Noti i complici dei tre d'Ivrea di Omero Marraccini

Noti i complici dei tre d'Ivrea Finito il lungo incubo ora si chiede soltanto giustizia Noti i complici dei tre d'Ivrea Si cercano l'autista (forse di Savona) fuggito all'arrivo della polizia e il basista (sembra canavesano) - Identificati, non sfuggiranno alla giustizia - Stamane i funerali dell'orefice ucciso (Dal nostro inviato speciale) Ivrea, 31 gennaio. Nino Pira, 24 anni, Pietro Cappello e Nicodemo Avenoso, entrambi di 29, i rapinatori residenti a Savona che hanno ucciso l'orefice Claudio Blessent e tenuto in ostaggio, dalle 19,30 di giovedì alle 15,33 di ieri, il figlio della vittima, Dino, 10 anni e la commessa Silvana Quagliotti, di 16, da questa notte sono chiusi in celle separate alle «Nuove» di Torino. La caccia è ora aperta ai complici: forse un altro savonese, quello incappucciato, fuggito con la 127 al sopraggiungere della polizia davanti al negozio del Lungodora ed un quinto elemento, che il vicequestore di Ivrea, dott. Battegazzorre, ritiene, con sicurezza, sia di queste parti: cioè il basista, che ha indicato il negozio « Lora » di Blessent per il colpo. Ci sono due importanti segnalazioni fornite sui movimenti dei banditi alla vigilia del tragico assalto. I carabinieri hanno stabilito che Nino Pira e gli altri tre hanno dormito, mercoledì, all'albergo «La campagnola» di Cigliano. Cappello e Avenoso hanno fornito le loro esatte generalità; gli altri hanno dato nomi falsi; Luigi Grazia e Renato Bertuccio. Alle 12 di giovedì i tre arrestati (riconosciuti da numerosi testimoni che hanno visto le loro foto sui giornali) furono notati con altri due in un ristorante di Strambino; il quinto uomo sarebbe quello che ha organizzato il colpo ad Ivrea. Il vicequestore è certo che questo personaggio (già identificato) cadrà presto nella rete. «Sono sicuro al cento per cento che ha organizzato ad Ivrea anche un altro colpo, la rapina del 4 gennaio al portavalori delle Poste, Giuseppe Terzi, 23 anni. Tre banditi gli strapparono un sacco con 10 milioni. Soltanto uno della zona, se non proprio di Ivrea, poteva conoscere i movimenti del Terzi». Ma ci sono anche altri particolari che fanno pensare ad un complice locale e che sembrano inchiodare Pira, Cappello e Avenoso per l'aggressione al portavalori. «Quel giorno, tutti i testimoni dissero che uno dei banditi (volto coperto da passamontagna) sembrava una donna o un ragazzo — spiega Battegazzorre — era uno che si muoveva come una signorina. Ieri, al momento della consegna degli ostaggi, quando Nino Pira è apparso sul ballatoio delle scale, il volto coperto, piccolo di statura, movenze quasi femminili, mi sono detto "Quello è una donna" ed invece era il capo del commando». Le indagini, per stabilire fra la «mala» ligure chi era con Nino Pira e gli altri, sono state estese a Savona ed a Genova. Il quarto bandito scomparso giovedì sera dopo avere abbandonato alla periferia di Ivrea la 127 rubata il giorno prima a Mario Rossetti, abitante ad Albiano, potrebbe essere ancora nel Canavese. E' stata infatti ritrovata dove l'avevano lasciata i banditi, la seconda vettura, quella che avrebbe dovuto servire per rientrare indisturbati in Liguria dopo il colpo. L'auto, una Renault targata Savona, appartiene a Nicodemo Avenoso. Serbatoio pieno, era stata lasciata in una piazzola vicino all'ingresso dell'autostrada per Torino. Sul parabrezza un biglietto: «Macchina ferma per mancanza di benzina, torniamo subito». Avenoso ieri sera batteva i denti quando il procuratore Giovanni Cerasoli lo interrogava: «Sì, siamo venuti con la mia auto. Eravamo in quattro». Chi è l'altro? Non ha voluto dirlo: «Non lo so, non lo conosco». I tre banditi hanno dichiarato che non volevano uccidere l'orefice Blessent: « E' stata una disgrazia — ha gridato Nino Pira —. Volevo trattenerlo, mi è partito il colpo ». Il dott. Battegazzorre