Non è solo un affare politico
Non è solo un affare politico Non è solo un affare politico Per mettere ordine nella Rai-Tv si sono impegnati i partiti, tutti. Hanno tuonato contro la «disinformazione», contro il servilismo alle forze di volta in volta al governo, contro la lottizzazione, contro le eccessive spese e le eccessive assunzioni, contro gli stipendi pagati a funzionari e redattori che erano distaccati ad altri incarichi. E' giusto che i partiti si siano fatto carico di una riforma che dovrebbe fare della Rai-Tvun grande strumento di informazione, di cultura, di svago. Ma se valida era l'intenzione e buona la volontà, il passaggio dalla fase critica alla fase costruttiva mette in evidenza impressionante impreparazione. Forse che in Italia non è possibile condurre in porto una riforma efficiente? Il motivo è che i politici non si accontentano di indicare le linee generali, ma vogliono scendere nei particolari dove non sono esperti. E' come se con la riforma sanitaria ì politici dovessero non limitarsi ai principi, ma dire ai medici come debbono operare o visitare il malato e per di più senza interpellarli. Ad ognuno il suo compito, in rispetto alla competenza. Il grande progetto di riforma per la Rai-Tv risale alle fatiche del professor Batacchi, insegnante di sociologia all'Università di Cagliari. Bolacchi è un ottimo docente, ma la sua preparazione gli autorizza a mettere a punto in ogni particolare un organismo rientrante nella indefinibile branca che è la sociologia per la sua funzione, non certo per il suo meccanismo? Per ora questo grande strumento di informazione che dovrebbe operare all'insegna delle libertà e delle competenze è oggetto di spartizione tra i partiti. Si vedono alleanze che poi si scompongono per comporsi in altre alleanze. Se la Rai andasse presa come test, oggi nessuno oserebbe prendere in considerazione l'ipotesi di un governo di emergenza in cui fossero presenti tutte le forze politiche. L'esempio Rai è negativo. Meglio, almeno per il governo, che si rimanga nella consueta definizione di democrazia come momento dialettico tra maggioranza e opposizione. La nomina dei direttori dì testata è stata una contesa aspra e meschina che solo la noia, perché si è protratta troppo a lungo, è riuscita a far nuafragare nel disinteresse generale. Disinteresse che presuppone una diffusa sfiducia. Adesso la contesa si ripete per le nomine dei «vice»: secondo il progetto ci dovreb bero essere soltanto «vicari» e non vicedirettori al fine di ridurre le cariche. Ma chi sceglie ì vicari (o i vice)? Sono i direttori o di nuovo i partiti per completare la lottizzazione? un altro punto è oggetto di lotta: in quali ore mettere il telegiornale del primo canale e in quale il telegiornale del secondo Se alla stessa ora gli utenti sono costretti a scegliere o l'imo o l'altro, senza possibilità di utile confronto. Si possono comperare due giornali scritti e leggerli uno dopo l'altro. Non si possono seguire contemporaneamente due giornali parlati. Ma neppure è facile la soluzione di trasmettere ì due telegiornali in ore diverse. Se direttore del primo canale fa seguire al telegiornale un telefilm alla Sandokan, chi si sente di rinunciare all'urlo della tigre di Mompracen per vedersi il telegiornale del secondo? Per ora nella Rai-tv c'è confusione e timore che le spese aumenteranno. Tutte le innovazioni richiedono un periodo laborioso e un grande sforzo per superare le difficoltà. Ma i politici non debbono esagerare a voler risolvere loro tutti i problemi, anche quelli organizzativi e tecnici. La tentazione sarebbe dì dire: perché non ricominciare da capo tenendo prezioso conto dell'esperienza di questi mesi? Se la riforma fallisce non solo manca al suo compito uno strumento di informazione e di cultura, ma si aprono le vie alle televisioni straniere. g. tr.
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