Le gemme dialettali

Le gemme dialettali QUESTIONI DI LINGUA ITALIANA Le gemme dialettali Contro le tentazioni tecnologiche, il Vocabolario italiano-piemontese Sono da ricevere con affezione quei documenti che conservano e tramandano, in condizioni così avverse, il patrimonio delle parlate regionali: essendo provato, contro le vecchie fisime degli unitaristi, che sono reciproche queste due cose: la pietas per il dialetto e l'amore della lingua nazionale. Si leva dalla cintola in su, tra i piemontesisti d'oggi, Camillo Brero, che oltre a scrivere di proprio Marte, in quella lingua (come i più vogliono che la si chiami), prose poesie e saggi, se ne è fatto codificatore, dapprima propugnando coll'amico Pinin Pacòt una riforma ortografica più aderente alla tradizione settecentesca e che ormai va conquistando anche i più restii (pietra d'inciampo fu il suono della vocale italiana u significato con la semplice o senza verun segno: balon core), e poi compilando una Gramàtica piemontèisa (Ij Brande) che si ristampa continuamente, come modello che è di lucida stringatezza. Quel che si diceva che non solo lingua e dialetto non repugnano tra loro, ma armonizzano, si prova vero consultando in qualunque punto questa Grammatica, che produce un doppio effetto elettrizzante: verso la lingua grande e verso la lingua piccola. Mancava alle benemerenze breriane una fatica lessicografica. Eccola: un Vocabolario italiano-piemontese, che la « Editrice Piemonte in Bancarella » ha testé messo fuori come efficace strumento per tener vivo, dopo i soprusi fascistici i cui effetti non sono del tutto cessati, quel concet-to di « bilinguismo » in cui già l'Ascoli aveva riconosciuta implicita « una posizione privilegiata nell'ordine dell'intelligenza ». Dice il Brero, commisurando il suo sforzo a quello dei vocabolaristi piemontesi del secolo scorso, inteso, più che altro, ad avviare i lettori i all'apprendimento della lin- gua italiana: « Oggi... un vocabolario piemontese non può che essere uno strumento di riconversione per quanti soffrono l'umiliazione della cultura preordinata dall'alto e condizionata dall'economia standardizzata e materialistica ». A tale riconversione si giunge facendo propria quella mentalità puristica che lungi dall'essere peculiare della lingua soltanto, è comune a tutte le parlature e persino ai gerghi. Il processo di corruzione dialetti-lingua (i cosi detti regionalismi) è reversibile in quello lingua-dialetti: nel nostro caso, i tanti i troppo italianismi di cui si macchia, per la stretta delle cose, il piemontese moderno. Cerchiamo pure Contestazione; e già sappiamo quello che ci aspetta: l'adattamento, foggiato su un lieve cambio di desinenza, contestassion. Cerchiamo Contachilometri. Che può fare il piemontese? Conteur chilometrich, contachilométer, contachilòmetri, l'ultimo dei quali (con la sola variante della o che suona u) ci riconduce al palo, presso a poco come fa lo smangiato contratach (c gutturale, in fine di parola, vuol l'h) rispetto a Contrattacco; se non che qui già balena un sinonimo che ha tutt'altro suono e rifa la bocca: arvangia. Tale che sente l'ora che batte, cercherà subito Sesso (ma non s'illuda troppo: sess); altri Sciopero (siòpero), rimanendo ugualmente male per tanta povertà di esiti. Ma per chi saprà aprirsi la traccia verso il piemontese vero, il piemontese idiotistico (il solo 1 che può essere vero), i com- pensi sono tanti. Il sostantivo Testa ha bensì anche in italiano dovizia di sinonimi; ma forse nessuno, nemmeno il trecentesco Cipolla, ha tanto sapore quanto il nostro ciribicòcula, spiegato dagli etimologisti come derivato da angiriculese, « inerpicarsi », incrociato con bicuchìn, « ber¬ rettino » e còcula, « bacca ». E l'italiano potrà avere Vispo e quant'altro vuole, ma come non sentire il mercuriale di svicc (c palatale, in fine di parola raddoppia)? E così non si dirà mai abbastanza bene del giulivo ritmico baudette (Scampanio a festa), dove compare un suono che l'italiano non ha, la e scura o muta, da scriversi sormontata da due puntini (è), né di bèrtavela (ciancia), davanè (abbaccare), ratatoi (zibaldone, ciarpame) e soprattutto di quel mirabile onomatopeico spatuss (sfarzo, sfoggio), che connesso con Sparnazzare Disperdere, par veramente che fumi. Certo, queste e tant'altre gemme che si possono trovare nel piemontese entrandovi dall'italiano, sono velate, hanno quel che d'infelicitato che, volere o non volere, è di tutte le parlate ristrette, non assai corroborate dalla letteratura. Perché è vero che al largo del piemontese, là dove ci conduce il Brero, e nei suoi punti più trovadorici, incontriamo il puro nesso petrarchiano « deman da sera »; ma come calato nel tono! doman da seira! Come che sia, questo Vocabolario dalle proporzioni ancor modeste ma destinato a svilupparsi, adempie bene il doppio scopo che si è prefisso nella « Presentazione »: « offrire ai piemontesi di nascita la possibilità di risciacquare il proprio linguaggio contaminato, ed ai piemontesi di elezione una maggior facilità di acquisire ed arricchire la lingua di casa ». Un libro insomma che ne sia di guardia contro le tentazioni della coinè tecnologica, e che meglio di tante discussioni o congressi (che magari ventilano l'abolizione della lingua in favore dei dialetti, con che si tornerebbe alla schiusa babelica e al non poterci intendere tra noi oltre a cinquanta palmi di distanza), ci restituisce il gusto e l'amore dei linguaggi nativi. Leo Pestelli

Persone citate: Brero, Camillo Brero, Cipolla, Leo Pestelli, Pinin, Vispo

Luoghi citati: Contrattacco, Piemonte