Il Piano matematico di Paolo Garimberti

Il Piano matematico LA POLITICA ECONOMICA DELL'UNIONE SOVIETICA Il Piano matematico Leonid Kantorovic, Premio Nobel 1976, conferma la validità del suo "modello", ma ammette che i buoni calcoli non bastano pei* i successi economici - Occorrono elasticità, partecipazione e iniziative nella "base" (Dal nostro corrispondente) Mosca, febbraio. A Leonia Vitalevic Kantorovic il premio Nobel per l'economia, attribuitogli in ottobre, ha creato, mi sembra, più imbarazzo che soddisfazione. Prima di tutto, perché il riconoscimento è giunto con almeno cinque lustri di ritardo: il suo saggio sulla programmazione lineare, ossia sull'applicazione dei metodi matematici nella ricerca delle scelte ottimali in economia, è inlatti del 1939. Secondariamente, perché a Kantorovic non deve essere piaciuta la valutazione politica che del suo premio è stata fatta in Occidente — e anche in Urss —, paragonandolo o addirittura contrapponendolo al « Nobel » per la pace attribuito ad un altro accademico dell'Urss, Andrej Sacharov. Kantorovic si considera uno scienziato puro, uno studioso di matematica e d'economia, non un politico. Ma ogni volta che le sue teorie si sono scontrate con l'ideologia — il che e inevitabile nell'Unione Sovietica —, egli le ha difese con un vigore che, in un ebreo sovietico, richiede anche una buona dose di coraggio. La sua fermezza scientifica gli è costata un purgatorio in Siberia: dalla lontana succursale siberiana dell'Accademia delle Scienze le sue teorie poteva¬ no avere meno presa sulla prassi economica quotidiana (la stessa sorte è capitata ad Aganbegjan, il più giovane tra i grandi economisti riformatori). Soltanto da pochi anni, Kantorovic è tornato a Mosca per insegnare all'Istituto di gestione dell'economia nazionale, la business school per alti funzionari, aperta nel 1971. In un certo senso, dunque, il premio Nobel è venuto a turbare la quiete del grande matematico. Dopo la Siberia Questo sfondo serve a spiegare la prudenza con la quale Leonid Kantorovic ha risposto alle mie domande sullo siato di salute dell'economia sovietica e sul grado d'applicazione della riforma del 1965. A mano a mano che la conversazione procedeva, però, la « guardia » di Kantorovic s'allentava e, alla fine, egli non ha mancato di lanciare, attraverso la bella metafora di un proverbio russo, una frecciata a certi economisti (ma anche, direi, a certi politici) che non sono ancora riusciti a capire, a distanza di tanti anni, l'essenza della riforma. Con Kantorovic si conclude la rapida inchiesta sull'economia dell'Urss all'inizio del piano quinquennale 1976-'80, il decimo dopo la Rivoluzione bolscevica. Ab- biamo visto che Aleksandr Birman, uno dei padri fondatori della riforma del 1965, nega che l'economia sovietica sia in crisi, a dispetto del mancato raggiungimento degli obiettivi del nono piano, e afferma che la riforma non s'è arenata, bensì continua il suo corso perché essa è necessaria all'economia come « all'uomo l'aria che respira ». Stanislav Shatalin, vicedirettore dell'Istituto d'economia matematica dell'Accademia delle Scienze, attribuisce invece il fallimento degli obiettivi del nono piano a difetti di programmazione e ammette che la riforma non è stata portata avanti come avrebbe dovuto. Kantorovic è d'accordo con Shatalin nel considerare il decimo piano quinquennale una fase di transizione, il punto di partenza di un progetto di sviluppo dilatato su quindici anni, nel quale l'economia sovietica dovrebbe registrare una serie di « mutamenti progressivi ». Perciò la riduzione dei ritmi di sviluppo per il quinquennio non è una confessione d'impotenza o di rinuncia. « Di fronte agli obiettivi di fondo del piano, le cifre di per sé non hanno più grande importanza », spiega Kantorovic, indicando tali obiettivi soprattutto nell'aumento della redditività degli investimenti, nell'elevamento della qualità della produzione e nel perfezionamento del sistema di direzione economica. Secondo Kantorovic, soltanto attraverso questi mutamenti qualitativi potranno essere raggiunti, « a differenza che nel quinquennio precedente », i traguardi quantitativi fissati dal decimo piano. Dunque, il fatto che nel nono piano i traguardi quantitativi non siano stati raggiunti prova che i metodi di programmazione e di gestione dell'economia impiegati erano difettosi? Kantorovic risponde che nessun giudizio sull'economia dell'Urss può prescindere dalla sua tremenda complessità dovuta « alle dimensioni dell'economia stessa e alla varietà dei suoi settori », sicché « il problema dello sviluppo dei rapporti intersettoriali è diventato oggi molto complesso a causa dello sviluppo tecnico e scientifico ». Però, egli è d'accordo sulla necessità di perfezionare il metodo di direzione economica « se si vuole sfruttare appieno le nostre risorsa e i vantaggi del sistema