Non è solo "platonico,, l'amor bonus in scena
Non è solo "platonico,, l'amor bonus in scena Lo spettacolo al Gobetti Non è solo "platonico,, l'amor bonus in scena Che cosa significa, oggi, su| un palcoscenico italiano, uno spettacolo intitolato «Amor ! circulus est bonus»? Gli spet-1 tatori del Teatro Stabile non sono riusciti a capirlo del tutto, dopo la «prima» dell'altra sera al Gobetti. Secondo i programmi annunciati, doveva essere lo spettacolo di «contesto», rispetto alla precedente «Venexiana»; e l'esperimento, primo di questo genere fra quelli in cartellone, era atteso con curiosità. Il «contesto» avrebbe dovuto completare il «testo», mettere a fuoco il mondo culturale in cui esso si situa, o anche opporvisi, dialetticamente. Di fronte a una commedia realistica come «La Venexiana», un quadro del neoplatonismo fiorentino, così spiritualmente disincarnato. La lezione, secondo quanto è stato annunciato prima dello spettacolo dovrebbe addirittura servire alle scuole, con un fine didattico. Dopo avere visto lo spettacolo, le curiosità di questo tipo sono tutte rinviate, alla prossima occasione. «La venexiana» che il regista Salveti aveva allestito conteneva già, in sé, testo e contesto. A rischio di snaturare l'opera dell'anonimo cinquecentesco, sottraendogli tutta la polpa della sua robusta vitalità. Saiveti l'aveva ambientata in un quadro di Rinascimento fiorentino, fra il leonardesco e l'albertiano, geometrico e razionale. Dal nuovo spettacolo, costruito attorno a un titolo così pericoloso, lo spettatore poteva legittimamente attendersi uno sviluppo di quella analisi. Gli esempi letterari, fra la corte di Lorenzo dei Medici e quella di Federico di Montefeltro, non mancavano, per illustrare quale fu l'humus culturale del Rinascimento, almeno nei suoi modelli ritenuti più esemplari. Invece, superate le prime battute, l'amor bonus si è venuto stemperando in incolori monologhi di sfondo, ed è stato sostituito in primo piano da altri, più corposi argomenti: come la donna in perizoma che offre tenacemente e allusivamente la mela, e trascina il suo partner a un amplesso assai poco platonico; o la ragazza in lungo abito bianco che ogni tanto solleva le vesti, recitando versi francesi. Nel dialogo che tenta di intrecciarsi sulla scena è possibile intuire, qua e là, brani di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, ma intrammezzati da racconti comici, battute in dialetto veneto, richiami erotici, sonetti passionali di Gaspara Stampa, e Tullia d'Aragona, le «cortigiane» più famose della nostra letteratura. E infine, come il coniglio che esce dal cappello, una pagina di Leibnitz, scelta con l'intenzione, proclamata ma non dimostrata, di collegare questo «spaccato» del nostro Cinquecento alla nascita della nuova scienza. Che cosa si può trovare di didattico, in uno spettacolo così organizzato? Il gioco per individuare gli autori- dei vari brani può divertire gli appassionati di «Lascia o raddoppia», non lo spettatore che vorrebbe approfondire un discorso sulla cultura del Rinascimento, nelle sue componenti specifiche. Si può apprezzare l'operazione «visuale» realizzata dal regista Saiveti, con la collaborazione dello scenografo Giorgio Panni, per dar un valore di immagine alla parola recitata, Gli attori del «Gruppo», sulla scena, raggiungono alcuni effetti anche notevoli; ma frantumati, non sempre necessari, non illuminanti. Il pubblico ha apprezzato la loro fatica, li ha applauditi con calore.
Persone citate: Federico Di Montefeltro, Gaspara Stampa, Giorgio Panni, Gobetti, Marsilio Ficino, Salveti, Tullia D'aragona
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