L'avvocato convince i rapinatori alla resa di Giuseppe Mayda

L'avvocato convince i rapinatori alla resa I terribili minuti della folla tumultuante di Ivrea che voleva linciare i banditi assassini L'avvocato convince i rapinatori alla resa (Dal nostro inviato speciale) Ivrea, 30 gennaio. La porta dell'alloggio dove gli uccisori dell'orefice Claudio Blessent sono rimasti asserragliati per venti ore si apre soltanto alle 14,45, quando l'avv. Ernesto Monteverde, di Genova, che anni fa aveva difeso uno dei rapinatori, il ventinovenne Nicodemo Avenoso, in un processo per aborto, suona per due volte il campanello elettrico dell'ingresso come era stato convenuto poco prima in un colloquio telefonico. Ho accompagnato l'avv. Monteverde (che era scortato dal capo della Criminalpol di Torino, dott. Montesano) sin sulla soglia dell'appartamento e ho seguito, attraverso la porta, la sua breve concitata discussione con i banditi. Dei tre, ha parlamentato Nino Pira, che sembra essere il capo riconosciuto della banda e che ideò la tragica scorreria da Savona a Ivrea. « Siamo venuti qui soltanto per rubare — ha cominciato Pira —, la morte dell'orefice è stata una disgrazia ». « Sono accorso da Genova perché voi, per telefono, mi avete detto che eravate disposti a rilasciare gli ostaggi — ha replicato Monteverde — ora non dovete pensare ad altro. Solo così si possono sistemare le cose ». Breve silenzio; si ode lo squillo del telefono, poi lo sbattere di una porta. Voce di un bandito, in dialetto genovese: « C'è molta gente, vengono avanti ». Monteverde: « State tranquilli, vi prometto che non succede nulla ». Altra voce di un bandito: « Ma quanto ci daranno? L'ergastolo? ». Monteverde: « Non pensiamo proprio adesso a queste cose. Voi liberate questi qui, consegnateli e sistemiamo tutto. Prima di tutto... ». Voce di un bandito: «Lei ha visto, avvocato, quanta gente c'è nella strada? ». Monteverde: « Ho visto che ci sono anche centinaia di carabinieri e centinaia di poliziotti. Quelli non hanno paura di nessuno. Vi posso assicurare che vi proteggeranno. Voi consegnate queste povere creature che piangono; vi ripeto che non vi accadrà nulla ». Il colloquio dura nove minuti; poi il legale genovesecappotto verde, i bianchi capelli nel cappelluccio di loden, gli occhi brillanti dietro le lenti senza montatura, ridiscende la rampa di scale e assieme al colonnello Schettino dei carabinieri e al vice questore di Ivrea dott. Battegazzorre, sale su una « Giulia », raggiunge il palazzo di giustizia. Un breve incontro col procuratore della Repubblica dott. Cerasoli e il suo sostituto dott. Gumina; i due magistrati sono preoccupati per il rischio che l'avv. Monteverde può correre, incontrando nuovamente, assieme ai suoi colleghi Nadalini di Genova e Carlo Coniglio di Savona, i banditi che sono tuttora in possesso delle armi, tre rivoltelle automatiche (compresa la pistola calibro 6,35 che apparteneva a Claudio Blessent), un fucile a canne mozze e un sacchetto di munizioni. « Siamo venutqui — risponde Monteverde — perché vogliono parlarcivogliono servirsi di noi come intermediari. Mi assumo iocome il più anziano, tutte le responsabilità ». Dieci minuti più tardi Monteverde ritorna sul lungodoranello stabile della tragica oreficeria e sale di nuovo all'appartamento dei Blessent. Stavolta lo segue il dott. Montesano, portando in tasca la rivoltella con la pallottola in canna e una bomba lacrimogena. Il funzionario di polizia rimane appostato accanto all'alloggio; l'avvocato entra, discute ancora e infine la porta si spalanca e Monte verde ricompare tenendo per mano il piccolo Dino e spingendo avanti la commessa Quagliotti. Montesano accompagna i due ostaggi in un appartamento vicino e telefona in procura : « Sono salvi, salvi! ». Un istante dopo i banditi escono sul pianerottolo, consegnano le armi e i gioielli rubati, un valore — si dice — di 100 milioni. Sulle scale, alle urla della folla inferocita che provengono dalla strada, i malviventi esitano; pare che non vogliano più scendere. Pietro Cappello piange, gli altri due bestemmiano; sul