Sandokan si sente incompreso

Sandokan si sente incompreso UN FRAGILE INDIANO IMPERSONA LA "TIGRE DELLA MALESIA Sandokan si sente incompreso Kabir Bedi, attore moderno e colto, comparirà domani sul video nello sceneggiato salgariano - Ama ascoltarsi e guardarsi allo specchio, ma è stato "strapazzato" dal regista Sollima - Sospira: "Mi trattano come l'ultimo elettricista" Roma, 4 gennaio. Vedremo finalmente «Sandokan»: la sera dell'Epifania alle 20,40 sul secondo canale. Vedremo i prahos, le pompanasse, i paletuvieri. Scopriremo finalmente cos'è un babirussa. Ascolteremo l'urlo dei tigrotti lanciati all'arrembaggio. In certe scene d'amore ci sembrerà di sentire l'aria imbalsamata dal profumo degli sciambaga e dei nagatampo. Lo sceneggiato tv in sei puntate, diretto da Sergio Sollima, scene e costumi di Nino Novarese, è costato un miliardo 650 milioni. Prodotto da Elio Scardamaglia per la Titanus. Una coproduzione Rai, Ortf (tv francese) e Bavaria Film. Dallo sceneggiato di 6 ore, verrà tratto un film di lunghezza normale, proiettato poi in tutto il mondo. L'interprete di Sandokan, la Tigre della Malesia, è un indiano sikh. Si chiama Kabir Bedi, 27 anni, alto 6 piedi e 2 pollici (1,86), vive a Bombay. Gli indiani sikh portano sempre cinque cose con sé: pettine, mutande, bracciale, pugnale, turbante. Kabir, che è un indiano moderno, colto, non porta né pugnale né turbante. E' sposato con una delle più belle modelle dell'India; ha due figli. Nel suo Paese Kabir Bedi è considerato una rising star, una stella nascente del cinema. La sua recitazione ha una sontuosità di gesti, una regali¬ tà selvaggia che fanno parte del personaggio. I suoi occhi balenano nell'ombra come quelli di una tigre. Le telespettatrici attente, però, intuiranno in lui una sorprendente fragilità sentimentale. Del resto, lo stesso Sandokan, feroce e tetro, al solo nome di Marianna, la Perla di Labuan, diventava «muto, anelante, madido di sudore». Tale è Kabir, che per vincere la sua debolezza fa lo yoga. A piedi nudi e gambe incrociate, nel suo appartamento con moquette, sotto le pale del ventilatore che gli scompigliano le chiome, attende: e all'alba guarda fisso il sole. Quando, ancora sconosciuto, venne in Italia due anni fa, provò molta simpatia per il nostro Paese. Negli italiani apprezza due cose: «l'informalità» e l'amore per la buona tavola. Ama Roma perché la trova bella e non funzionale. Kabir conobbe Sollima il giorno stesso che questi arrivò a Bombay. Il regista entrava nella grande lobby del Taj Mahal, vide il giovane attore, che subito gli fu presentato. Sollima pensò che quell'indiano alto e un po' selvaggio poteva andare bene per la parte di Sandokan. Per Kabir iniziò una nuova esperienza, girare con una troupe italiana. Sollima dice di lui: «Aveva i difetti dell'attore indiano: guardarsi, ascoltarsi, il pro¬ blema del primo piano, lo specchio. I primi giorni ho dovuto strapazzarlo: non volevo tornare ai tempi del divismo della Bertini e di Teda Bara ». Kabir replica: «In India, l'attore è ancora "the hero", l'eroe, circondato da un alone dì rispetto e ammirazione. Con gli italiani del cinema è diverso. Io e l'ultimo degli elettricisti eravamo considerati alla stessa stregua. Mi hanno nascosto lo specchio. Mi hanno detto cose terribili. Una volta che sono arrivato in ritardo sul set sono stato rimproverato come uno scolaretto. Tutto questo è servito a darmi una lezione di umiltà e di professionismo». A fianco di Kabir Bedi c'è una Marianna affascinante, Carole André. Ha 22 anni, è nata a Parigi, figlia dell'attrice Gaby André. Ha lavorato con Mario Monicelli e Franco Brasati, con Visconti (Morte a Venezia); è stata protagonista insieme a Oliver Reed e a Mastroianni di Mordi e fuggi, un film di Dino Risi. Carole ha un grande temperamento di attrice e quel fascino magnetico naturale che fa di una donna una diva del cinema. E' lei, destinata a cogliere i maggiori consensi da questo «Sandokan». Poi c'è Philippe Leroy, Yanez, il «fratellino bianco» della Tigre: è riuscito a tratteggiare un personaggio con una carica di simpatia e vigore, che conquisterà i giovani. Adolfo Celi è James Brooke, il rajah bianco di Sarawak; impersona una figura leggendaria che ha fatto sognare generazioni di scolari inglesi; se la cava molto bene e anche qui è all'altezza della sua fama di attore. Andrea Giordana, lo sfortunato Fitzgerald, rivale in amore di Sandokan, combatterà con lui una battaglia persa in partenza. Sconfitto, più che dalle pallottole e dai fendenti della sciabola del pirata, dalla sua dialettica: «Io sono la Tigre della Malesia... la Tigre del mar malese. Vi è un uomo che impera su questo mare, un uomo che è il flagello dei naviganti, che fa tremare le popolazioni e il cui nome suona come una campana funebre. Hai tu udito parlare di Sandokan, soprannominato la Tigre della Malesia? Guardarmi in viso. La Tigre sono io! ». Saputo questo, apparirebbe chiara a chiunque la necessità d; sgomberare il campo nel più breve tempo possibile. Ma Fitzgerald, ammaliato dalle grazie di Marianna, resta e soccombe. I luoghi. Se il regista Solìimo avesse voluto girare nei veri luoghi salgariani, avrebbe dovuto trasferirsi nella fascia Nord del Borneo, la Malesia Orientale: Kuching, Labuan, addentrarsi negli Stati de! Sarawak e del Sabah, incontrando difficoltà enormi. Hr. preferito la più turistica Malesia Occidentale (Kuala Trengganu) e l'India: Madras, Trivandrum, Hyderabad. L'isola di Mompracem, che molti ravvisano in Kuraman, a Sud Ovest di Labuan, è diventata invece Capas, nello Stato malese del Trengganu. L'uscita di «Sandokan» sui •teleschermi ha messo in moto un'enorme macchina commerciale: sfruttando la tv come straordinario veicolo pubblicitario, escono, insieme alle avventure del «ciclo malese» salgariano, decine di pubblicazioni editoriali, figurine, dolciumi, capi di vestiario che si richiamano alla pirateria Un'operazione che tratterà centinaia di milioni. E' amaro ricordare che l'uomo alla cui geniale fantasia si deve l'invenzione di Sandokan, Yanez, TremalNaik, Kammamuri moriva in miseria, nel 1911, facendosi harakiri, in un boschetto di castagni della collina torinese Emilio Salgari, allora aveva 48 anni. La sua penna, intinta in un inchiostro di bacche che egli stesso si preparava, aveva scritto 85 romanzi e un centinaio di racconti per i maggiori editori del tempo (Treves, Bemporad, Paravia, Donath). Molti dei suoi libri avevamo raggiunto tirature altissime. Bruno Coss