Le molte facce del comunismo

Le molte facce del comunismo Dopodomani si apre a Laon il congresso del pc francese Le molte facce del comunismo Fino a ieri il partito di Marchais pareva completamente sottomesso al 'Verbo" di Mosca - Ora rivolge aperte critiche alla politica dell'Urss - Nel mondo comunista si parla un linguaggio diverso, in Jugoslavia e in Spagna, in Italia e nel Terzo mondo - E' una realtà multiforme di cui devono tener conto i suoi avversari se non vogliono essere battuti in partenza Roma. 1 febbraio. Fra tre giorni, mercoledì 4 febbraio, comincerà in Francia, a Laon, il congresso del partito comunista. E' un avvenimento di notevole importanza, di tutto rispetto — come si dice — dato che il pei ha in questi ultimi tempi fornito le prove di un suo atteggiamento tutto nuovo rispetto al modo che avevamo di considerarlo, negli anni fino ad ora. Detto in termini brevi, esso era difatti ritenuto il partito comunista più «stalinista» che fosse rimasto nell'Europa occidentale: ma, a dire stalinista, non si è ancora detto tutto. Lo si diceva stalinista per alludere ad una sua vera o presunta sottomissione permanente ai comandamenti di Mosca: e vale a dire si voleva indicarlo come il più obbediente dei partiti comunisti occidentali agli «ordini di Mosca», venissero questi da Stalin — ai suoi tempi — o dal parimenti defunto Kruscev o dagli attuali dirigenti del Cremlino, comr Podgorny — si fa per dire — o Breznev. Bene, a partire da mercoledì, chi seguirà le cronache del congresso comunista francese avrà qualche motivo di stupirsi, nel caso che sia rimasto affezionato a questi vecchi cliclìés. Nemmeno i «fedelissimi» comunisti francesi sono difatti più legati fideisticamente o sottomessi al cosiddetto verbo di Mosca. Nel corso dei precongressi che si sono svolti nelle recenti settimane della fine di dicembre e poi di tutto il mese di gennaio, dalla Francia difatti ci sono arrivate notizie che hanno sorpreso un poco tutti: gli osservatori politici professionali, ed i lettori di giornali — magari pochi — che ai fatti del partito comunista sogliono dedicare una qualche attenzione non del tutto viziata dai preconcetti. Per prima cosa, nel corso dei precongressi del pc francese, si sono sentite elevare critiche abbastanza meditate e comunque serie, contro la politica interna ed estera dell'Unione Sovietica. Si è cominciato a deprecare che in quel Paese rimanga in uso la pratica, cosiddetta amministrativa, di mandare in campi di lavoro obbligatorio i dissenzienti di seconda categoria: cioè i compagni «tank and file» — noi diremmo di base — che non si dimostravano del tutto consenzienti con la linea del Pcus. Un breve film documentario, fortunosamente girato chi sa in che modo, e messo in onda dalla tv francese, ha suscitato indignazione fra i compagni. La direzione del pei ne è stata spinta a richiedere ufficialmente a Mosca spiegazioni esaurienti (esiste, o no, nell'Unione Sovietica, una forma di repressione politica del genere?), e come è ovvio è venuta dalla Pravda un'aspra reprimenda, con l'accusa di farsi complice di chi sa quali manovre propagandistiche capitalistiche e borghesi. In seguito c'è stata, sempre su iniziativa del partito comunista francese, una campagna di protesta per il trattamento inflitto ad uno dei cosiddetti dissidenti della «intellighentzia» sovietica, il matematico Pliusc, condannato non so bene da quanti anni all'internamento in un ospedale psichiatrico. Il risultato, questa volta, è stato buono: il matematico Pliusc si è infatti visto aprire le porte del manicomio dove lo avevano ridotto. Il colpo grosso, in ogni modo, è stato quello della formale proclamazione da parte del partito comunista francese che la cosiddetta dittatura del proletariato non è, in modo assoluto, una fase necessaria verso l'avvento della società socialista. Chi conosca anche soltanto un poco i testi del marxismo sa d'altra parte che è questa un'asserzione assolutamente legittima. Un giorno lontano, una trentina di anni fa, Giuseppe Saragat, che è un uomo culturalmente sempre documentato, mi faceva osservare che il famoso concetto della dittatura del proletariato altro non è che uno pseudo-concetto: Marx — mi diceva Saragat — ne parla, tra le migliaia delle pagine dei suoi scritti, solamente due volte, e di sfuggita, e in ogni modo in un senso tutto diverso da quello che pare vogliano far credere le due concorrenti propagande demagogiche, quella marxista e quella antimarxista. Agli accertamenti di Saragat sarebbero dunque arrivati anche i comunisti francesi, ed è questo un buon segno. Ma un segno anche migliore, e più istruttivo, mi sembra sia che finalmente dei comunisti — una realtà che non è possibile ignorare — oggi si parli in un mo¬ do nuovo, e perfino da parte dei francesi. Il comunismo? Sciocco è chi ancora resta sui vecchi schemi così efficacemente propagandati dagli anticomunisti di una volta. Cerco di mettermi nella pelle di un anticomunista viscerale: ma se non sono del tutto stolido mi sento in obbligo di combattere, 0 per lo meno di contrastare il comunismo per quello che esso è effettivamente in questi anni '70 del ventesimo nostro secolo corrente. Ho invece l'impressione che gli anticomunisti di professione (e mi spiace di dover includere tra questi gli americani che sono tanta parte del nostro mondo