Femministe e radicali al tribunale di Verona di Giuliano Marchesini

Femministe e radicali al tribunale di Verona Femministe e radicali al tribunale di Verona Proteste al processo per aborto contro la donna madre di 6 figli L'imputata, 43 anni, ha il marito schizofrenico e invalido - Ha dovuto provvedere da sola a mantenere la famiglia - I giudici hanno accolto le richieste della difesa - La causa rinviata (Dal nostro inviato speciale) Verona, 3 febbraio. «Ho sei figli e ho abortito cinque volte. Mio marito ha 50 anni e negli ultimi venti ha passato almeno sei mesi all'anno in manicomio. E' schizofrenico e totalmente invalido al lavoro già dall'età di 23 anni. Quando esce dal manicomio, fa il facchino per guadagnare qualcosa». E' l'inizio di una lettera scritta da Marisa Benetti in Fundari, che siede sperduta davanti al tribunale di Verona per rispondere di procurato aborto. Questa donna ha 43 anni, ma ne dimostra parecchi di più: la fatica, le tribolazioni hanno presto tracciato solchi sul suo viso. Una copia della missiva con cui Marisa Benetti s'è presentata davanti ai giudici ce la consegna Adele Faccio, venuta ad assistere al processo. Oltre che al presidente della sezione penale, Roberto Scaravelli, l'imputata ha indirizzato la lettera al Capo dello Stato, al presidente del Consiglio dei ministri, ai ministri dì Grazia e Giustizia e della Sanità, alle commissioni giustizia della Camera e del Senato. «Sin quando potevo — dice ancora Marisa Benetti — ho fatto l'operaia e adesso, quando posso, faccio la donna di servizio a ore. Dal 1962 sono stata nominata dal tribunale tutrice di mio marito, che è stato interdetto. Sin da ragazza sono ammalata ai polmoni e ai reni. In tutte le gravidanze ho sofferto molto. L'ultimo figlio l'ho avuto con l'ossigeno. Quando è nato, un medico della casa di cura dove ero ricoverata ha preso per lo stomaco mio marito, chiedendogli se era pazzo a continuare a far fare figli a me che ero in quelle condizioni e che avrei potuto morire». L'imputata continua così: «Nel 1972 ho fatto l'ultimo aborto. Mi hanno dovuto togliere tutti i denti per un'infezione. Ero uno straccio. Adesso, per l'ultimo aborto, mi processano al tribunale di Verona. Io mi domando se è giusto che lo Stato processi me, senza avermi mai dato niente, per me e per i miei figli, e se adesso devo andare in galera, lasciando i miei figli con mio marito in quelle condizioni, solo perché non potevo mettere al mondo anche il settimo figlio e non avevo i soldi per andare in Svizzera». Marisa Benetti, originaria di Roma, vive a Montorio Veronese, poco fuori dalla città: una casa di pietra, dalle imposte sgangherate, i letti soltanto, un tavolo e le sedie nel¬ o a a 3 a n a 3 o a a i e , l , e o ni o e è zni ilsee o nae e : o oesi eue, e, e a, o i, tidi a eà: mll¬ la cucina, niente riscaldamento. Stanno con lei il marito e due ragazzi: altri due figli sono ospiti dei nonni, gli altri sono sposati. Attorno a Marisa Benetti, che oggi guarda smarrita i giudici, s'accende una manifestazione del «movimento di liberazione della donna» e dei radicali. Giù nella piazza dei Signori, di fronte al palazzo di giustizia, sono circa duecento le femministe che innalzano i cartelli e scandiscono i loro slogan. Le rappresentanti del coordinamento veronese dei collettivi donne emettono anche un comunicato in cui spiegano di aver ritenuto di organizzare una vasta mobilitazione non soltanto come «momento di solidarietà verso una donna che oggi — dicono — è colpita come potrebbe essere colpita ciascuna di noi, ma anche perché intendiamo trasformare ogni processo per aborto in un momento di lotta politica, contro l'oppressione che viviamo». Al di là della fondatezza o meno dell'accusa, le femministe vogliono denunciare la storia dì violenza che ha subito questa donna, «storia di cui ognuna di noi potrebbe essere protagonista». «Mentre 7.000 autodenunce a Roma — aggiungono — sono state insabbiate e il processo a 280 donne di Trento non si è svolto, si dimostra un chiaro disegno politico di colpire le donne che lottano per l'aborto libero, gratuito e assistito, promuovendo processi isolati in varie zone del Paese». L'aula in cui si giudica Marìsa Benetti è stipata: dietro la transenna s'accalcano operaie, impiegate, studentesse, che approfittano delle prime ore del pomeriggio per seguire questo processo. Ma il dibattimento si ferma alle prime battute. Il collegio di difesa presenta istanze preliminari, chiede che siano ammesse alcune testimonianze sulle condizioni in cui vive Marisa Benetti. «Nessuno finora — dice l'avvocato Gilberto Tommasi — s'è preoccupato dei suoi problemi». Il pubblico ministero, Pio Avecone, ritiene che certi testi debbano essere ascoltati. I giudici si ritirano in camera di consiglio. «Io chiedo — dice Marisa Benetti — che il tribunale mi assolva dopo aver raccolto tutte le prove che ho chiesto, dopo aver esaminato la realtà dell'aborto come sofferenza. Le donne che sono qui mi hanno detto che in questa lotta io rappre¬ ne ori i, i eiei ei o el i neon o sento tutte le donne: ne sono orgogliosa». I giudici escono dalla camera di consiglio con una ordinanza: dispongono una perizia medica, affidandola ai professori Querci e Terzian, rispettivamente direttore dell'istituto di medicina legale e primario neurologo. Dicano i periti, stabilisce il tribunale, se tenendo conto delle condizioni sociali e del tipo di vita dell'imputata, si possa fare una valutazione di gravità della gestazione come pericolosa per il benessere psichico e fisico di questa donna. C'è, a questo proposito, una sentenza della Corte Costitu¬ zionale del 18 febbraio 1975 che dichiara l'illegittimità dell'art. 546 del c.p. (quello appunto che riguarda il procurato aborto) «nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venire interrotta quando l'ulteriore gestazione implichi danno, e pericolo grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre». Il processo a carico di Marisa Benetti, quindi, è sospeso a tempo indeterminato. Ma forse, con questa ordinanza, il tribunale di Verona ha già dato la sua sentenza. Giuliano Marchesini

Luoghi citati: Roma, Svizzera, Trento, Verona