Ucciso per vendetta con la figlia un sardo: forse aveva "parlato"

Ucciso per vendetta con la figlia un sardo: forse aveva "parlato"Sulle colline di Castel S. Pietro bolognese, un angolo di Barbagia Ucciso per vendetta con la figlia un sardo: forse aveva "parlato" Il cadavere dell'uomo (49 anni) trovato con un bossolo in bocca - Anni fa, un pericoloso assassino, ora latitante, giurò vendetta - La ragazza (15 anni) forse eliminata perché aveva riconosciuto gli uccisori (Dal nostro corrispondente) Bologna, 3 febbraio. C'è in Emilia un angolo di Barbagia e questa notte, sulle colline di Castel San Pietro, il clan dei sardi ha rinnovato i suoi riti: quattro colpi di lupara per Natalino Sechi, 49 anni, e per sua figlia, Lorella, di quindici anni. Un'esecuzione a freddo, spiegata da un bossolo pressato nella bocca dell'uomo, che a qualche chilometro da Bologna, nei calanchi argillosi dell'Appennino, aveva riprodotto, intatti, i segni della sua terra. Qui l'abigeato è ancora attuale; qui si incontrano servipastori e le faide, nate in Sardegna tra le famiglie, si perpetuano come se né il mare, né la distanza dall'isola, le avessero mutate: un'Emilia diversa, dove gli uomini cavalcano e guidano greggi, dove le donne asciugano il formaggio nelle madie colme di grano e la sera del sabato non mettono piede nelle balere enormi e assordanti che pure sono lì, a qualche centinaio di metri. Un bossolo in bocca e Natalino Sechi, capo riconosciuto della zona che abbraccia un centinaio di casolari occupati da immigrati sardi, non potrà più parlare. Il primo ad accusarlo di delazione era stato un paio d'anni fa, Virgilio Floris, il giovane assassino del carabiniere di Pontelagoscuro, Carmine Della Sala. Virgilio Floris, evaso da Ravenna, si era rifugiato in un fienile di Castel San Pietro. Fu sorpreso nel sonno e ai militari che gli serravano i polsi chiese stupito: «Quanto avete dato a Sechi?». Poi più tardi, uscendo dalla casermetta, giurò in pubblico che Sechi, la spia, l'avrebbe pagata. Adesso Floris è latitante: è riuscito a fuggire da Pianosa ma gli inquirenti non credono che possa essere stato lui ad uccidere. «Ci deve essere nel delitto, ha detto stanotte il colonnello Agrimi, un episodio più recente». Una dichiarazione frettolosa mentre era appena iniziato l'interrogatorio di tre persone: un uomo di 64 anni, Salvatore Sechi, che lavorava per Natalino e due giovani: Mario e Libero che nella piccola azienda avevano il ruolo di garzone. Hanno udito le deflagrazioni, hanno dato l'allarme che il comandante della stazione ha annotato sui registri alle 22,25. C'è però, nelle testimonianze, disaccordo sugli orari e gli inquirenti sperano di poter cogliere, nella contraddizione, un filo certo per le indagini. L'impressione è che tra i tre qualcuno possa aver riconosciuto gli assassini e che, vinta la paura, si decida a parlare. Il più giovane, Libero Manlio, 15 anni, era a poca distanza: anche a luì è stato sparato un colpo, è stato mancato ed è riuscito a fuggire ma è convinto di non aver mai visto, prima di ieri sera, i due killers. Dodici anni fa, quando Natalino Sechi aveva lasciato la sua terra e si era trasferito in Emilia, aveva portato con sé Lorella. Al paese aveva lasciato invece la madre della bambina che non aveva voluto sposare. Intelligente, arrogante, l'uomo aveva cancellato in pochi anni la povertà che aveva alle spalle e nella strada che congiunge Castel San Pietro a Monte Calderaro, eia riuscito ad acquistare, pezzo a pezzo, un podere abbastanza vasto che copre ormai un'intera collina. Uno spiazzo arioso distingue la casa dall'edificio destinato al gregge e la stalla ospita, in altrettanti box, sei cavalli lucidi e curati. Una muta di cani assicurati a fili che corrono in parallelo tra i due edifici garantisce l'ingresso della stalla e quello dell'abitazione contro gli intrusi. Questa notte, quando abbiamo raggiunto la zona, i cani abbaiavano nell'oscurità, le pecore, gonfie di latte, si lamentavano nell'ovile per la mungitura che ancora tardava. C'è chi assicura però, tra ì tre testimoni interrogati dai carabinieri, che prima dei colpi i cani se ne stavano tranquilli, accostati alle pareti, per ripararsi dalla neve rassodata dal gelo. Sul silenzio dei cani gli inquirenti appaiono scettici, ma non escludono che ad uccidere siano stati due uomini che Natalino Sechi e i suoi cani conoscevano. E questo spiegherebbe perché, a pagare con la vita, sia stata chiamata ieri sera anche Lorella: «E' probabile, dicono i carabinieri, che la ragazza abbia riconosciuto gli assassini del padre». I due carpi giacevano nella neve arrossata a quindici metri di distanza l'uno dall'altro. La ragazza indossava un montgomery; nella sinistra stringeva una borsa di paglia rigida: la stessa sporta che Natalino Sechi aveva usato al mattino per riporre un prosciutto che aveva portato a una sua donna a Bologna. Un amico lo aveva riaccompagnato a casa alle 20,30. E' questa borsa di paglia che fa anticipare ai carabinieri l'ora del delitto rispetto al le 22,30 indicate nelle testimonianze. E' inspiegabile infatti che Lorella avesse in mano il cestino due ore dopo che il padre, arrivando, verosimilmente, glielo ha consegnato. Altro particolare: nella casa il letto matrimoniale del padre e la brandina che nella stessa stanza era riservata a Lorella erano in ordine, rassettati con cura come la grande cucina che subito dopo l'ingresso si apre sul ballatoio. II corpo di Lorella veniva raccolto da due inservienti del comune, quello di Natalino Sechi da due vigili del fuoco accorsi con un'ambulanza. La ragazza mostrava la nuca lacerata dal colpo e un sottufficiale la ricordava quando a cavallo ordinava il gregge verso la stalla e diceva: «Mio padre, in casa non c'è, andate via». «Salivamo spesso da lui», raccontano i militari che nella notte imbracciano i mitra e si riparano con i giubotti antiproiettile. Ma perché andavano spesso i carabinieri da Natalino Sechi? Rispondo no «Aveva un fascicolo zeppo di denunce, di mandati di cattura, entrava e usciva dal carcere ». Ma il ruolo di Natalino Sechi, in Emilia, non sembra limitarsi a qualche furto. Il suo nome era emerso nel periodo del rapimento del medico Rossini dì San Marino poi ogni sospetto era caduto. Era tornato alla ribalta con Floris e c'è ora chi gli attribuisce l'abito del «padrino» nel vasto comprensorio dell'Appennino tosco-emiliano che tra Castel San Pietro e Pietramala è abitato dai sardi. Così grande rilievo si dà tra gli inquirenti all'interrogatorio di tre pastori di Firenzuola. Si suppone una faida per il controllo della zona ricca di nascondigli e di rifugi, ideali per l'industria del sequestro. Francesco Santini Natalino Sechi (Ap) Castel S. Pietro. Lorella Sechi (Telefoto Ansa)