Si sono arresi i banditi di Ivrea Liberi e saliti i giovani ostaggi di Omero Marraccini

Si sono arresi i banditi di Ivrea Liberi e saliti i giovani ostaggi Finito dopo venti ore il tremendo incubo di una intera città Si sono arresi i banditi di Ivrea Liberi e saliti i giovani ostaggi L'ultimo atto del dramma alle 15,30 - I tre criminali, dopo un colloquio con l'avvocato Monteverde, rilasciano il bimbo (10 anni) dell'orefice assassinato e la commessa sedicenne, depongono le armi e si fanno ammanettare - Una folla esasperata tenta di assaltare il furgone che porta i rapinatori a Palazzo di Giustizia - "Lasciateli a noi, vogliamo ucciderli" - Uno dei banditi avrebbe già confessato di avere sparato al gioielliere - Sono tre giovani (un siciliano, un calabrese e un sardo) tutti residenti a Savona (Dal nostro inviato speciale) Ivrea, 30 gennaio. Sono le 15,33: l'incubo è finito a Ivrea. I banditi si arrendono. Lasciano libero il bambino cui hanno ucciso il padre e la commessa sedicenne tenuti in ostaggio ormai da 20 ore. I tre banditi sono Pietro Cappello, 29 anni, originario di Caltagirone, Nicodemo Avenoso, 29 anni, originario di Mammola (Reggio Calabria) entrambi residenti a Savona e Nino Pira, 24 anni, da Orsei (Nuoro), residente a Quiliano, in provincia di Savona. La folla rimasta a distanza, in un silenzio carico di emozioni, adesso esplode. «A morte», grida. Travolge polizia e carabinieri: «Lasciateli a noi, perché li proteggete?». Il furgone blindato della p.s., che trasporta Pietro Cappello è preso d'assalto. Grappoli di persone si attaccano alle portiere ed alle inferriate che proteggono i vetri, tempestano pugni. Le «Giulia» di scorta sono soffocate dalla marea: i conducenti fanno partire le sirene. La scena è allucinante: sarebbe sufficiente un attimo di esitazione per provocare un linciaggio. E' la volta del pulmino dei carabinieri che trasporta gli altri arrestati, Nino Pira e Nicodemo Avenoso. Si ripete la terribile scena della folla inferocita, incontrollabile. I capitani del nucleo investigativo dei carabinieri di Torino, Lotti, Sechi, Olivieri, il brigadiere La Mela, riescono a stento a bloccare le portiere. Il colonnello Schettino cade, poi riesce a riprendersi dopo aver ricevuto un pugno da un uomo che gli urla in faccia: «Bastardi, vogliamo ucciderli». La folla ormai incontrollabile insegue i due veicoli che trasportano i banditi fino alla soglia del Palazzo di Giustizia. Mentre i tre sono condotti davanti al procuratore, Giovanni Cerasoli, si ripetono scene di violenza. «A morte, lasciateli a noi». C'è chi tenta di spalancare con la forza i cancelli del tribunale: la polizia è costretta a caricare con i manganelli. Ammanettati, in una stanza del primo piano, Avenoso, Cappello e Pira ora sono spavaldi: «Bastardi, bastardi» imprecano verso la folla. La cattura dei banditi che ieri sera hanno assassinato l'orefice Claudio Blessent, 62 anni, dopo l'assalto al negozio di via Lungodora, è stata resa possibile dalla mediazione degli avvocati Ernesto Monteverde, Giuseppe Maria Nadalini, di Genova, e Carlo Coniglio, di Savona. Monteverde, decano dei penalisti del capoluogo ligule, si era messo in contatto telefonico con i tre rapinatori fin da questa notte. I malviventi, che fino all'ultimo momento non hanno voluto rivelare la loro identità, stamane avevano fatto anche i nomi di Nadalini e Coniglio. Alle 13 di oggi si credeva ancora che con i banditi fosse Carlo Grua, di Ivrea, evaso il giorno prima di Natale dalle Nuove di Torino. Per tutta la notte e stamane i genitori del ricercato erano rimasti a disposizione degli inquirenti che conducevano le trattative per la liberazione di Dino Blessnt, 10 anni, e della commessa Silvana Quagliotti, tenuti prigionieri nell'alloggio dell'orafo ucciso. Oggi, verso le 15, dopo un colloquio drammatico quando l'avvocato Monteverde è riuscito a persuadere i rapinatori a lasciare le armi (una lupara, una pistola a canna lunga calibro 38 ed una Beretta 7,65) e ad arrendersi, il bimbo rimasto orfano due volte (perse la madre, Carla Lora, nel 1969, colpita da trombosi all'età di 50 anni) e la