L'incognita iberica di Aldo Rizzo

L'incognita iberica DOVE VANNO SPAGNA E PORTOGALLO? L'incognita iberica (Dal nostro inviato speciale) Lisbona, febbraio. Al termine di un viaggio nella penisola iberica, tra la Spagna del primo dopo-Franco e il Portogallo ansante per il lungo spasmo rivoluzionario, l'impressione conclusiva è di due movimenti convergenti, che potrebbero incontrarsi in un punto d'equilibrio e alla fine risolversi in un riscatto democratico dell'estremo Occidente europeo, dopo la più lunga « occupazione » fascista della storia. Il movimento della Spagna è, diciamo, verso sinistra, nel senso di un superamento graduale dell'assetto autoritario; quello del Portogallo è verso destra, nel senso di un assestamento moderato, dopo le convulsioni quasi anarchiche della revolucao. Se il movimento spagnolo non si rivela insufficiente, o addirittura mistificatorio, e se quello portoghese non degenera in una svolta pesante di segno reazionario, il modello europeo-occidentale, come ipotesi di confronto e di mediazione tra spinte sociali e politiche diverse e libere, guadagnerà un'area vitale, troppo a lungo sottratta alla storia comune. * * In Portogallo c'è stato, è chiaro, un contraccolpo, dopo la spossante frenesia rivoluzionaria. Per troppo tempo un piccolo partito comunista (piccolo, si è visto, nei consensi elettorali, pur se forte di un sofferto prestigio antifascista) ha tentato d'imporre la propria egemonia su ben più consistenti aree d'opinione (e anche d'interessi, ma non solo di questi). Per troppo tempo personaggi suggestivi ma fragili, o addirittura folkloristici, dell'estrema sinistra militare, hanno tenuto la scena di un Paese che usciva da mezzo secolo di dramma vero. Sono stati elusi o ignorati i reali rapporti di forza, si è impressa una spinta di vertice, a sinistra, che non aveva un sufficiente riscontro nella base: non lo aveva a volte per motivi deteriori (il Nord clericale), più in generale per la reazione quasi fisiologica dell'organismo sociale, e di quello militare, che temevano la disgregazione anarchica, o un autoritarismo politico nuovo e diverso. Ma ora sarebbe prematuro uno « scenario » da restaurazione, gli stessi comunisti portoghesi in fondo lo escludono. Ora l'ipotesi politica è quella di un sistema pluralistico di tipo classico, con in più In tutela, o supervisione, di un « movimento delle forze armate » recuperato all'egemonia moderata. In un tale sistema si muovono quattro principali forze politiche: i socialisti di Mario Soares, i demo-popolari (che si autodefiniscono socialdemocratici) di Sa Garnéiro, i conservatori cattolici, o « centro democraticosociale », di Freitas Do Amara! e Galvao De Melo, e i comunisti di Cunhal. Il fatto che le due forze di centro-do» stra appaiano ora favorite, sullo sfondo delle elezioni legislative di aprile-maggio, è un fatto interno al quadro pluralistico, che non è messo in discussione da nessuna delle due. Altra questione, più concreta, è la misura nella quale potrà esercitarsi la tutela delle forze armate. Il nuovo patto costituzionale tra esse e i partiti, a quanto se ne sa, riserva ai capi militari un margine ampio d'intervento, tra un presidente della Repubblica che, per essere anche capo del Consiglio della rivoluzione, non potrà essere scelto che fra generali e ammiragli, e un'assemblea eletta che non avrà, per quattro anni, il potere di modifica della Costituzione. ★ * Ciò vuol dire, di fatto, che per tutta la durata della prima legislatura, il Consiglio della rivoluzione avrà la più grossa voce in capitolo sulla scena portoghese, e che il Parlamento e i partiti dovranno impegnarsi a fondo per crearsi un proprio spazio di sovranità. Ma se appunto s'impegneranno a fondo, e con sagacia politica, la linea di tendenza verso la democrazia civile potrà rafforzarsi ogni giorno di più. In Spagna, è diverso. In Spagna c'è una reale spinta a sinistra, alla base, tra la marea sindacale che monta, l'esigenza diffusa delle autonomie regionali e, in generale, la domanda crescente di partecipazione politica, dopo quaranta anni di forzata passività. Invece è al vertice che ci sono resistenze, remore, ambiguità. Tuttavia il vertice è diviso, e molti indizi fanno sperare che prevarrà la parte di esso più aperta alle novità democratiche. La situazione è strana, quasi schizofrenica. Il clima spagnolo è cambiato, la mano del potere si è fatta leggera (pur se non sempre), i partiti politici, formalmente illegali, vivono in realtà all'aria aperta (ma con l'eccezione dei comunisti che continuano ad essere arrestati). Invece le strutture dello Stato, o le sovrastrutture, restano quelle di sempre, quelle fascistizzanti