Tragica morte di un bimbo difficile di Luciano Curino

 Tragica morte di un bimbo difficile Alla periferia milanese: una storia del nostro tempo ■ JL Tragica morte di un bimbo difficile Aveva dovuto cambiare scuola per l'ostilità di molte madri dei suoi compagni - Solo in casa, è stato trovato cadavere dall'unica amica: era seduto davanti al fornello a gas con i rubinetti aperti - Un suicidio o una sfida? - Che cosa dicono la polizia e gli insegnanti - Adesso nel quartiere tutti parlano bene di Robertino (Dal nostro inviato speciale) Milano. 14 febbraio. Si legge che a Milano un bimbo di dieci anni si è ucciso con il gas perché era solo. Dice la notizia: « I compagni lo rifiutavano. Dieci anni di solitudine e di emarginazione ». E' di quelle notizie che mettono malessere, che non si vogliono credere. Allora si viene a Milano per vedere, parlare con la gente, cercare di capire. Anzitutto, il bambino. Si chiamava Roberto Auglia e viveva solo con la madre nubile. Lo hanno definito un bimbo difficile, « diverso ». A questo proposito c'è una storia odiosa. Quando Roberto frequentava la seconda alla scuola statale vicino a casa, certe madri del quartiere si diedero parecchio da fare nel raccogliere firme perché il « diverso » fosse tolto dalla scuola. La petizione ebbe fin troppe adesioni, ma non fece in tempo ad arrivare alla direzione \ (che. penso, l'avrebbe respinta), perché la madre di Robertino, saputo del complotto, tolse il figlio da quella scuola. Ferita crudelmente, povera donna, piena di dolore e di rancore. Portò il bimbo ad una scuola molto lontana dal quartiere, alla « Corridonì », vicino al palazzo di Giustizia. Qui Roberto ha frequentato la terza, adesso era in quarta. La madre Francesca, 39 anni, impiegata all'ufficio comunale di corso Vittorio Emanuele. Stravedeva per il figlio, stava con lui tutto il tempo che era libera dal lavoro, apprensiva, sempre preoccupata quando gli era lontana. Ecco una dichiarazione dei vicini: « Se faceva tardi, sapendo che Roberto era solo in casa, telefonava a qualcuno perché gli andasse a dare un'occhiata. Si | parlavano al telefono ad ogni momento. Ed erano j sempre raccomandazioni ». \ Ma anche soltanto per l'irresistibile voglia di sentirlo: come va, che fai. cosa pensi tesoro, non sei mica triste? di' qualcosa di carino a mamma. Cinque, sei telefonate nel pomeriggio, e qualche volta il capufficio perdeva la calma: « Insomma, non si può telefonare continuamente ». / glorili scorsi il bimbo è stato operato ad un piede. Cosa da poco: una verruca. E' uscito dall'ospedale lune dì scorso. Martedì non è andato a scuola perché il piede gli faceva ancora male. Le solite telefonate della madre. La donna lo ha chiamato ancora alle 13,30. Perché Robertino non risponde? Ogni pochi minuti ha rifatto il numero, con ansia crescente, attenta al capufficio. Verso le 14 ha chiamato la famiglia Patanè. del secondo piano: « Roberto non mi risponde. Per piacere, volete vedere se è in casa? ». E' salita Liliana Patanè di 13 anni, dicono che nel quartiere fosse l'unica amica del bimbo Auglia. «Roberto» ha I chiamato la ragazzina. Niente. La porta era accostata e ! Liliana l'ha spinta. L'odore ! nauseante del gas. Il bimbo seduto davanti ai fornelli con la testa chinata accanto a un pentolino con del sugo. Una ragazza sveglia, questa Liliana, e forte: gri- , dava aiuto mentre trascinava sul pianerottolo il corpo del bambino con le gambe e le braccia che ciondolavano come quelle delle bambole rotte. Il telefono dei Patanè era rimasto staccato e Francesca Auglia