sua compagna di prigionia si sono rifugiati fra le braccia del legale. Ad aspettare il piccolo Dino c'era, dietro la porta dell'appartamento-prigione, anche il fratello Federico, 28 anni, studente del quarto anno d'ingegneria, titolare d'un negozio a Torino in piazza Galimberti 5. Federico Blessent aveva saputo della tragedia ieri sera, dopo le 23. Per tutta la notte aveva fatto la spola fra il commissariato di Ivrea e l'oreficeria sottostante l'alloggio dove il bambino era tenuto in ostaggio. Aveva potuto parlare col fratello attraverso il citofono che dal negozio comunica con l'abitazione. «Mi sembra tranquillo — diceva — ma ce la farà? Dio mio, ce la farà?». I due fratelli, l'avv. Monteverde e Silvana Quagliotti, subito dopo la libera zione sono saliti nell'alloggio i situato al secondo piano dello stesso edificio, di proprietà I della signora Afrodite Monti. E' accorsa subito anche una parente dei Blessent, Teresa Bezzella. Il bimbo, benché provato dalla terribile vicenda (ha visto sparare al padre e ha assistito per un'ora, ieri sera, alla sua agonia, implorando inutilmente «Salvatelo, è il mio papà, vi prego »), oggi appariva in condizioni discrete. Più provata Silvana Quagliotti: «Quella sera (dice così perché ha perduto la cognizione del tempo) ho avuto tanta paura. Oggi ho capito che presto saremmo stati liberi. Temevo per il povero Dino» e accarezza il bambino. Ricostruiamo questa drammatica vicenda dagli inizi. Sono le 19,10 di giovedì. Nel negozio dell'orefice Blessent si trovano: il figlio Dino, Silvana Quagliotti, l'altra commessa Renza Cervino Boerio, che abita a Bollengo, e il vigile urbano Gerardo Alfieri, 35 an- ni, disarmato, che è entrato nell'oreficeria per ricordare al titolare che è l'ora di chiu- sura. Una serranda è già abbassata, l'altra è aperta a metà. Si ferma davanti all'oreficeria una «127» color aragosta targata To G56727 (risulterà rubata la mattina di mercoledì a Tina, sei chilometri da Ivrea, a Mario Rossetti, abitante ad Albiano). Sulla vettura ci sono quattro incappucciati. Uno resta al volante, gli altri tre compiono l'assalto. Claudio Blessent ha una prima reazione, cerca di afferrare la pistola che tiene nel cassetto («Una 6,35 che possedeva da anni — racconta il fratello, Cleto — l'aveva usata cinque anni fa, per sparare ad altri rapinatori»), i banditi però lasciano partire alcuni colpi che bucano le pareti. L'orefice e gli altri si arrendono. Gli uomini e le ragazze vengono legati con cordicelle. Gli spari sono uditi da tre sindacalisti di «Autonomia aziendale» che sono negli uffici del primo piano del palazzo: Giovanni Scanzio, il dott. Franco Sessano e Renato Borghi. Scanzio chiama subito il 113: «C'è una rapina all'oreficeria Lora» (il negozio conserva il cognome della moglie di Claudio Blessent). Dal commissariato, trecento metri di distanza, parte una «Pantera». Al volante la guardia di pubblica sicurezza Camillo Di Chiara. Con lui il brigadiere Salvatore Micco. L'equipaggio giunge davanti all'oreficeria (le saracinesche ora sono tutte abbassate) contemporaneamente ad un altro agente, Dario Leone, che è con la propria auto. Si fermano nella piazzetta Perrone. Il complice dei rapinatori, rimasto sulla «127», fugge (abbandonerà la vettura alla periferia di Ivrea, con un coltellaccio piantato sul sedile di destra e un cappuccio nero), gridando: «La polizia». Gli agenti si mettono di fronte all'edificio: «Venite fuori, non avete scampo». I banditi, attraverso una retrobottega, raggiungono l'atrio delle scale dell'edificio che guarda la piazza Perrone. Uno si presenta davanti alla porta. Impugna la pistola. Con la mano sinistra sospinge l'orefice prigioniero, cui torce un braccio dietro le spalle. Gli agenti, alla fioca luce dei lampioni, vedono che anche gli altri banditi si fanno scudo d'una ragazza (Silvana Quagliotti) e del bambino. Racconta l'agente Di Chiara: «Li avevo di fronte, a quindici metri. Uno ha intimato: "La Omero Marraccini (Continua a pagina 2 in sesta colonna) Ivrea. I tre rapinatori: da sinistra, Pietro Cappello, 29 anni, Nicodemo Avenoso, 29 anni e Nino Pira, 24 anni