Il mio amico Piero Gobetti di Piero Gobetti

Il mio amico Piero Gobetti A CINQUANTANNI DALLA MORTE Il mio amico Piero Gobetti Una mani/estazione commemorativa del 50- anniversario della morte di Piero Gobetti si svolgerà domenica 15 febbraio al Teatro Regio di Torino, promossa dalla Regione Piemonte, dalla Provincia e dal Comune di Torino. Sul tema « L'insegnamento di Piero Gobetti sull'Italia di oggi » parleranno gli onorevoli Gian Carlo Pajetta, Giuseppa Saragat, Giovanni Spadolini, Giuseppe Spataro e Paolo Vittorellì. Il più antico ricordo che ho di Piero Gobetti è dei primi mesi del 1918 quando studente liceale veniva con l'amico fedelissimo di allora e di sempre, Giuseppe Manfredini, alle lezioni di Arturo Farinelli che a lui sembrava l'incarnazione nell'Università di una cultura antiaccademica. Ma soltanto nell'anno seguente lo conobbi, quando entrò all'Università come studente di Legge e frequentava non soltanto la sua, ma anche la nostra facoltà di Lettere. Fu un'apparizione indimenticabile. E' questo il Gobetti di « Energie Nove » (1918-'19), la rivista uscita immediatamente dopo la fine della guerra, la prima presa di contatto di Gobetti con gli amici c col pubblico. Quello che colpiva in lui era il suo sorriso, l'apertura mentale e umana: la capacità di contatto con gli altri era immediata, fossero Benedetto Croce o Gaetano Salvemini o la più giovane matricola. Si formò così coi maestri e coi compagni un sodalizio di spiriti di diversa natura e tendenze, ma congiunti dalla simpatia per quel giovane che veniva incontro a ciascuno partecipando ai suoi interessi come libero discepolo e libero maestro. Non possiamo separare Gobetti da quei giovani collaboratori e collaboratori potenziali di «Energie Nove», una varia schiera di diverse attitudini e interessi, le sorelle Maria, Ada e Nella Marchesini e con loro Elena Valla, la futura sposa di Umberto Ceva, Carlo Levi, Natalino Sapegno, Luigi Ronga, Edmondo Rho e di quel tempo e degli anni successivi Manlio Brosio, Alessandro d'Entrèves, Guglielmo Alberti e l'amico loro Umberto Morra che ora attende a un'ampia, documentatissima biografia di Gobetti; e dal '23-'24 Augusto Monti, l'anziano maestro che di Gobetti si farà discepolo e che sarà quasi un tramite tra lui e la nuova generazione di giovani che non lo conobbero di persona, ma ne furono i più veri eredi e continuatori, primo fra tutti Leone Ginzburg, di Gobetti ben degno seguace per l'inflessibile intransigenza, per la coerenza di ogni suo atto, per la tragica fine. Era qualità nativa di Gobetti l'essere un capo, naturalmente un capo senza farlo pesare, se pur capace di correggere anche duramente quelli che gli parevano errori di una giovinezza oziante e compiaciuta di se medesima (l'ozio né a sé né agli altri egli concedeva). Questa sua qualità istintiva emerse al tempo di « Rivoluzione Liberale », la sua nuova rivista (1922-'25), quando rivelò più pienamente se stesso, e nella grande lotta antifascista quando si trovò accanto a tutti i rappresentanti dell'antifascismo di allora, anche in contrasti violenti. Non devo qui discorrere del suo pensiero o degli studi che andava perseguendo o di quelli che erano o che sarebbero stati i suoi maestri, Croce e Gentile, Salvemini e Einaudi, sino a Granisci, né dei suoi interessi svariati, non mai però dilettanteschi, né dell'ampiezza dei suoi orizzonti culturali — per cui ben presto si impossessò della lingua e della letteratura russa e fu anche tra i primi a riconoscere e a illustrare la pittura di Felice Casorati, e fondata la sua casa editrice divenne, come è noto, il primo editore di Eugenio Montale. Ma non si può tacere di quel sicuro intuito tutto suo, per cui al di là delle dottrine professate e della parte politico-culturale seguita riconosceva subito con prontezza il carattere fondamentale, le virtù o i vizi di una persona. Memorabili sono i giudizi su uo¬ mini politici che si leggono nel libro La rivoluzione liberale e che saranno confermati dalla condotta di quegli uomini dopo il '45. Ma ci colpivano allora i giudizi anche severi ma temperati da umana comprensione su questo o quello di noi suoi amici, fra cui era purtroppo più di un « letterato », e le debolezze dei letterati egli ben conosceva e si compiaceva di mettere in luce e se possibile di correggere. Un giudizio su un notissimo giornalista suo amico e collaboratore di « Rivoluzione Liberale » piace qui ricordare: « Tu per non lasciare il giornale diventerai fascista ». Sorpresa e protesta dell'amico ma la profezia si avverò in pieno quando quel giornalista divenne uno dei portavoce più assidui e autorevoli del « regime ». Per questo negli anni di « Energie Nove » prima, e poi in quelli più intensi e drammatici di « Rivoluzione Liberale » noi vedevamo in lui quasi la nostra coscienza, per questo la nostra vita è illuminata dal suo ricordo. Era qualità sua di trarre dagli amici il meglio che essi potevano dare e anche di lasciare in loro una punta di rimorso per quello che non avevano dato, per essere venuti in qualche modo meno a un compito che avrebbero potuto eseguire. Così la sua figura giovanile (Gobetti è morto quando non aveva ancora compiuto 25 anni) ci sta sempre dinanzi: ma soprattutto lo ricordiamo nel suo tempo ultimo, nel 1925 anzi nel secondo semestre di quell'anno dopo i successivi sequestri di « Rivoluzione Liberale », sino alla proibizione dell'attività editoriale e alla risoluzione dell'esilio. Poca gente andava ormai da lui. Scossa anzi minata era la sua salute. Bene egli sapeva che la causa per cui aveva combattuto era perduta; anzi con un'illuminazione che nessun uomo politico esperto aveva avuto, fin dall'ottobre-novembre '22 egli aveva veduto che si trattava di una crisi irreparabile, di una durata quale nessuno sospettava (venti anni, forse più), e allora più che mai nel '25 sapeva come le condizioni della libertà e della normale vita politica (e non soltanto politica) in Italia erano rese impossibili. Nonostante questo ci accoglieva con il suo solito sorriso, un sorriso che però nascondeva — ma forse la parola nascondere non è propria — questa intima disperazione, questo pessimismo di cui egli si era fatto anche teorico, e nello stesso tempo su questo pessimismo emergeva una fondamentale indulgenza, di cui non lo si sarebbe creduto capace, lui il severo polemista, la « suocera » come fu anche detto, delle opposizioni. E questo Gobetti ultimo non l'abbiamo potuto mai dimenticare. Ma il suo spirito oltreché nelle azioni e negli scritti di tanti giovani che a lui consciamente o inconsciamente si ispiravano abbiamo avvertito col suo inconfondibile accento sopra tutto nel Diario Partigiano di Ada Gobetti, un racconto di guerra in cui non è compiacimento di atti eroici, né deprecazione di stragi o torture bensì un non mai spento spirito di umanità che avviva tutto il libro come ha avvivato l'azione di quella gentile e eroica donna. Leggendo il Diario Partigiano ci è stata sempre presente la figura della « signora Ada », e accanto a lei di Piero suo compagno e ispiratore. Mario Fubini

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