Vitellone non accetta di essere trasferito
Vitellone non accetta di essere trasferito Forse lascia la magistratura Vitellone non accetta di essere trasferito Il giudice romano sostiene: "E' invidia per le mie amicizie con Forlani e Andreotti" Roma, 13 febbraio. Claudio Vitalone è sempre più deciso a non accettare la decisione del Consiglio Superiore della magistratura: piuttosto che essere trasferito dalla Procura della Repubblica e da Roma preferisce lasciare l'ordine giudiziario. «Ne faccio una questione di principio — dice — perché non ho nulla da rimproverarmi». Senza ammetterlo esplicitamente fa capire che si ritiene vittima di una macchinazione alla quale non sarebbero estranee motivazioni politiche: una vendetta, in sostanza, di invidiosi per le sue amicizie con Andreotti e Forlani; una conseguenza dell'inchiesta sul golpe di Valerio Borghese e della incriminazione di Vito Miceli, ex capo del Sid. In ogni modo contro il provvedimento del Consiglio Superiore intende presentare subito ricorso al tribunale amministrativo regionale ed ha fatto sapere al suo superiore diretto, Siotto, procuratore della Repubblica che nel frattempo si limiterà a fare soltanto inchieste di ordinaria amministrazione. Sei sono le ragioni che hanno indotto il Consiglio Superiore della magistratura a disporre il trasferimento d'ufficio di quello che, a torto o a ragione, era considerato uno dei più intraprendenti sostituti alla Procura della Repubblica. La più importante è stata che Claudio Vitalone ha creato «in seno alla Procura la sensazione di godere una posizione di particolare preminenza» ed in particolare: 1) ha organizzato dei «banchetti» invitando esponenti politici; 2) ha offerto biglietti gratuiti per spettacoli teatrali ad alcuni colleghi e autorizzazioni per parcheggiare le auto in zone vietate al centro di Roma; 3) ha partecipato come docente ad un corso di perfezionamento per i vigili urbani organizzato da suo fratello avvocato Vilfredo. Al Consiglio Superiore è sembrato determinante per trasferire il magistrato da Roma il fatto che il dottor Vitalone non ha smentito una intervista pubblicata da un settimanale in cui aveva affermato d'essere intervenuto presso il suo diretto superiore per sollecitare «una energica azione contro i gruppi extraparlamentari». Poi, si è attribuita la responsabilità al dottor Vitalone di avere proseguita l'istruttoria contro i dirigenti degli Ospedali Riuniti anche se sua moglie fosse una dipendente dell'ente; di avere chiesto sempre l'assegnazione di istruttorie in cui «potevano essere coinvolti personaggi di rilievo» trascurando invece i processi di minore risonanza. Infine gli è stato contestato di avere «in¬ trattenuto rapporti con i giornalisti» per cui si è accreditata «l'impressione che egli non sia stato estraneo alle indiscrezioni comparse sui quotidiani e periodici relativamente a processi in corso e a vicende interne della procura di Roma». L'episodio però che ha convinto maggiormente il Consiglio Superiore a prendere un provvedimento nei confronti del sostituto procuratore della Repubblica che «seppure incolpevole ha perduto molto del suo prestigio» è stato senz'altro quello relativo alla denuncia dell'assessore comunale Renzo Filippi il quale ha accusato, in modo esplicito, il fratello del dottor Vitalone di avergli fatto capire che dietro versamento di 20 o 30 milioni gli avrebbe garantito l'assoluzione in istruttoria. g. g.
Luoghi citati: Roma
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