Condanne a Padova per undici militari di Giuliano Marchesini

Condanne a Padova per undici militari Avevano rifiutato il rancio Condanne a Padova per undici militari Sono giovani di leva accusati di manifestazione sediziosa ■ Nuove vivaci polemiche (Dal nostro inviato speciale) Padova, 18 febbraio. Un'altra protesta, un altro processo. Questa volta sono undici «lagunari» del primo battaglione «Serenissima» a presentarsi davanti ai giudici del tribunale militare di Padova per rispondere di aver rifiutato il rancio. Gli imputati sono Paolo Marzinotto, residente a Torino in via Pio VII 104, Francesco Palmieri (Mestre), Giovanni Zuccarin (Porto Tolle), Paolo Destro (Mestre), Paolo Stevanato (Chirignago di Venezia), Antonio Mozzato (Venezia), Roberto Busanel (Venezia), Dario Vianello (Pellestrina di Venezia), Adriano Ponchiroli (Marghera), Giovanni Battista Zanin (Marghera), Paolo Petenò (Mestre). L'accusa è la stessa per la quale la settimana scorsa dodici soldati del 151° Reggimento di fanteria «Sassari» sono stati condannati a pene varianti dai tre agli otto mesi, con i benefici di legge: concorso in manifestazioni sediziose. Nella richiesta di rinvio a giudizio si legge che il 3 dicembre scorso questi «lagunari» ora radunati sul banco degli imputati «si astenevano dal consumare, per protesta e in adesione a uno sciopero della fame, il primo rancio; più precisamente il Palmieri e lo Zuccarin manifestavano, astenendosi entrambi dal recarsi nel refettorio della caserma Matter di Mestre; gli altri entravano nel locale e, dopo aver prelevato il rancio, uscivano senza consumarlo, gettandolo nella pattumiera». Arrestati tutti, i ragazzi furono scarcerati otto giorni dopo. Anche per questo processo si accendono le polemiche, sono mobilitati i giovani della sinistra extraparlamentare. Per iniziativa del partito radicale, si è dato vita ad un «comitato di solidarietà», che ha raccolto duemila firme per una petizione da presentare al tribunale militare territoriale di Padova: si chiede che i giudici si pronuncino per l'assoluzione degli imputati «in quanto l'azione da loro compiuta, ben lungi dall'essere reato, è un costante impegno democratico e civile che merita riconoscimento e rispetto». Tra la folla che assiste al dibattimento ci sono anche due delegazioni di operai, venute dal petrolchimico di Porto Marghera e dai cantieri della Breda. L'interrogatorio degli undici «lagunari» scorre senza troppi inciampi. Due dei soldati parlano chiaramente di protesta, di dissenso. Paolo Marzinotto ha detto in istruttoria: «Avevamo deciso di non andare a mangiare perché il rancio non era buono. Pensai che quella iniziativa fosse giusta». Oggi ribadisce: «Sì, presi senza esitare quella decisione. Non intendevo mettermi a mangiare: gettai via il rancio perché non avevo altra scelta. Ero pienamente d'accordo sulla protesta». E Francesco Palmieri racconta: «Quel giorno mi capitò tra le mani un volantino in cui si diceva della necessità di un nuovo regolamento di disciplina: ci si invitava a non consumare il rancio, per protestare così contro certe norme. Anch'io ero d'accordo. Con quel gesto, esprimevo la mia opinione, la mia richiesta per una più ampia discussio- ne sulla disciplina in caserma». Le spiegazioni degli altri sono diverse. «Non avevo proprio fame», dice uno. E un altro ripete: «Mi mancava l'appetito, non potevo mica mangiare per forza». Il tenente Nunzio Coppola, che il 3 dicembre scorso era ufficiale di servizio nella caserma Matter, ricostruisce così l'episodio. «Non si riscontrò l'abituale affluenza al refettorio. Dopo un po' arrivarono alcuni soldati, che però non erano della mia compagnia. Poi, non si vide più nessuno. Allora andai a cercare i nostri ragazzi: stavano in una saletta. Li invitai ad entrare nel refettorio. Loro si misero in fila davanti al bancone di distribuzione, ritirarono il rancio, ma molti se ne andarono senza toccare cibo». A questo punto, il tenente Coppola fa una precisazione: «Il soldato non ha l'obbligo di recarsi al refettorio». Subito, però, aggiunge. «Afa non sono normali tante assenze all'ora del rancio». Per il pubblico ministero, Guido Corbo, uno sciopero della fame in caserma non è altro che un atteggiamento «sedizioso, qualcosa che intacca l'integrità del servizio militare». «La prestazione del soldato — dice il rappresentante dell'accusa — non ammette deroghe. Non ha senso parlare di sciopero, perché si va contro l'ordine delle Forze Armate, si infiacchisce la volontà dei responsabili della disciplina. Nel momento in cui i militari dì una compagnia non raggiungono il refettorio, entra in allarme tutto il sistema. E poi, gettare il rancio tra i rifiuti è una manifestazione di disprezzo». Il tribunale emette la sentenza dopo circa tre quarti d'ora di camera di consiglio. Paolo Destro, Roberto Busanel e Paolo Stevanato sono condannati a quattro mesi di reclusione, gli altri otto «lagunari» a tre mesi e diciassette giorni, con i benefici della condizionale e della non mensione. Giuliano Marchesini