"Cosa provo? Non so dirlo,,

"Cosa provo? Non so dirlo,, Per Gros prima il nervosismo, poi la paura, infine la gioia "Cosa provo? Non so dirlo,, "Sono felice come quando vinsi la Coppa, ma stavolta è ancora più bello: il titolo olimpico dura quattro anni" - Thoeni: "Volevo una medaglia, mi spiace per il gigante" - Peccedi, portato in trionfo, annuncia: "A fine anno lascio l'incarico" (Dal nostro inviato speciale) Innsbruck, 14 febbraio. Indescrivibile. Per poter dare anche solo un'idea approssimativa di quanto succede alla fine bisognerebbe possedere dieci penne oppure conoscere otto lingue. Commozione, lacrime, urla di gioia, ressa, champagne, abbracci, fotografie, microfoni, spinte, neve, applausi, tensione, trionfo. Mario Cotelli, rosso di emoziono di felicità abbraccia Messner che a sua volta abraccia Peccedi che a sua voltaw abbraccia tutti, il volto abbronzato rigido di lacrime: un cancello di gioia, una sbronza collettiva di soddisfazione, un'orgia di gesti, rumori, emozioni. PIERINO GROS — Per lui è la giornata della rivincita contro se stesso e contro la fortuna, lo grande occasione sognata, attesa e voluta con tutte le forze: - Devo vincere, capisco che solo un successo può farmi ritornare il sorriso », diceva ieri l'altro a Brunico mentre dimenticava di guardare l'orologio per timore dei fantasmi notturni. Ora, in fondo alla pista, con II suo nome primo sul tabello, Pierino Gros attende che scendano gli avversari: sta appoggiato in avanti sui bastoncini, le ginocchia molli, le mani sugli occhi per non vedere, teso e pallido come la neve che gli ricopre i capelli: ■ All'arrivo di Gustavo — dirà più tardi — ha capito che almeno l'argento era sicuro ». Immobile eppur scosso da antichi tremori, Pierino segue a capo chino la prova di Willy Frommelt, pronto a cogliere degli umori tangibili della folla il segno di una rimonta che non avviene. Poi Stenmark, in un crescendo di tensioni terribili: ìntertempo eccezionale, gara d'attacco, possibile inserimento. L'urlo di Cotelli (« E' saltato, è saltato! -) agisce su Pierino come una scossa elettrica. L'azzurro scuote la testa e scivola in avanti sui bastoni: la vittoria e II, ancora un paio di discese, un paio di minuti soltanto. Salta Bieler e Gros ha un gesto di stizza, è lento Junginger e stavolta è urlo di gioia. Ma Pierino non si convince ancora, vuole essere sicuro fino in fondo. Prima dello champagne e delle foto aspetta Neureuther, Trasch, e anche il giapponese Tchimura, mentre la tensione si scioglie via via in gesti di trionlo: « Stamane ero nervoso da morire — racconta —. Siccome per un equivoco non mi volevano fare entrare dentro il cancello per le ricognizioni, io e Bieler abbiamo addirittura forzato il blocco. Ero pronto anche a litigare ». Firma autografi senza guardare, compie gesti da automa, parla guardando lontano, gli occhi gonfi di cieca pienezza. Giù dal palco ha mille cose da lare: televisione, antidoping, conferenza stampa, premiazione, e anche le valigie: « Dire cosa provo è impossibile — commenta —, sono felice da morire. Come quando vinsi la coppa, forse, ma questa volta è ancora più bella: il titolo olimpico dura quattro anni ». In sala stampa, davanti alle domande dei giornalisti, recupera un atteggiamento di distaccata ironia. Le domande sono banali, le risposte male interpretate dal traduttore, e allora l'azzurro passa il tempo a fare smorfie e a leggere il giornale appena uscito con la sua foto a tutta pagina. Accanto a Pierino, Gustavo Thoeni ridacchia divertito. GUSTAVO THOENI — Sbaglia nella parte finale della seconda manche, uno sguardo al tabellone, una stretta di mano a Pierino Gros. Sul podio è sorridente: «Volevo una medaglia, mi dispiace soltanto per il gigante », dice, fedele a quanto dichiarava da tre giorni a questa parte. Guarda la lolla che lo applaude e poi scappa via di corsa, inseguito, strattonato, costretto a mille acrobazie sulla neve. Più tardi, dopo le fatiche dell'antidoping (la tensione nervosa lo costringe ad attendere quasi un'ora) l'abbraccio in albergo alla moglie Ingrid, un brindisi veloce, centinaia di autografi firmati distrattamente. Gustavo Thoeni, abile Ira i pali dello slalom, lo é altrettanto nelle schermaglie verbali. Parla poco, ma le risposte sono azute nella loro limpida brevità: - Proposte per passare al professionismo? — replica a chi cerca di provocarlo — Per ora non ci ho ancora pensato, però credo che rimarrò quello che sono ». Non dice « dilettante » e / suoi occhi mandano scaltri lampi. Largente sorride, Gustavo rimane il re anche se non riesce ad arrivare primo. Franco Bieler. Una speranza, un brivido, una porta inforcata, un urlo di delusione della folla. Franco, praticamente in zona medaglia, scende con rabbia ed è messo da un gesto di stizza: « Mi displace per Franco, veramente — commenta Peccedi —: meritava il bronzo ». // valdostano, davanti ad un grosso filetto, racconta: « Sono scivolato indietro e via, sono saltato come un fesso ». Firma autografi anche lui e si lamenta ironicamente dei suoi amici e colleghi che stanno raccogliendo onori mentre a lui e ad Amplatz spetta il noioso compito di accontentare le smanie un po' feticistiche dei tifosi. » Pierino adesso sarà caricato da morire, ma in libera ai campionati italiani lo batto lo stesso ». Scherza con Diego Amplatz, qui alle Olimpiadi di professione apripista, risponde con larghi cenni del capo ai complimenti, ironizza su tutto e su tutti: « Sono contento da morire per Pierino ma sono scontento da morire per me ». Poi incomincia a gettare caramelle a tutti: « Come se fossero pezzi di medaglia ». Fausto Radici. Sulla porta dell'albergo attende i compagni che ritornano carichi di gloria. Sorride amaramente pensando all'Ìntertempo migliore e a quell'errore banale che gli nega sogni leciti. Non ha voglia di mangiare, Radici, e lascia tutti per andare a cercare tranquillità altrove. Ha seguito la seconda manche da lontano, ancora teso e disilluso per la possibilità mancata: « Non è stato un errore tecnico — commenta — ma un palo maligno che mi si è infilato fra le gambe. E pensare che scendevo bene, probabilmente ce l'avrei fatta ». Oreste Peccedi. Viene sollevato, alto su tutti, sulle spalle di Gros e Thoeni e gli viene voglia di piangere. Gli abbracci, i complimenti, le fotografie, non gli impediscono di esprimere ciò che da tempo gli pesa sul cuore: » Alla fine dell'anno lascio — rivela con voce rotta dall'emozione —, mi sono stancato di questa vita, desidero dedicarmi di più alla famiglia. E' una decisione triste, difficile da prendere, ma necessaria. Spero che la gente capisca. Del resto, la ragione principale è che temo di perdere piacere a questo lavoro, di non riuscire più a trasmettere ai ragazzi quella carica che finora mi sono sentito dentro ». Peccedi ha gli occhi lucidi. In mezzo alla grande lesta, queste, in parte non sono lacrime di gioia. Carlo Coscia

Luoghi citati: Brunico, Innsbruck