dell'età franchista. Il dibattito dentro il potere riguarda appunto queste strutture, come e quanto modificarle. I fedelissimi di Franco (el bunker) vorrebbero pochi e lievi cambiamenti, un'operazione cosmetica: ai loro argomenti o ai loro interessi non appare insensibile il capo del governo, Arias Navarro. Invece i riformisti, guidati dal viceprimo ministro Fraga Iribarne, premono per novità sostanziali, di tipo liberaldemocratico, e addirittura le preannunciano, con sicurezza. In una posizione defilata, opaca, sta il giovane re, che però non ostacola, si crede, l'avanzata dei riformisti. La partita è aperta, la resistenza del « bunker » non è da sottovalutare, collegata com'è con quella di alcuni fra i massimi gradi dell'esercito. Però è Fraga che sembra avere le carte vincenti. Dietro di lui, stanno forze importanti: c'è la grande borghesia industriale, la più interessata a un ingresso della Spagna nella Cee; c'è la Chiesa, che ha ormai preso tutte le distanze dal franchismo, dopo esserne stata uno dei pilastri; ci sono i ceti medi produttivi e professionali; ci sono gli strati intermedi delle forze armate, favorevoli a un'evoluzione pacifica. E c'è l'America. Se si accetta quest'ipotesi generale di un movimento del le due parti iberiche verso un equilibrio democratico e pluralista, non se ne sottovalutano, è chiaro, le difficoltà e i limiti. Il movimento può in terrompersi o degenerare. In Spagna ciò potrebbe accadere per un eccesso d'impazienza della base, come reazione a un eccesso di prudenza del vertice. Già si scorgono alcuni segni premonitori, come la parziale ripresa del terrorismo separatista basco o le manifestazioni di piazza di Barcellona, benché queste possano anche rientrare in un tipo di pressione dal basso, politicamente controllata. In Portogallo, il fenomeno potrebbe essere analogo, benché di segno contrario. Potrebbe essere la spinta di destra di una certa base frustrata o disperata, che già si esprime anch'essa in manifestazioni terroristiche, a sconvolgere i meccanismi della normalizzazione democratica. Sia in Spagna che in Portogallo c'è poi l'incognita della crisi economica. La situa¬ zione spagnola, sotto questo profilo, è un po' più solida di quella portoghese, per via del boom degli Anni Sessanta, mentre il Portogallo affronta insieme i contraccolpi della congiuntura internazionale, dell'anarchia rivoluzionaria e della riconversione strutturale, dopo la fine dell'impero. Ma in entrambi i Paesi c'è inflazione e recessione, e si avverte il bisogno vi- tale di una politica di auste- j rità. Se esso fosse troppo vi- ' stosamente contraddetto da atteggiamenti agitatori, ancorché comprensibili, della base sociale, potrebbero scattare meccanismi repressivi, di tipo militar-tecnocratico. ★ ★ Un ruolo importante, in questo quadro, giocano i due partiti comunisti. Un viaggio nella penisola iberica è anche un viaggio tra i due poli estremi dell'eurocomunismo. Il partito portoghese è l'ultima isola stalinista d'Occidente, dopo la svolta a sensazione di Georges Marchais, che pure fu strenuo difensore di Cunhal, in polemica con Mitterrand e lo stesso Berlinguer, nella fase acuta delle convulsioni di Lisbona. Il partito spagnolo è all'avanguardia del revisionismo, per certi aspetti (l'Urss) più ancora di quello italiano, e questo come frutto di un'evoluzione graduale e coerente. Tuttavia il primo, benché in difficoltà politiche, conserva la sua libertà di azione, nel quadro pluralista che esso contesta, mentre il secondo, che accetta il quadro pluralista, ne è escluso, essendo anche oggetto delle ultime violenze del franchismo morente. Ma oltre questo paradosso storico, entrambi i partiti hanno grosse responsabilità. Se quello portoghese vince la velleità di approfittare della libertà di movimento per prendersi una rivincita rivoluzionaria; se quello spagnolo resiste alla tentazione di vendicarsi dell'assurda clandestinità cui è costretto scatenando la base operaia, sulla quale ha un'influenza reale e diffusa, il quadro globale della democrazia iberica se ne avvantaggerà in misura, forse, decisiva. E farà un passo avanti anche il discorso generale sull'eurocomunismo, ancora confuso, oltre i molti teorici motivi d'interesse. Infine bisogna domandarsi, di fronte a una situazione così complessa, e di così vitale importanza per il resto d'Europa, che cosa il resto d'Europa possa fare, oltre a trattenere il respiro. La risposta non può essere che di tipo pragmatico: qualunque cosa che incoraggi le forze democratiche, e la spinta democratica, a Madrid e a Lisbona, scoraggiando gli estremisti di ogni campo, i duri a morire, i trasformisti, i fascisti. Aldo Rizzo