Debolezze dei filosofi di Carlo Carena

Debolezze dei filosofi Nelle "vite,, pettegole di Diogene Laerzio Debolezze dei filosofi Diogene Laerzio: « Vite dei filosofi», Ed. Laterza, 2 voli., pag. 639, lire 5800. Il filosofo di Rembrandt siede nel buio, avvolto in una pelliccia, ia luce l'illumina da una finestrella e dietro una scala a chiocciola sale insieme alla sua meditazione. Le massaie di Kònigsberg regolavano tutte le mattine gli orologi sulle otto quando il professor Kant usciva di casa per recarsi a far lezione. Ma la filosofia ha pure il suo colore, ha dell'allegrezza in certi tempi presso certi autori: si sa che Francesco Bacone meditava al suono di un'orchestrina, e Tommaso Hobbes a novantanni scriveva ancora sonetti amorosi (« Sebbene tanti inverni mi hanno reso così /recido j e interamente stupido sono diventato, / pure io posso amare e avere anche un'amante... »). Se anche della filosofia antica conosciamo le variegature, ch'essa passava per le strade con lo sfarzo sfacciato di Aristippo e che l'orientamento di Metrodoro verso il cinismo nacque dall'aria che non riusciva a contenere nel ventre, è merito di un tardo quanto oscuro istoriografo, che si chiamò Diogene Laerzio su imitazione forse del Laerziade Ulisse. Una traduzione accuratissima delle sue Vite dei filosofi, quale certo ci invidierebbe Federico Nietzsche, che intorno al testo di Diogene avrebbe voluto lavorare, appare ora in edizione economica, con le rinnovate cure di Marcello Gigante. E' un richiamo da cogliere al volo per soddisfare il gusto non inutile del frivolo che tutti nascondono ma a cui nessuno resiste. Informarsi poi, sorridendo, su un filosofo, è un piacere cosi raro e una rivincita così sonora, che valgono il doppio del solito. Diogene Laerzio visse al tramonto ormai definitivo della filosofìa classica, nel III secolo dopo Cristo, quando non rimanevano forze che per scartabellare vecchi manuali o rimasticare vecchie dottrine. Altri commentavano poeti o raccoglievano lessici; egli si mise a spulciare nelle memorie degli antichi filosofi, spinto dalla curiosità ma anche dal desiderio di caratterizzare, lavorandoci intorno con brevi colpi di bulino, la figura dei suoi personaggi. Un disegno sommario dello sviluppo della filosofia nei suoi maestri e nelle sue scuole apre l'opera; una vigorosa introduzione rivendica l'origine tutta greca della filosofia stessa; e lì doveva esserci anche la dedica dell'opera a una donna, che però manca, come manca il nome di questa dama « filoplatonica » quando più avanti viene celebrata la sua erudizione in tutta la letteratura e nel sistema dell'Accademia. Anche in questo tocco il nostro Diogene è lontano da Emanuele Kant, noto misogino; e anche tra le decine di biografie, dai gimnosofisti a Epicuro, attraverso ionici, platonici, aristotelici, cinici, stoici, pitagorici, naturalisti, scettici, epicurei, non manca una rappresentante del gentil sesso, un'Ipparchia, innamorata delle teorie non meno che della vita di Cratete, quello che celebrò le proprie nozze passando la prima notte in un bordello. Cratete non possedeva che un mantello, eppure Ipparchia lo preferì a ogni altro pretendente, ed è da credere che con lui fu felice, da filosofa: si univa con Cratete in pubblico e lo accompagnava nei banchetti, dove si lasciava spogliare « senza dar segno di stupore o di turbamento, come pure avrebbe fatto una donna ». Morì vecchia. Tutte queste storie, centinaia di massime famose e di quadretti poi oleografati sono fluiti dalle Vite del Laerzio nella tradizione pedagogica e fantastica di tutto l'Occidente. Diogene espone anche dottrine, riferisce passi di libri, elenca opere e distingue periodi. Ma quando lo prendevano in mano Erasmo e Rousseau, anche loro si perdevano soprattutto su Talete che cade in un pozzo mentre contempla le stelle e su Pitagora che si lascia raggiungere e uccidere dai suoi inseguitori per non dover attraversare un campo di fave; e annotavano soprattutto i « Cerco l'uomo » del cinico Diogene e gli « Amo la moderazione » del saggio Pittaco. Il Laerzio entrava nella cultura di don Ferrante e di Leopardi, faceva sospirare Montaigne che non ce ne fosse una dozzina di uguali, e nei Miserabili costituiva l'unica gioia del povero signor Mabeuf, la sera, prima di coricarsi. Come dice bene il Gigante, Diogene Laerzio sta al culmine della storiografia filosofica antica, prima ch'essa diventi agiografica o edificante; è un compositore quasi imparziale, che, mentre fa dell'opera storica, collaziona con varia dottrina un ameno breviario sapienziale. Confusioni, incertezze, ripetizioni sono vezzi della sua età e della mediocrità del suo ingegno. Ma il lettore, che non può sempre fare della metafisica o del materialismo puro, glien'è grato, anche perché così riesce pure a lui di dare un volto umano alla divina sapienza di Platone o alla scienza disumana di Aristotele, il quale rivendeva l'olio caldo in cui usava fare il bagno e offriva sacrifici a sua moglie come fosse una dea. Carlo Carena

Luoghi citati: Metrodoro