Svolta tra Libia e Vaticano

Svolta tra Libia e Vaticano Forse per la prima volta rapporti diplomatici Svolta tra Libia e Vaticano (Nostro servizio particolare) Tripoli, 7 febbraio. Il colonnello Gheddafi è raggiante. Vestito dell'abito tradizionale, tutto in bianco, le spalle e la testa avvolte in un ampio mantello avanza tra i suoi fedeli, alcuni si gettano a terra al suo passaggio per baciargli i piedi. Il suo viso esprime felicità, i suoi occhi mostrano la gioia e la fierezza. In una sala del palazzo del popolo (che apparteneva al re Idris che egli ha detronizzato), Gheddafi accoglie i suoi invitati, le personalità venute da una cinquantina di paesi, dall'Europa, dall'Africa, dalle Americhe. Uomini di religione cristiana o musulmana, teologi universitari, uomini politici, gli stringono la mano rispettosamente o calorosamente. In totale sono circa 400 i partecipanti al «Colloquio islamo-cristiano» che si è sviluppato a Tripoli dal primo al 6 febbraio. La riunione che si è tenuta sotto il duplice auspicio dello Stato del Vaticano e della Repubblica libica si è conclusa con una dichiarazione congiunta che costituisce senza dubbio un trionfo per il colonnello Gheddafi, di cui avalla le tesi, essenzialmente sul conflitto palestinese. Il comunicato letto un'ora prima della seduta di chiusura ha fatto l'effetto di una bomba. Per due ragioni: i 14 membri della delegazione ufficiale del Vaticano, con il cardinale Sergio Pignedoli in testa, non avevano cessato per tutti i colloqui e fino all'ultimo minuto di proclamare pubblicamente e in privato che essi non si sarebbero fatti tirare loro malgrado sul terreno politico perché il dialogo doveva essere esclusivamente spirituale. Invece certi testi che essi hanno finito per sottoscrivere sono notevolmente differenti dalle prese di posizione della Santa Sede. E Andando al dilà della risoluzione votata alle Nazioni Unite lo scorso novembre il testo qualifica il sionismo come una dottrina «razzista, aggressiva e estranea alla Palestina come all'insieme dell'Oriente». Non soltanto il testo parla di «liberazione di tutti i territori occupati» (da Israele) mu anche di riconoscimento «dei diritti nazionali del popolo palestinese compreso quello di ritornare nella sua terra» e inoltre proclama ancora «il carattere arabo della città di Gerusalemme» (senza distinzione di settori) e condanna tutti i progetti che portino alla «giudaizzazione, alla divisione o all'in¬ ternazionalizzazione della città santa» (articoli 20 e 21 della dichiarazione comune). Lo stupore è al colmo nella sala del congresso. La Santa Sede ha mutato alcune delle sue posizioni precedenti? «E perché no» ci risponde Ezzedine Ibrahim, uno dei quattordici membri della delegazione musulmana, «perché il Vaticano, aggiunge, è isolato, e ha bisogno di guadagnarsi le simpatie del mondo islamico, molto popolato, ricco e potente». Di fronte a questo trionfalismo, i delegati cattolici manifestano bruscamente una profonda costernazione. All'uscita dalla sala del congresso, padre Borrmans, uno dei cinque sottoscrittori del testo dichiara: «La sola cosa che possiamo fare ormai per noi è pregare lo spirito santo...». Al palazzo del popolo, un'ora più tardi, il cardinale Pignedoli, il volto teso, è rigido al fianco del colonnello Gheddafi dopo aver provato invano a protestare per il testo che egli dichiara di non approvare e di non aver neanche letto prima della sua diffusione. Il capo dello Stato libico, con l'aria assente gli ha risposto che ignorava tutto di quest'affare, e continua a stringere la mano ai suoi invitati. Alla fine della cerimonia, monsignor Piero Rossano, vicepresidente della delegazione del Vaticano si precipita nella sala del congresso e con l'aria agitata dice: « Fra poco terrò una conferenza stampa per disapprovare i cinque padri che hanno sottoscritto la dichiarazione comune. I nostri colleghi erano sfiniti, estenuati, non sapevano più che cosa facevano e non si rendevano conto dell'impegno che prendevano. Noi non possiamo sottoscrivere gli articoli 20 e 21 perché noi non siamo né competenti né abbiamo un mandato per pronunciarci su questioni politiche. Noi l'avevamo detto chiaramente alla delegazione musulmana prima dell'inizio dei colloqui )>. Poco dopo monsignor Rossano ha dichiarato che la conferenza stampa era annullata su richiesta delle autorità libiche e monsignor Pignedoli aggiungeva con tono seccato che non aveva niente da dichiarare. Da fonte attendibile, si apprende che la__Libia accetterebbe per la prima volta nella sua storia, di stabilire relazioni diplomatiche col Vaticano e sarebbe pronta ad autorizzare la costruzione di una chiesa a Bengasi. Il colonnello Gheddafi darebbe così al suo regime un'immagine di tolleranza e di apertura. Resta il mistero sul comportamento dei membri della delegazione della Santa Sede. Perché i cinque incaricati del comunicato congiunto non hanno sottoposto il testo a monsignor Pignedoli? Perché questo non ha reagito prontamente quando il testo è stato letto nella seduta di chiusura? Oggi pomeriggio Tripoli e il Vaticano hanno concordato un comunicato che dice: « Le due delegazioni rilevano il carattere positivo dei risultati di questo dialogo storico espresso nella dichiarazione finale comune. Per quello che concerne i paragrafi 20 e 21 della dichiarazione, il testo sarà trasmesso dalla delegazione cristiana alle autorità della Santa Sede che sono le sole competenti in materia ». Eric Rouleau Copyright di « Le Monde » e per l'Italia de « La Stampa »