moderno) continuino a comportarsi, faccio per dire, come generalmente si comportano i cosiddetti strateghi. E' stato detto tante volte che 1 generali — di tutto il mondo e di tutti gli eserciti — studiano i loro programmi delle guerre future esclusivamente sulla base delle esperienze che sono state fatte nelle guerre precedenti. E per questo le perdono. II caso tipico mi sembra essere stato quello dei francesi nel momento della seconda guerra mondiale. Poiché la prima era stata una maledetta guerra di trincea, un loro ministro della Guerra, André Maginot, fu in dotto a concepire una supertrincea, tutta di casematte seminterrate, che appunto dal suo nome fu chiamata la linea Maginot, lungo la frontiera franco-tedesca. Tutti sappiamo come agevolmente essa fu scavalcata, cioè ignorata, grazie alle nuove possibilità della tecnica militare moderna, maturate dai tempi di Verdun e dei forti di Liegi a quelli della Blitzkrieg del 1940. Un altro esempio che mi viene alla mente, sempre in tema di trincee, di baluardi e di dighe che oggi bisogna opporre all'a¬ vanzata del comunismo, è quello della diga del Vajont, che anzi mi pare più probante ancora. Si è saputo in sede di processo che la diga del Vajont era stata concepita e costruita secondo tutte le regole dell'arte: risulta infatti che essa crollò tutta intera, e cioè non perché le sue strutture di cemento armatissimo avessero ceduto sotto la spinta delle acque in piena, ma perché si staccò dalle sue spalle naturali, cioè dalla montagna cui era stata inchiavardata. E' come dire che la colpa era della montagna, ed è lo stesso come affermare che un dente esce dalla gengiva, perché è la gengiva che non tiene più un dente che, magari, è di per sé affatto sano. Il paragone mi sembra utile per far capire la necessità nella quale ci troviamo: curiamo la gengiva — la società — che è essenziale per la sopravvivenza dei nostri organi, anche solo di quelli masticatori. Tutte le volte che si parla di cause che stanno a monte, si dice qualche cosa di abbastanza esatto. A chi non piacciono i comunisti bisogna far presente che costoro non sono una maledizione che Dio ci manda, ma solamente una conseguenza — o per dir meglio una reazione — che ci è creata dalla cattiva igiene sociale verso la quale abbiamo avuto per troppo tempo un'indulgenza eccessiva. In ogni modo, per tornare ai temi del problema comunista nella società occidentale di oggi, sarà pur necessario cominciare a studiarlo con diligenza e serietà. Non è più vero, anche se si dimostrasse più comodo continuare a dirlo, per pigrizia intellettuale ed ignoranza, che i comunisti sono i servi di Mosca. I comunisti, fuori dalla Russia Sovietica, sono persone che hanno orientamenti di una straordinaria varietà, nessuno dei quali si può ormai onestamente assomigliare ad un altro. I francesi potranno in qualche modo essersi allineati sulle posizioni degli italiani; gli spagnoli stanno elaborando certe loro forme che appaiono fin d'ora estremamente interessanti, anche prima che il giorno sia venuto di una loro possibilità di agire in modo autonomo all'interno del loro Paese. E su gli altri, comunque, il discorso da fare sarebbe estremamente lungo. Non starò a dire infatti dei comunisti cinesi, i quali sono già «en rupture de ban» rispetto ai comunisti sovietici: ma che cosa si trova a dover pensare il più modesto degli osservatori circa i comunisti albanesi, o i jugoslavi, o i portoghesi o i cubani? E se spingessimo lo sguardo alle forme di socialismo e comunismo che prendono corpo in certi Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, noi saremmo costretti a riconoscere che il comunismo non è un «unicum» secondo quanto a tanti piace immaginare, ma è piuttosto, sotto un nome solo, una notevole varietà di atteggiamenti che uno per uno gli anticomunisti sono tenuti, nel loro interesse, ad osservare e studiare, se al comunismo vogliono opporsi in maniera concreta, e non secondo certi schemi comodi che al massimo risalgono agli anni facili — ideologicamente parlando — della stupida guerra fredda. Dei comunisti francesi ho già detto, e di quelli italiani presumo che sappiamo già abbastanza. Circa gli spagnoli raccomando la lettura di una recente dichiarazione di Santiago Carrillo, loro capo, il quale chiedeva che il partito comunista del suo Paese «sia giudicato per quello che dice e fa e non per quello che vien fatto in altri Paesi». Egli ha pertanto preconizzato «una via spagnola al socialismo, caratterizzata dalla democrazia e dalla molteplicità dei partiti». Naturalmente, è facilissimo dire che tutto questo è demagogia, magari malafede: ma questa non è altro che una posizione di ignavia intellettuale. Le guerre d'oggi sono da combattere nelle condizioni che il mondo d'oggi ci presenta. Certe citazioni di Lenin di sessanta o settanta anni fa non mi pare che servano più a nulla, dopo che le abbiamo abbondantemente sfruttate nel bene e nel male. Adesso, al giorno d'oggi, un minimo di impegno politico ci dovrebbe spingere piuttosto a fronteggiare il comunismo solo nel modo che esso oggi si presenta. Altrimenti, direi, la battaglia è perduta in partenza come quelle dei generali che ragionano sulla base, esclusivamente, delle esperienze delle guerre passate. Vittorio Gorresio li capo del partito comunista spagnolo in esilio, Carrillo