Un "maestro,, in biblioteca di Augusto Minucci

Un "maestro,, in biblioteca Scoperto a Modena un finissimo artista neoclassico Un "maestro,, in biblioteca Esposti per la prima volta i disegni di Giuseppe Fantaguzzi rimasto sconosciuto per 140 anni Modena, 7 febbraio. La nebbia dell'indifferenza, calata sull'arte neoclassica — definita dai critici di fine '800 e primo '900 «fredda e accademica» — ha cominciato a dissiparsi soltanto qualche decina di anni fa, e se la grande mostra londinese del 1972 ha reso giustizia ad un periodo a lungo frainteso, l'opera di rivalutazione degli artisti di quel tempo non è cerio conclusa. Modena, ad esempio, ha potuto conoscere soltanto ora uno straordinario artista concittadino: Giuseppe Fantaguzzi, finissimo disegnatore neoclassico sepolto da sempre negli archivi della biblioteca Poletti, nelle cui sale sono stati esposti, sino a pochi giorni fa, cento suoi mirabili disegni. Nel caso di Giuseppe Fantaguzzi, non si tratta soltanto di un «recupero», ma di un'autentica scoperta (le sue opere non erano mai state esposte al pubblico) dovuta alla sensibilità di Enrichetta Cecchi Gattolin, direttrice della biblioteca Poletti. Di questo artista vissuto tra Napoleone e restaurazione austro-estense, si sapeva poco o nulla. E' vero che Carlo Lodovico Ragghiami, con raro intuito, nel 1939 aveva provveduto a schedare parecchi disegni, ma la figura dell'artista continuava a rimanere avvolta nel mistero: non si sapeva quale attività avesse svolto, che formazione avesse avuto e quali fossero le opere certe che aveva lasciato. Ora, grazie alle ricerche e all'acuta indagine critica della studiosa modenese, questo ignoto artista neoclassico ha acquistato una sua precisa fisionomia e, soprattutto, una sua esatta dimensione nel panorama artistico del proprio tempo. Un'impresa appassionante che ha richiesto anni di lavoro, con estenuanti ricerche, confronti, analisi estetiche e che ha avuto due punti decisivi: la scoperta di un documento autografo, dove Fantaguzzi faceva domanda di essere immesso fra i «cittadini attivi», e il ritrovamento di 23 foglietti pieni di schizzi. Se il confronto calligrafico (nessuna delle opere del Fantaguzzi è firmata) ha permesso di giungere alla identificazione certa di parecchi disegni che reca- vano in calce il nome del personaggio ritratto, gli schizzi (pieni di motivi decorativi, scene di caccia, appunti di alberi e cespugli) hanno consentito alla Cecchi Gattolin di risalire al periodo della formazione, di vedere in questo artista un'ammirazione per i modi del Parmigianino e di avvertire, sin dalle prime prove, quella che rimarrà una costante della sua arte: un «netto distacco dalle vagheggiate mitologie per un'attenzione nuova alla realtà naturale». Indubbiamente anche il Fantaguzzi, come parecchi artisti del suo tempo, non rimase insensibile all'arte dei davidiani, ma subito cercò di approfondire lo spirito delle cose, di frugare nell'anima dei suoi personaggi che appaiono, tutti, come sospesi in uno stupito silenzio, adombrati da una leggera inquietudine che, spesso, va ben oltre la romantica malinconia cara ai suoi colleghi contemporanei. Non ci sono sorrisi in questi volti di uomini, donne e bambini, ma una sottile angoscia esistenziale che affiora anche evidente nel bell'autoritratto giovanile: un minuto, aristocratico volto incorniciato da capelli e basettoni biondo-rossicci, il naso sottile, sensibilissimo, la piccola bocca ferma, gli occhi fìssi, quasi perduti nel vuoto ad accarezzare, forse, irraggiungibili sogni. L'identificazione di questo autoritratto è stata possibile grazie ad un minuzioso confronto con un altro ritrovato nella sede di quella che fu l'Accademia Atestina, dove il Fantaguzzi insegnò dal 1800 sino alla morte, avvenuta nel 1837. Un pastello realizzato certamente dopo il 1830, dove la somiglianza, anche se i lineamenti recano i segni del tempo (gli occhi sottolineati da lividi gonfiori, il naso pesante, la bocca infossata) è evidente. Si ritrova in questo volto la forza spirituale, e la nobiltà, del ritratto giovanile, ma le illusioni hanno fatto posto allo scetticismo: si è sposato, ha provato il dolore della morte di un figlio, ha vissuto tutte le speranze e le amarezze di un periodo esaltante e drammatico: la fuga di Ercole III con il tesoro degli Estensi, l'arrivo di Napoleone, le lotte tra i fautori di una nuova politica sociale e i conservatori, il ritorno dell'Austria e l'insediamento di Francesco IV, la nascita della Carboneria e l'impiccagione di Ciro Menotti. Un periodo denso di rivolgimenti che forse non hanno giovato alla carriera di questo artista legato alla scuola e alla famiglia e costretto, come sottolinea la Cecchi-Gattolin nel bellissimo catalogo a « routine senza aperture ». Non risulta infatti che Fantaguzzi abbia viaggiato e lavorato fuori Modena: è certo però che, attraverso la galleria dei suoi personaggi, sembra di penetrare nel clima di quel periodo, di avere già conosciuto quelle dame della borghesia, ora dal volto dolce e tenero, ora animate da contenute passioni, di avere già incontrato queste giunoniche popolane dagli occhi liquidi e dalle capricciose acconciature, questi severi soldati, borghesi, professionisti (il caro sereno dott. Boleranti) che, definiti da un segno sottile, appena toccati da ombre e lumeggiature, da aliti di colore, sembrano materializzarsi fisicamente e spiritualmente tanto da avere l'impressione di sapere tutto di loro. E questo è un segno sicuro dell'arte non provinciale di questo piccolo maestro di provincia. Augusto Minucci

Luoghi citati: Austria, Modena