non gli crede: « Ha sparato per uccidere, per far paura alla polizia, per far vedere che loro erano dei duri. Sapevano ormai di essere accerchiati. Lo ha detto anche alla ragazza uno di loro: "State buoni: se la polizia non si ferma uccideremo uno ogni mezz'ora". Che volevano il sangue ad ogni costo — prosegue il vicequestore — lo hanno dimostrato anche sparando sull'agente Camillo Di Chiara che era disarmato e con le mani alzate, in piena luce, nella piazzetta». Per la rabbia e la paura, durante l'interrogatorio, piangeva Nino Pira che aveva perduto tutta la sua arroganza. Singhiozzava e si lamentava Pietro Cappello: «Ci hanno picchiati, ci hanno picchiati ». I tre infatti avevano ricevuto alcuni pugni mentre scendevano dai furgoni dei carabinieri e della polizia, da parte della folla a inferocita che si accalcava sin nell'atrio del Palazzo di Giustizia. Le forze dell'ordine avevano dovuto fare miracoli per sottrarli alla furia. «Ero alla finestra, quando i furgoni sono arrivati. Debbo dire che gli uomini di scorta sono stati bravissimi. Bastava un attimo di esitazione e sarebbe stato il linciaggio », ha ammesso il procuratore Cerasoli. Pira, Avenoso e Cappello, a quel punto, giovedì sera, erano tre disperati. Tre « scassamacchine » posti di fronte ad un fatto più grande di loro. « Ladri di galline presi da un gioco ben superiore alle loro capacità: per questo più pericolosi di delinquenti incalliti », ha detto il procuratore della Repubblica. Perché allora hanno resistito così a lungo? Perché quello che parlava al telefono, il Pira, si dimostrava tanto duro? Spiega il magistrato: « Speravano di ottenere l'auto per fuggire. Baravano. In effetti avevano una paura terribile, dei tiratori scelti e della folla. Il mio compito più difficile, nel persuaderli, insieme con gli altri inquirenti, e ieri con gli avvocati Monteverde, Nadalini e Coniglio, è stato proprio quello di fargli capire che non sarebbe successo niente, che li avremmo protetti. La loro era una paura fisica ». Ad Ivrea si spera di poter aprire presto una speciale sessione di assise per giudicarli. L'istruttoria si svolgerà col rito sommario. Le accuse sono per tutti e tre di omicidio aggravato, tentato omicidio (il colpo contro l'agente Di Chiara), sequestro di minori, furto, possesso di armi anche da guerra ed altri reati. Nell'alloggio dove i banditi si erano asserragliati con gli ostaggi, c'erano: una lupara con ancora quattro colpi a panettoni; una Franchi 7,65, una Vesta a canna lunga cai. 38 con 46 pallottole; le due pistole del Blessent (una Beretta ed una Titan 6,35) con 14 cartucce. Stamane il prof. Baima Bollone dell'istituto di medicina legale di Torino ha eseguito l'autopsia sul corpo dell'orefice. Blessent è stato ucciso da un proiettile di 7,65 che gli ha trapassato da un fianco all'altro la cassa toracica. Secondo il perito, l'uomo è morto per dissanguamento dopo circa un'ora. « Sparavano. Ci hanno impedito di raccoglierlo », spiega Battegazzorre. La salma dell'orefice sarà traslata domattina a Sparone nella Valle dell'Orco, da dove proviene la famiglia Blessent. Alle 10, ad Ivrea, il vescovo Luigi Bettazzi terrà il rito funebre nella chiesa di S. Maurizio. Oggi il figlio maggiore del Blessent, Federico (abita a Torino in piazza Galimberti 5, ma ha dichiarato che probabilmente si stabilirà ad Ivrea per curare gl'interessi della famiglia e soprattutto per seguire il fratello) studente d'ingegneria, si è recato nello studio dell'avv. Renato Chabod con lo zio Cleto. Si sono costituiti parte civile anche per conto del piccolo Dino. Ivrea è ancora sotto choc per la terribile vicenda. La gente chiede giustizia. «Una giustizia che sia soprattutto rapida», si dice in giro. Sotto la direzione di Cerasoli e del suo sostituto Gumina, si sono iniziate le indagini relative al caso, con l'interrogatorio dei testimoni. Omero Marraccini