Nell'abisso del terrore
Nell'abisso del terrore LA CRONACA DELLA TELEVISIONE Nell'abisso del terrore L'abisso di Silvio Giovaninetti, che la tv ha riproposto ieri sul secondo canale, fu uno dei grossi successi italiani dell'immediato dopoguerra: il recupero televisivo ha anche e soprattutto un valore di documentazione. Com'era naturale, cessato il conflitto, riaperte e riatI tate le sale superstiti, ci fu ! un appassionato ritorno al teatro. Analogamente a quel che avveniva per il cinema, arrivarono sui nostri palcoscenici testi, specie dall'America e dalla Francia, che la guerra aveva bloccato. Si «scoprì» Caldwell della «Via del tabacco» e Irvin Shaw di « Seppellire i morti », Odets e Camus, Saroyan e Sherwood; si « scopri » Anouilh e Sartre, e per la prima volta, con grave scandalo dei benpensanti, comparve alla ribalta, in « Adamo » di Achard, una storia d'amore fra omosessuali. E gli italiani? Ci fu l'esplosione straordinaria di Eduardo De Filippo con «Questi fantasmi», era attivo Ugo Betti e spuntarono nomi nuovi per il gran pubblico: tra questi, Silvio Giovanninetti, saluzzese, allora fra i quaranta e i cinquanta, critico drammatico e cinematografico dell'edizione milanese de « Il popolo ». Fu la compagnia Diana Torrieri-Tino Carraro che rappresentò L'abisso nell'autunno del 1948, ottenendo vasti consensi. Il copione è imbottito di suggestioni che provengono da Freud e da Jung (l'abisso dell'inconscio) e dagli studi di fenomeni metapsichici. Oggi, a distanza di quasi trent'anni questa vicenda di un onesto professore, sfollato, che, colto dal terrore per il passaggio notturno degli aerei che vanno a bombardare la città, si rifugia in pensieri lussuriosi che hanno come oggetto un'adolescente la quale, ogni volta, ne rimane gravemente turbata, ci lascia un po' perplessi. C'è un groviglio di vaghe teorie scientifiche e parascientifiche, di paradossi di tipo psicanalitico, di tortuosi conflitti spirituali che si mischiano a filosofìa spicciola, ad annotazioni psicologiche e a dati realistici... Non è facile vederci chiaro. L'autore stesso, un mese dopo la « prima », diede la seguente spiegazione alla rivista Sipario: « Bisogna vedere nel professore il pensiero malefico che sconvolge il mondo fisico, e cioè determina la guerra; nella fanciulla ignara e succuba la verginità universale, cioè la poesia e la pace violate; nella madre della fanciulla l'istinto della natura — che cos'è una madre, dal punto di vista scientifico e filosofico, se non la continuità della specie nella natura? — che processa e vince il pensiero corruttore; nella dottoressa, infine, la Ragione umana che guida e illumina l'istinto ». Una lambiccata simbologia destinata a raggelare i personaggi. In realtà i motivi del successo furono tre: la commedia si basava su un caso di psicopatia bellica in quell'epoca ancora diffusa (il ricordo del rombo degli aerei e dei bombardamenti faceva correre un brivido nella schiena a tutti); il soggetto, certo al di là delle intenzioni edificanti di Giovanninetti, era piuttosto torbido e morboso; infine il testo, benché fosse viziato dal pesante fardello di un linguaggio spesso letterario e artificioso, era teatralmente impostato e costruito con abilità e attento agli effetti sicuri di un drammatico « crescendo ». Oggi — ci sembra — possiamo ancora capire questi motivi. Ma il resto, nella sua intellettualistica astrattezza, è ben diffìcilmente accettabile. E' un teatro cui si deve guardare con profondo rispetto, come frutto di un pensoso e autentico travaglio, ma che ci appare molto lontano, ancora più lontano dell'epoca in cui va collocato. u. bz.
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