Forse Cristina morì nella cella stremata dalla lunga prigionia

Forse Cristina morì nella cella stremata dalla lunga prigionia Depositate in tribunale le indagini dei periti Forse Cristina morì nella cella stremata dalla lunga prigionia Le vere cause del decesso rimarranno però un mistero - I periti hanno affermato che, sul piano morfologico, non è possibile precisare elementi indicativi sulla causa della morte - E' certo comunque che la costrizione della giovane portò a un grave scadimento della sua salute (Dal nostro corrispondente) Novara, 30 gennaio Come è morta Cristina Mazzotti, la studentessa rapita a Eupilio, vicino ad Erba, il 30 giugno scorso? E' stata deliberatamente uccisa dopo che i familiari avevano versato più di un miliardo o il decesso è sopravvenuto per una dose eccessiva di sonnifero? Dopo mesi di indagini gli interrogativi sono ancora senza risposta. Oggi il giudice istruttore dottor Roggero ha depositato in cancelleria la perizia che era stata affidata ai professori Luigi Baima Bollone, Ludovico Isalberti, Adalberto Malaspina, Emilio Marozzi, Italo Robetti e Paolo Yappero. Sono 140 pagine dattiloscritte nelle quali i periti hanno risposto a sei quesiti posti dal magistrato. Nel fascicolo è pure inserita la perizia ematologica effettuata dal professor Marino Borgogna. C'è subito da dire, a questo proposito, che le macchie rilevate su un coltello da cucina sequestrato a Galliate, nella abitazione di Rosa Cristiano, ultima prigione della studentessa, risultano di sangue bovino. Le altre macchie trovate sul materasso nella buca-prigione di cascina «Padreterno» a Castelletto Ticino e che si pensava fossero di sangue, sono invece di altra natura. Ma eccoci alle conclusioni dei periti sui sei quesiti. Quello riguardante la data del decesso, è piuttosto generica e non sposta minimamente quanto già si presumeva. Dicono gli esperti che gli elementi riscontrati «possono essere ritenuti in accordo con l'ipotesi di una morte avvenuta all'incirca un mese prima del ritrovamento del cadavere», cioè verso il 30 o 31 luglio. Sulle cause del decesso, «non è possibile identificare — scrivono i periti — sul piano morfologico alcun elemento indicativo nei confronti della causa mortis». La sola cosa certa è che il cadavere esaminato è quello di Cristina. Dicono gli esperti che su di esso «non sono state individuate lesioni scheletriche» il che potrebbe significare l'esclusione di una morte violenta per percosse o colpi d'arma da fuoco. D'altro canto, dicono ancora i periti, dai resti della ragazza non sono stati rilevati utili elementi istologici. Il magistrato aveva posto un quesito specifico per documentare le condizioni di vita di Cristina Mazzotti durante il mese di prigionia. «E' verosimile — hanno risposto i periti — che la costrisione della giovane, avvenuta nelle concrete condizioni del caso, abbia comportato un grave scadimento delle sue condizioni di salute generali e, tra l'altro, complicazioni broncopneumoniche, dei vasi venosi, delle vie urinarie e del canale alimentare». Potrebbe esserci in queste parole quanto basta per rinviare a giudizio per omicidio volontario i responsabili del rapimento, sotto il profilo della prevedibilità dell'evento mortale. Largo spazio è dato nelle i uaigu oyaziiu e uaiu nelle i conclusioni dei periti alle in- dagini chimico-tossicologiche Esse hanno evidenziato tracce di caffeina ed altri elementi componenti della specialità medicinale «Optalidon». Sono dati che portano ad affermare questa possibilità: «La somministrazione di una dose terapeutica 24 ore prima della morte; di dosi somministrate per più giorni oppure una dose letale o sub letale assunta alcuni giorni avanti la morte assommata ad una dose massima terminale». Aggiungono i periti nelle loro conclusioni «che gli esami hanno consentito inoltre il rilievo di altre sostanze (Diasepam e Dismetildiazepan ) le cui concentrazioni appaiono compatibili con la assunzione di dosi terapeutiche». Dicono ancora che la concomitante presenza di alcune sostanze e i rapporti di quantità appaiono indicativi di una ripetuta somministrazione del farmaco pur non escludendo la massiccia dose finale. Il deposito della perizia era ritenuto uno degli ultimi atti istruttori, ma non sembra che il giudice, dottor Roggero, abbia ancora finito il suo compito: continuano gli interrogatori di testimoni e degli imputati. Dopo i confronti e le cosiddette «ricognizioni di persona», altri ne sono ancora in programma. «Non faccio più previsioni — ha detto il magistrato — sulla conclusione dell'istruttoria. Può passare un mese, forse anche due prima chp possa passare gli atti al p.m. per la sua requisitoria». Sembra che Giuliano Angelini, il carceriere ritenuto tra i maggiori imputati, colui che più degli altri avrebbe parlato anche se dei fatti ha dato una sua versione, abbia chiesto di essere nuovamente interrogato. Pare voglia ritrattare le accuse formulate nei confronti di Antonio Giacobbe che lo «processò» in Calabria quando, in agosto, si recò per riscuotere la sua parte del riscatto. p. b. Cristina Mazzotti

Luoghi citati: Calabria, Castelletto Ticino, Erba, Eupilio, Galliate, Novara