cellulare che li trasporta al palazzo di giustizia, distante poche centinaia di metri. Nino Pira, pallidissimo e tremante sbotta in un grido terrorizzato: « Ci fanno fuori, ci fanno fuori tutti! ». Nicodemo Avenoso batte i denti, solleva i polsi stretti nelle manette, urla agli agenti: «Ma voi ci pensate alla nostra pelle? Ci vogliono morti? Mostrategli le armi! Guardate che l'avvocato ha promesso di salvarci! ». Anche in via dei Patrioti, davanti alla procura della Repubblica, c'è una folla enorme e minacciosa; a stento, una volta che il furgone cellulare è entrato nel cortile, agenti e carabinieri riescono a sbarrare l'alto e pesante cancello del palazzo. I tre banditi ammanettati sono portati in una stanzetta e subiscono l'assalto dei fotografi. « Bastardi » dice sottovoce Pira, « datemi una sigaretta ». Avenoso piange, le lacrime gli scendono fra la barba ispida, nasconde la testa nel bavero rialzato del soprabito grigio e singhiozza. E' lui il primo ad essere interrogato dal procuratore della Repubblica; non si sa come si difenda, che cosa dica sull'assassinio di Blessent e sulla folle decisione di barricarsi in casa con due ostaggi. Ma il capo d'imputazione prevedibile è molto pesante, sia per lui che per i complici: omicidio a scopo di rapina, rapina aggravata, tentato omicidio della guardia di pubblica sucurezza Di Chiara, sequestro plurimo di persona con l'aggravante di averlo compiuto al fine di assicurarsi l'impunità. Il questore di Torino dott. Musumeci si congratula con i funzionari ed agenti, poi lascia Ivrea assieme al procuratore generale Carlo Reviglio della Veneria. Parlano, in una improvvisata conferenza stampa, i protagonisti della brillante e fulminea operazione. « / banditi hanno cominciato a crollare stamane verso le 9 — dice il dott. Montesano — quando hanno capito che la loro richiesta dell'impunità non sarebbe stata soddisfatta ». Domanda — Si sa chi è il quarto complice, quello fuggito in auto? « Non tarderemo ad identificarlo, anche se i suoi complici per ora tacciono ». — Come avete fatto a fare arrivare così rapidamente gli avvocati da Genova? « E' stato un record della polizia stradale; con due velocissime staffette, una da Genova a Villanova, l'altra da Villanova a Ivrea ». — Quanti uomini sono stati mobilitati per questa tragica rapina? Risponde il colonnello Schettino: « Almeno duecento carabinieri con quasi tutti i comandanti delle stazioni del Canavese. dai marescialli di Castellamonte e di Stram¬ bino fino a quelli di Vico, S. Giorgio e Azeglio. C'era anche un reparto della Guardia di Finanza ». Una domanda ancora: — I banditi volevano uccidere? Montesano interviene: «Loro dicono che è stata una disgrazia. Potrebbe essere anche così. Uno dei malviventi teneva la pistola premuta contro i fianchi dell'orefice; può darsi che il colpo sia partito davvero pjr caso ». Un'altra domanda — Ma perché hanno scelto proprio Ivrea? C'erano già stati? Conoscevano Blessent? « No, per quanto ne sappiamo. Hanno rubato un'auto a Savona, una Renault che oggi è stata ritrovata sull'autostrada Torino-Ivrea, e sono venuti in Piemonte ». L'interrogatorio dei tre arrestati termina alle 19,30, mentre la prima neve di quest'inverno comincia a cadere sulla città. Pira, Cappello e Avenoso, sotto fortissima scorta, sono fatti salire a bordo di due « Giulie », che fendendo la folla ancora ammassata di fronte alla procura della Repubblica si dirigono a tutta velocità, con le sirene spiegate e i lampeggiatori accesi, alla volta delle Nuove di Torino. Secondo le indiscrezioni trapelate, il Pira, durante l'interrogatorio di stasera, avrebbe confessato di essere stato lui a sparare all'orefice, dicendo: « Ho gridato agli agenti che avrei ucciso gli ostaggi se non mi lasciavano andare. In quel momento tenevo per una mano il bambino, con l'altra puntavo la rivoltella alla schiena del Blessent. Lui si è forse spaventato, chinandosi all'improvviso, e un colpo mi è partito dalla pistola». Giuseppe Mayda Ivrea. Folla davanti alla Procura della Repubblica, dove sono stati tradotti i tre rapinatori (« La Stampa» E. Milone)