Vestirei bronzo le grandi statue di Edgarda Ferri

Vestirei bronzo le grandi statue I FONDITORI DI VERONA Vestirei bronzo le grandi statue (Nostro servizio particolare) Caselle di Sommacampagna. 26 febbraio. Nel cortile c'è un « gruppo n di Minguzzi: colossale, aggrovigliato, disperato. Dentro un capannone ci sono i gessi di Mirò: lunghi e tondi come missili, deformi o beffardi. A guardar bene, persino atroci. Sul pavimento c'è una Madonna in bronzo, distesa ancora nella sabbia aggrumata. Per ragioni tecniche le hanno staccato la mano benedicente, glie l'hanno appuntata con rigide cannule sopra la veste all'altezza dei ginocchi: e così è molto bella. In fondo a uno stanzone c'è il monumento che Ber- I rocal sta preparando per Pi- i casso. Finito, peserà 70 quintali di bronzo dorato. « Ma l'opera più grande j che abbiamo fuso è stata quella di Mastroianni », di- | ce Fausto Bonvicin che è titolare, insieme ai fratelli Ettore e Luigi, di una delle più grosss fonderie artistiche d'Italia. Era il monumento che l'artista ha dedicato ai martiri della Resistenza per la città di Cuneo: 15 metri per 15, più di un anno di lavoro. Come una ruota Quando sarà finita l'opera di Pomodoro, che per il momento appare una ruota dentata del diametro di 5 metri, così come sempre accade quando dalla fonderia esce qualcosa di eccezionale, arriveranno a curiosare gli artisti affezionati, i collezionisti, gli intenditori, gli amatori, ed anche i coltivatori delle viti delle colline di queste parti. I fratelli Bonvicin sono infatti ben conosciuti e molto amati. Il più grande, durante la guerra, aveva dodici anni e già lavorava nella fonderia Brustolin di Verona. Dal 1950 sono in proprio e sono fidatissimi. Dice Fausto: « Tanto per dire, Mirò manda i gessi e l'indirizzo del collezionista o del museo dove l'opera dovrà esser spedita dopo la fusione. L'abbiamo visto la prima volta, è venuto a controllare, s'è reso conto che potevamo lare da noi. e non è più tornalo ». Spiegare come si fonde un'opera d'arte è facile, quello che è difficile è riuscire a farsi capire. Ci sono infatti infiniti passaggi ed infinito è l'impiego dei materiali usati. Nello Finotti, un giovane scultore che per stare vicino ai Bonvicin s'è fatto una casa a Sommacampagna, taglia corto e dice: «E' pura magia ed è una meravigliosa avventura». Infatti, è lì proprio quando Fausto ! 10 chiama per assistere allo sterramento di una sua opera. La terra, cotta a lungo dentro la grande buca dove è stata messa la scultura durante la fusione, è grumosa e dura come pietra. Bisognerà invece scrostarla con amore (.«Aprirla», dice Finotti, aiutandosi con teneri gesti delle mani) finché sotto non apparirà l'opera in metallo, tutta da ripulire però finita. «Il metallo è crudele, dice Finotti. Finché non vedi tutta l'opera, puoi avere sempre delle sorprese. 11 metallo è duro e non si piega più, soltanto il fuoco 10 può domare. Ma quando 11 fuoco ha finito il suo lavoro, il metallo è quello che è e non puoi far più niente; se non qualche piccolo ritocco. Se l'opera è riuscita male, se non ti piace più, se i hai dei ripensamenti, non c'è più niente da fare». Mentre di scultori che si pentono ad opera compiuta ce ne son tanti perché tra la scultura originale e la fusione passano a volte anche sei mesi e l'artista, intanto, può aver cambiato chissà quante volte idea. I fratelli Bonvicin lavorano tutto l'anno tranne che nel mese di agosto. L'atmosfera è soffocante. A parte il calore della fornace, c'è l'odore acre del gas del riscaldamento, quello untuoso della cera, quello aspro del metallo fuso. Il rumors assorda, qualcosa stride, qualcosa pesta duramente sulla terra che tiene le fusioni a raffreddare. Gli uomini lavorano in canottiera, a una certa età non ce la fanno più e di giovani che dan loro il cambio non se ne trovano. « Per questo lavoro ci vuole passione, dice Luigi. Bisogna amare l'arte, sentire il piacere di creare qualcosa, accettare il fatto che, se una scultura è in fusione, non ci sono sabati r,é domeniche, né giorni né notti: è come aspettare la nascita di una creatura. E' un lavoro pesante. I giovani preferiscono la fabbrica, il weekend libero ». Loro avevano invece questo amore fin da bambini e « tutti c tre, per metter su fonderìa, dice Luigi, ancora da bambini siamo andati sotto padrone a Verona ogni mattina, dai Brustolin, almeno per quindici anni. Erano venti chilometri di bicicletta, eravamo in tre e di biciclette ne avevamo due. Il più piccolo, sempre in canna ». Erano tempi buoni. Dice Fausto: «Nel dopoguerra era una fatica lavorare perché non si trovava il bronzo. Bisognava comprare cannoni e pagarli come se fossero d'oro, e tenersi buoni i preti che vendevano le monetine della questua ». Ma i tre ragazzi, a partire dal dodicenne Ettore, non mollarono mai l'idea di mettersi in proprio. « C'era quella passione, quel gioco misterioso dei materiali da mettere insieme, quella responsabilità da mantenere. Già in casa, da piccoli, lavoravamo la creta per sentire le forme nascere sotto le mani. Ma eravamo poveri, fondere non avremmo potuto, e rimanendo alla creta saremmo morti di fame ». Da queste parti c'è ancora infatti qualcuno che crede che avere in casa una statuina di creta o di gesso porti sfortuna. Buoni prezzi Sicché, via col bronzo. Uno dei primi ad andar da loro è stato Minguzzi. « Forse perché i nostri prezzi sono buoni e Minguzzi sta molto attento a queste cose ». Fedelissimo era anche Gorni, appena scomparso. Arturo Martini arrivava con piccolissime cose perché non c'era bronzo, « e noi eravamo tutti in riverenza, era davvero un artista straordinario». Qualcuno si portava le sculture a spalla o sul triciclo fino alla stazione, raccontano. « Mentre Biancini arrivava da Faenza con la pagnotta legata in un fazzoletto ed appesa alla statua che veniva a fondere. E poi, per strada, quando non c'erano sassi, si toglieva le scarpe per non consumarle». I tre fratelli lavorano con amore tenerissimo. «Abbiamo fatto una festa nel 1955, racconta Ettore, quando abbiamo fuso la prima opera veramente grossa. Da quel giorno, non ci siamo fermati più». Fausto, che è tutto rosso e ammette che il calore porta molto a bere il vino delle loro colline, è dalla parte degli scultori giovani. «Non è come fare il pittore, spiega. Uno scultore ha bisogno della fusione e la fusione costa cara. Tantissimi non hanno soldi, arrivano alla creta e non possono più andare avanti. Occorre che si sappiano queste cose, bisogna che qualcuno li aiuti». Mentre, non senza ironia, secondo lui (e non soltanto), ci son troppi pittori che passano alla scultura, una volta arrivati al successo. «E poiché non sanno niente della tecnica della fusione, dice, sono quelli che chiedono l'impossibile e credono che lavorare il bronzo sia come lavorare sulla tela». Edgarda Ferri

Luoghi citati: Cuneo, Faenza, Italia, Sommacampagna, Verona