senza complessi Nel grande salone, 360 scacchisti. Dunque, 180 duelli ostinati e silenziosi. Soltanto il caso (il sorteggio) ha deciso le coppie, sicché vi sono giovani, adolescenti che giocano con anziani, i quali potrebbero essergli nonni. Una trentina dì ragazzini, tra ì dieci e i quattordici anni. Anche qualche bimba. Guardiamoli, qualche ingenuità e qualche mossa brillante, ma ciò che veramente conta è che hanno l'impianto esatto, tesi a conquistare la posizione e a conservarla, hanno l'idea strategica del gioco. «Ragazzi, che cosa vi piace di più in questo gioco?». «La battaglia, soprattutto la battaglia». Sono parecchi gli studenti delle prime classi medie della «Verga» e della «Meucci». Tutti allievi di Gino Bertoli, un apostolo degli scacchi, che da sedici anni li insegna nelle medie e perfino nelle elementari. La sua pedagogia è pittoresca: «Ricordatevi ì film western. Ricordatevi l'eroe nel "saloon" minacciato, solo contro molti. Ebbene, egli si preoccupa per prima cosa di avere le spalle coperte. Così, ogni vostro pezzo, ogni pedone deve sempre essere difeso». Dice anche: «Diffidate, non lasciatevi adescare. Mi raccomando, state sem¬ pre in guardia e attenti ». Le lezioni di Bertoli incominciano sempre: «Anche sulla scacchiera, come nella vita...». Spiega che «occorre saper cogliere il momento opportuno nell'attimo in cui si presenta. E per coglierlo, si deve agire, secondo le circostanze, con prudenza o con irruenza, con tenacia o con coraggio, con metodo o anche senza metodo, se si vuole in questo caso non seguire la strada a tutti nota, ma ciò che il nostro ingegno suggerisce. Per riuscire nell'intento, bisogna saper valutare le proprie forze, non avventurarsi in imprese arrischiate, non ■■ottovalutare l'avversario, muoversi con avvedutezza ed avere infine fiducia in sé, per non abbandonare la lotta nei momenti difficili, riuscendo così il più delle volte a salvare onorevolmente una situazione disperata». E davvero non si sa se questa è più lezione di scacchi o dì vita. Con Bertoli seguiamo il gioco su alcune scacchiere. Ecco un signore anziano finire, preda dì un ragazzetto bramoso. Ecco Claudio Mauceri: ha dieci anni, è ancora un bimbo e gioca sicuro e sema soggezione. Ha imparato due anni fa. «Ti ha insegnato tuo padre?». «No, ho imparato le mosse su un manuale, poi ho insegnato io il gioco a papà. Adesso facciamo un paio di partite ogni giorno». Quasi tutti i buoni giocatori di scacchi hanno incominciato a giocare seriamente da ragazzi, tra i dieci e i dodici anni, e qualcuno anche prima. Fischer ha imparato a sei anni, a tredici era campione degli Stati Uniti. Mecking, un altro tra i più forti giocatori del mondo, a tredici anni era campione del Brasile, a quattordici primo a pari merito nel campionato sudamericano. Si dice: «Se al giorno d'oggi un giocatore non sì è fatta una reputazione a venti anni, non se la farà mai più». Paul Morphy è considerato da molti, con Bobby Fischer, il più geniale giocatore di ogni tempo. Aveva dieci anni, nel 1846, quando a New Orleans arrivò il generale Winfield Scott, ottimo giocatore, e sfidò il miglior scacchista della città. Lo fecero incontrare con Morphy, «che indossava calzoni di velluto al ginocchio e una camicia di seta con un grande colletto». Il generale si infuriò, certo che si trattava di una beffa o di una imperdonabile impertinenza, tuttavia giocò e il bimbo Morphy gli diede scacco matto alla decima mossa. Scott fu anche sconfìtto nella rivincita e si alzò tremante di stupore e di indignazione. Mi sono ricordato questo episodio quando Sebastiano Piana di dieci anni ha dato matto in sei mosse a un avversario che aveva quasi tre volte i suoi anni. Sebastiano ha imparato a sette anni da un amico a muovere i pezzi, il resto glielo ha insegnato il padre, con il quale gioca tutte le sere. Se continua con questo ritmo diventerà qualcuno. E' probabile che abbia vinto questa partita anche perché l'avversario, visto che la sorte gli aveva messo davanti un bimbetto, si era sentito troppo sicuro e ha giocato con sufficienza. «Ecco un'altra cosa che insegnano gli scacchi: non bisogna mai essere sicuri di vincere», mi dice Bertoli. «Dunque gli scacchi come la vita, Bertoli?». «Non proprio. Nella vita intervengono talvolta il caso, la fortuna. Alla scacchiera, invece, ognuno è solo con se stesso, soltanto lui è responsabile». Luciano Curino I partecipanti a «Scacchi '76» hanno «occupato» i locali mensa Fiat di via Baretti

Luoghi citati: Brasile, New Orleans, Stati Uniti, Torino