sentiva voci lontane, concitate. « Pronto, pronto » gridava e il capufficio, gli altri impiegati adesso le erano attorno spaventati. «Pronto, Madonna mia, perché nessuno risponde?». Finalmente, qualcuno è venuto al telefono: « Signora, Roberto lo abbiamo portato all'ospedale. Signora, è una cosa seria ». E' arrivata al Policlinico con un taxi. Il figlio era su un lettino del pronto soccorso, coperto da un lenzuolo. Dicono che prima di svenire, la madre ha urlato: « Adesso che è morto, quelle saranno contente». Quelle: le firmatarie della petizione di due anni fa. Vi sono ancora i sigilli posti dalla polizia alla porta di Francesca Auglia. Un appartamento di due stanze e servizi che, dicono, è tenuto con molta cura. Sul pianerottolo si sente ancora, vago, l'odore acido del gas. E' possibile il suicidio a dieci anni, nell'età in cui la luce naturale della vita colora giocondamente ciò in cui ci si imbatte? A quale conclusione è arrivata la polizia? Del caso si è occupato il commissariato Ticinese. Il maresciallo Bonzi dice: «Ho trentotto anni di servizio, e non mi è mai capitato un caso come questo. Ricordo bimbi che si sono impiccati o si sono gettati dalla finestra. Ma suicidi col gas, mai ». Maresciallo, non può essere stata una disgrazia? « Il bimbo si è seduto davanti al fornello e ha aperto tutti e quattro i rubinetti. Siamo rimasti fino a mezzanotte in quell'alloggio per cercare qualche prova, qualche indizio che escludesse il suicidio. Non l'abbiamo trovato ». Maresciallo, sa di quella petizione? Dicono che molti nel quartiere evitavano il bimbetto perché diverso, difficile. « Era un bambino molto vivace. A qualcuno la sua vivacità dava fastidio ». Ci sono bimbi che fanno chiasso per essere sicuri di esistere di fronte agli adulti. Dice il maresciallo Bonzi: « Conosco la madre di Roberto. Li vedevo sempre insieme. Ma lei doveva lavorare, era costretta a lasciarlo solo. Adesso si sente gente che dice: ma non si lascia un bimbo di-dieci anni solo in casa. Siamo tutti professori quando i fatti sono accaduti ». Sentiamo che cosa dicono alla « Corridonì ». Direttrice è la professoressa Rosa Belila, 40 anni d'insegnamento. E' splendido conoscere persone appassionate al loro lavoro e ricche d'umanità come la signora Belila. « Suicidio? Oh no, dice, sono certissima che è stato un incidente». Signora, vuole parlare dì Roberto? « Era esuberante, estroverso, allegro. Un bimbo avido di amicizia e contento di stare con i compagni. Qualcuno ha detto che era un soggetto da scuola speciale. No, assolutamente ». La direttrice Belila sa che quando Robertino frequentava l'altra scuola, molte madri di suoi compagni non lo volevano? Qui alla « Corridonì » aveva amici? Nessuna madre ha protestato? « Creda, gli volevano tutti bene, e non lo dico adesso che è morto, avrei detto la stessa cosa una settimana fa. I compagni lo avevano accettato in pieno, lamentele di madri mai. Estroverso, ho detto. E spesso faceva cose buffe per attirare l'attenzione. Gli piaceva che si interessassero di lui ». Conosce la madre? « Sì, oene. Doveva andare in ufficio e lo portava presto a scuola. Alle sette e mezzo. Roberto era sempre pulito, ordinato, elegantino. Non gli mancava niente. Abbiamo il doposcuola e stava qui fino alle 16,40. Un insegnante lo accompagnava alla fermata dell'autobus per rincasare. Spesso la madre veniva a parlarmi: era mol¬ to apprensiva ». Davvero Ro- I bertino ha amici, davvero \ nessuno lo rifiuta, davvero nessuna madre dei suoi com pagni...? No, signora, nessuna madre protesta per Robertino, tanto