Poeti giovani della Spagna di Angela Bianchini

Poeti giovani della Spagna Poeti giovani della Spagna Giovani poeti spagnoli, a cura di José Maria Castellet, trad. di Rosa Rossi, Ed. Einaudi, pag. 149, lire 2400. La letteratura spagnola si caratterizza, da secoli, per una sorta di sfasamento rispetto all'Europa, o meglio, per il ritardo con il quale ì grandi temi letterari riescono a varcare i Pirenei. Una volta giunti in Ispagna, questi stessi temi, però, trovando un terreno estremamente fertile, vi si radicano trasformandosi in creazioni diverse. Sono questi i « frutti tardivi » di cui parlava il grande filologo Ramon Menéndez Pidal. Anche la « nuova ondata » di poeti e romanzieri che fece la sua comparsa verso il 1950 rappresentava, in certo senso, un frutto tardivo: i Goytisolo, i Pacheco, i Sanchez Ferlosio, i Castellet, che erano stati bambini all'epoca della guerra civile, trassero dalle loro esperienze la necessità di rompere con la poesia pura della generazione del '27, e, per contro, una necessità altrettanto forte di impegnarsi in creazioni del tutto realiste. La « nueva ola » fu una stagione breve, salutata in tutto il mondo con la simpatia e l'interesse che si dedicava allora alla Spagna. Poi, improvvisamente, chiusi in dilemmi impossibili a sciogliersi, stretti da una censura che si faceva sempre più capricciosa e crudele, questi scrittori scomparvero. Nel 1962, anno di pubblicazione del romanzo di Luis Martin-Santos, Tempo di silenzio, cala la tela sulla generazione della guerra civile. « Scrivere in Spagna è piangere », diceva Castellet echeggiando le parole del famoso saggista ottocentesco Larra: dal 1962, o giù di lì, scrivere in Spagna fu semplicemente tacere. Esiste oggi una nuova leva di poeti, in aperta rivolta verso quello che essi chiamano l'« incubo estetico », cioè l'impegno civile, dei loro maggiori. Sono i giovanissimi le cui opere Castellet raccolse già sei anni fa in un'antologia chiamata Nueve novisimos poetas espanoles; da qui è tratta la riduzione, invero non molto rappresentativa (i poeti sono soltanto quattro) del volumetto einaudiano. Quattro, sì, ma petulanti e rissosi da fare per venticinque. L'« arte poetica » di Manuel Vàzquez Montalbàn, il più vecchio (è nato nel 1939) e il più articolato, è un poi pourri di frizzi e insulti diretti indifferentemente a Guillén, a Machado, a Pacheco e a Celaya: «... sono un poeta militante, cameriere I un Gin Tonic I per favore / viene un poeta molle di sangue I più che rosso, ordina Pippermint I e canta I succede che mi stanco del celibato I avorio dei tuoi seni, paesaggi I dei tuoi lombi dilombati I ... tirate / tirate la Spagna I la Spagna insana in mare I in mare I che anche il popolo ci aspetta I con ritmo di habanera ». Felix de Azua, più giovane, appartiene al gruppo che Ca stellet denomina, fin troppo affettuosamente, della « co queluche » ovverossia della « tosse canina », e possiede un senso diverso della sati ra: « Fischiando la sua canzone a sinistra I col treno sotto le natiche di pesca I il petto attraversato ancora da una dentatura I ... si getta in mare e chiede due orzate I brindando col vento "cincin cincin!" ». C'è poi Pedro Gimferrer, il più efficace: « Oh essere un capitano di quindici anni vecchio lupo di mare le vele spiegate / le sirene dei porti e la fuliggine e il silenzio nel le chiatte I ... il fumo nei caffeucci I Dick Tracy i vetri appannati là musica tzigana ... una dama nelle Antìlle ride e agita il ventaglio di madreperla sotto gli alberi di eoe co ». E' in Gimferrer, secondo me, la chiave di questa poesia. Da buon teorico della let teratura, e per un senso forse eccessivo di fair play, Castellet insiste sulla formazione extraletteraria di questi gio vani: una formazione che seppure sfasata, come al so lito, rispetto ai gruppi con testatari occidentali, avrebbe in comune con essi, la cultu ra popolare dei mass media Tv, radio, pubblicità, fumet ti, sia pure di infima qualità rovesciandosi sulla Spagna tra il 1950 e il 1960, avrebbe ro dato origine, per la pri ma volta, ad una poesia fuo ri dell'« umanesimo lettera rio », una poesia di collage di alogicità o di illogicità ragionata, mitizzante nel senso che Roland Barthes attribuisce al linguaggio dei miti. L'ipotesi è allettante, ma secondo me, poco solida Quei poeti, e anche Castellet è costretto a riconoscerlo, so no ferratissimi e non soltan to dì fumetti, nutriti di let ture diverse da quelle della generazione precedente (qui prevalgono Susan Sontag e il Camp, gli scrittori latinoame ricani, Eliot, Pound e i surrealisti francesi) e adoperano i loro materiali con abilità somma, perché finta. In co mune con le mode di oggi prediligono la cultura ambi gua degli Anni Trenta. Invocano Kipling e il Porto delle brume, Dick Tracy per essi è nome magico così come lo era il western di Ombre ros se per un Salinas o un Giaime Pintor di quasi quarant'anni fa. La novità è un'altra, almeno per quel che riguarda la Spagna: sono apolitici questi giovani, e hanno deciso di non soffrire, come fecero i padri e i fratelli maggiori E di attendere. Angela Bianchini

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