socialista »; e una tappa essenziale del processo di perfezionamento è « l'introduzione dei mezzi di calcolo elettronici ». Tuttavia, avverte, « non si tratta di un processo istantaneo, dal quale sia lecito pretendere risultati immediati ». Anzi, in alcuni casi « questa ristrutturazione può anche provocare delle ricadute dell'efficienza del sistema di direzione dell'economia» (non mi è ben chiaro se Kantorovic volesse riferirsi al passato, per giustificare gli scarsi benefici finora apportati dalla riforma, o parlasse del futuro; ma l'equivoco, forse, è voluto). Comunque, conclude in proposito Kantorovic, la validità di que^ sta tendenza — che è poi, detta in parole meno prudenti, la tendenza riformista del 1965 — è incontestabile: « Se fossimo rimasti ai vecchi metodi, l'arretratezza in questo campo verrebbe sempre più a scontrarsi con il crescente volume produttivo ». Chiedo a Kantorovic se ritenga ancora possibile racchiudere l'immensa economia sovietica in un modello matematico. « Quando ho presentato la prima ipotesi di programmazione lineare — risponde — i miei oppositori dissero che essa era applicabile soltanto nell'ambito di un singolo stabilimento. Ma lo sviluppo del mio metodo ha confermato la sua validità universale. Conta il "clima" «Ma il metodo della programmazione lineare, da solo, non può risolvere tutti i problemi, ma deve essere combinato con altri metodi di pianificazione, di previsione, d'analisi socio-economica, di rilevazione statistica... Non è realistico pensare che i computers possano calcolare tutto, fino all'ultimo chiodo ». Mi pare, dal senso delle sue parole, che Kantorovic sia d'accordo con il suo allievo Shatalin sulla necessità di creare un nuovo « clima economico » per rendere più efficiente l'economia sovietica. « La direzione economica — dice — non è ridubicile alla direzione centralizzata. L'economia può essere efficiente soltanto se viene utilizzato un sistema decisionale a vari livelli, che investe, per così dire, l'intelletto di tutti i lavoratori, di tutte le istan¬ ze del lavoro e della direzione. La tecnica marxista di direzione dell'economia è una combinazione di direzione centralizzata e d'iniziative locali, anche se la linea strategica resta quella della direzione centralizzata. Ma è necessario che la periferia fornisca al centro indici economici corretti e idonei affinché non vi sia un divario tra il centro e la base ». L'impressione che si ha in Occidente è che il problema della riforma del 1965 — che è poi il problema di far corrispondere la sovrastruttura organizzativa alla struttura produttiva, cioè, in un certo senso, la società politica alla società economica — sia stato affrontato, in questi dieci anni, con iniziative settoriali, talvolta anche poco convinte e spesso osteggiate dalla burocrazia, lasciando però inalterato lo sfondo generale. Si è esaminato, di volta in volta, il tema degli indici imposti dal centro alle imprese, oppure quello dei prezzi, oppure quello del calcolo economico, perdendo però di vista la visione d'insieme, dunque lo spirito stesso della riforma. Il risultato è stato che la riforma ha finito per diventare una serie di rivoli, che hanno portato altra acqua all'immenso fiume dell'economia sovietica; acqua diversa, magari, ma sempre acqua. Invece, occorreva deviare il corso del fiume. Kantorovic mi sembra sostanzialmente d'accordo con questa analisi perché quando gli pongo l'ultima domanda (fino a che punto è operante, nella prassi delle imprese, la sostituzione dell'indice quantitativo di produzione, il Val, Cora l'indice della « produzione da esitare » ) risponde: « Il problema di sostituire il Val è stato seriamente analizzato e sono stati fatti esperimenti, ma non si è ancora giunti ad una conclusione favorevole o contraria. Però, il problema è un altro: il sistema degli indici economici e l'intero sistema del calcolo economico sono strettamente interdipendenti e il miglioramento, o il mutamento, di uno dei tanti in¬ dici senza migliorare tutti gli altri non può dare risultati. Senza un ulteriore perfezionamento del sistema economico, mutamenti parziali possono dare risultati settoriali e basta ». Kantorovic, insomma, è d'accordo con il suo allievo Shatalin quando questi dice che « solo mutando tutto quanto, i prezzi, gli indici di produzione, il sistema del calcolo economico, si possono avere mutamenti efficaci; mentre mutando un solo indice si può avere l'impressione che il sistema di pianificazione sia diverso, ma è soltanto un'illusione molto pericolosa, della quale purtroppo non tutti gli economisti si rendono conto ». « Già — commenta Kantorovic — c'è un vecchio detto russo che rende bene tale illusione: riesci, a tirare fuori la coda, ma il muso resta sprofondato nel fango ». Paolo Garimberti

Persone citate: Aleksandr Birman, Andrej Sacharov, Shatalin, Stanislav Shatalin