Manfredi tra i baraccati di Giorgio Calcagno

Manfredi tra i baraccati L'attore sul set del film di Scola Manfredi tra i baraccati Vestito di stracci, semicieco, invecchiato di vent'anni è il protagonista di "Brutti, sporchi e cattivi" - E' stata ricostruita una "bidonville" ai piedi del monte Mario (Dal nostro inviato speciale) Roma, 28 febbraio. Nei pochi metri quadrati dello studio, dove il regista Ettore Scola ha ambientato gli interni di una baracca romana, per il suo film Brutti, sporchi e cattivi, si accumulano letti, reti metalliche, materassi a una e due piazze, gremiti di gente stracciata, corpi disfatti, gambe e teste incrociate in una malebolge di suburbio. Gli operatori della troupe sono costretti a scavalcare vecchi e bambini, coppie, donne seminude. In due stanze devono dormire trenta persone; ma, per rendere il quadro «più verosimile», il regista ne ha volute quaranta. «Le scene d'insieme chiedono più gente del dovuto, per essere credibili», ricorda. Cita il famoso episodio di Luchino Visconti, a cui non bastarono mille comparse in camicia rossa, per dare un'idea dell'esercito di Garibaldi; e ne volle duemila. Qui non c'è nessun mito da rievocare. Neppure quello sottoproletario, che ispirò per vent'anni la disperata musa di Pasolini. La realtà vera è anche più triste di quella che emergeva alla luce nei fotogrammi di Accattone. E' tanto triste che, per non umiliare nessuno, Ettore Scola ha rinunciato al reale «in presa diretta», e l'ha ricostruito con l'aiuto della scenografia. Gli interni, in un teatro di posa. Gli esterni, su un breve tratto di collina alle spalle di San Pietro, una delle estreme propaggini di Monte Mario non ancora aggredite dal cemento. Ci hanno ricostruito un villaggio di baracche, con la sala di ritrovo, la camera «a ore», il reticolato per i bambini, sull'orlo di un precipizio, ci hanno portato le masserizie più misere, gli animali da cortile, e perfino la spazzatura. Di vero, ci sono loro, i personaggi di borgata, che devono interpretare se stessi. Molti sono nati e vissuti nella baracca, alcuni ci abitano ancora oggi. C'è qualcuno che è stato in carcere dopo avere preso parte alle lotte per la casa; altri conoscono Regina Coeli per meno confessati motivi. Certi interpreti non possono essere trattenuti sul set oltre le cinque del pomeriggio. Fra loro, si mescolano pochi attori professionisti, presi soprattutto dal teatro dialettale, come la napoletana Maria Santella, o l'ottantenne fiorentino Giovanni Rovini; e un solo attore a tutto titolo, Nino Manfredi. Lo hanno vestito di stracci, gli hanno segnato il viso con un occhio semicieco, la pelle grinzosa, rattrappita intorno alla pupilla, che gli dà vent'anni di più. Dev'essere una specie di patriarca, intorno a cui ruotano decine di personaggi, poveri ma non «buoni», secondo la prospettiva politica del regista, alieno da ogni compassionevole populismo. E Manfredi asseconda il gioco. «Com'è difficile — dice — recitare con questa gente. Devo far attenzione a non schiacciarli, solo perché io sono un attore professionista. Bisogna rinunciare a tanti effetti, che con attori veri riuscirebbero tanto bene». Per il cinema italiano, è un ritorno alle esperienze del neorealismo, quando si gettavano davanti all'obiettivo gli attori «presi dalla strada». Ma, per Nino Manfredi, è una novità assoluta. «Negli anni del neorealismo, io non facevo il cinema; io facevo il teatro, quello grosso». Fra i suoi registi c'era Strehler, fra i suoi compagni di lavoro, Santuccio e Crast. E, adesso, deve sforzarsi di inventare ogni giorno un linguaggio che lo accomuni alla gente uscita dalle borgate, senza che si avverta la differenza. Quali sono i suoi rapporti con i baraccati? «Sono falsi — dice, senza esitazione —. Nei miei riguardi c'è un atteggiamento di stima singolare, che non consente loro di essere sinceri. Sono generosissimi, affettuosi, e quindi non riesco a entrare nei loro problemi». Ma, quando ci entra, ne rimane sconvolto. «Le cose che ho scoperto sono impressionanti. Non hanno la casa, eppure organizzano matrimoni, si regalano il frigidaire e la lavatrice; l'altro giorno uno parlava del televisore a colori che aveva regalato a suo figlio. Pensi un po'. Io ai mjei figli il televisore a colori non gliel'ho mai regalato». Il discorso rischia di diventare pericoloso, e Manfredi per primo lo avverte. C'è bisogno di un completamento che, per fortuna, precede la domanda dell'intervistatore: «La loro condizione, la loro cattiva educazione, dipende anche un po' da noi. E' colpa nostra averli abituati a vivere in uno stato in cui non sentono più il dolore, la degradazione, e vanno dietro alle cos? che gli danno un'illusione di ricchezza». Manfredi ha parlato a lungo con loro, ha conosciuto le loro storie personali. C'è qualcuno che ha avuto la casa e se l'è venduta tre volte, per tornare a vivere nella baracca e avere un po' di soldi da spendere. «Se ci sono nati, in quelle condizioni, non se ne liberano più». L'argomento potrebbe farsi politico, ma l'autore di Per grazia ricevuta preferisce spostarlo su un altro terreno. Ricorda la sua formazione contadina, le sue ascendenze, con il nonno, ex emigrante in America, che viveva in simbiosi con la natura e intratteneva irosi colloqui con Dio. «E' la radice favolistica della mia infanzia, l'origine del mio grottesco, che per me è un fatto genetico. Mio nonno diceva: "Quando la pianta è giovane, ci si mette una zeppa vicino, la si raddrizza. Quando è adulta, non c'è più<niente da fare"». E l'attore, che gira il film sul problema dei baraccati, pensa alla morale del nonno ciociaro: «Per molti di loro non c'è più speranza. Quello che si è venduto la casa tre volte, lo farà per tutta la vita. Bisogna fare in modo che almeno il figlio sia messo in condizione di uscirne. Fra loro, ce n'è uno che ha 30 anni. Dice: la galera è brutta, io non ci voglio tornare. Per lui. c'è speranza». Ma, per aiutare questa speranza, i poveri della borgata non devono essere visti con l'occhio tenero, e per certi [aspetti perfino connivente di iuna certa letteratura. Se il [mondo esaminato è lo stesso Ideile opere di Pasolini, lo ! sguardo è profondamente diI verso. «Pasolini amava questo . mondo, ne coglieva insieme la I poesia e il dolore. Noi voglia,mo fare opera di denuncia, > non possiamo partecipare». Gli uomini della borgata i devono apparire laidi e cattivi, perché la società debba [vergognarsi di averli lasciati nascere e crescere in queste , condizioni. Giorgio Calcagno Nino Manfredi « patriarca » dei baraccati in una scena del film di Ettore Scola

Luoghi citati: America, Roma