più che non ' c'è motivo Adesso andiamo a fare I domande al quartiere dove Roberto Auglia abitava. E' I il quartiere « Sant'Ambro- ! gio II », alla Barona, ultimi casamenti di Milano e poi | i prati e i campi tagliati dalla tangenziale e dal nastro nero dell'autostrada per Genova. Quartiere popolare ' con casermoni per 1260 fa- ì miglie, che si sveglia e si \ addormenta secondo gli ora- \ ri di apertura e di chiusura i degli uffici e delle fabbri- ; che. Inutile cercare « quelle », le madri chi hanno firmato la richiesta ài espulsione. Si dice che fossero « alcune decine ». ma non se ne trova più una. Tutte negano. « Quella petizione? Sì, mi hanno chiesto di firmarla, ma ho rifiutato ». Che cosa c'era scritto sul documento? « Non so, non ho nemmeno voluto leggerlo ». Si suona a qualche porta di presunte firmatarie. Non aprono, op- \ pure attraverso l'uscio bor- \ bottano Dio sa cosa. Domando a un ragazzetto: «Roberto, lo conoscevi?». La madre quasi me lo spinge tra le broccia: « Di' al signore, diglielo che Roberto era tuo amico ». Il ragazzo si sforza di essere convincente: « Era un mio amico ». Lontani dalle madri, bimbi e ragazzi dicono qualcosa di più. « Roberto era strano ». Strano come? « Così, strano ». Un altro spiega: « Cercava sempre di attirare l'attenzione. Una volta è salito sul davanzale della fine- stra al primo piano, ha aperto l'ombrello e si è messo a fare l'equilibrista ». Parecchi raccontano quest'episodio, che può significare una cosa: il bisogno struggente di affermarsi, di essere accettato dagli altri. Oppure, ed è il parere della psichiatra infantile Medolago Albani letto su un giornale della sera, « quando i bambini hanno grosse paure di essere abbandonati (che per loro equivale a morire) oppure sentono dell'ostilità attorno, alcuni si mettono alla prova. Saltano dai muri, si buttano a capofitto giù dai gradini, maneggiano oggetti taglienti: vogliono vedere se ce la faranno a sopravvivere. Inconsciamente è come se si dicessero: se riesco a far questo, nessuno potrà mai farmi del male ». Anche quella dì martedì, aprire i rubinetti del gas, è stata una sfida? Altra domanda: è stato per queste bravate, per la rumorosa esuberanza del bimbo che vuole fare sapere che esiste, per i suoi infantili e maldestri tentativi d'essere accettalo che un certo numero di madri del quartiere lo hanno ritenuto « diverso », un pericolo per i loro figli? Ma è inutile fare oggi questa domanda nel quartiere. Nessuno ammette di avere mai giudicato difficile o diverso Robertino, povera creatura. Tutti sembrano concordi nel ricordargli doli particolari: un'intelligenza fervida, una grande bontà naturale, una simpatia irresistibile. (Ma una bimba di cinque o sei anni, ancora troppo ingenua, dice: « Roberto lo vedevo sempre solo. Nessuno stava con lui ». Soltanto una vera amica: quella che lo ha trovato morto). Dopo aver parlato con molti, ragazzi e uomini e donne, ho nel taccuino un lungo elenco di frasi come queste: « Eravamo molto amici ». « Buono, educato. Salutava sempre per primo ». « Un bel bimbo. Ultimamente era cresciuto molto, si era fatto proprio un bel bimbo. E gentile ». « Sì, un po' vivace. Ma io dico sempre: meglio un bambino vivace che uno musone ». « Era il mio migliore amico ». « Ricordo l'anno scorso quando mi ha portato il ricordino della prima Comunione. Un tesoro, proprio un tesoro ». Luciano Curino Milano. Roberto Auglia (Telefoto De Bellis)

Persone citate: Albani, De Bellis, Francesca Auglia, Liliana Patanè, Patanè

Luoghi citati: Genova, Medolago, Milano