Libano, questi i giorni del terrore

Libano, questi i giorni del terrore Racconto dal Paese dilaniato da una guerra civile spietata Libano, questi i giorni del terrore Beirut, 29 gennaio. Nuvole di fumo nero a Nord e a Sud di Beirut: la Quarantine e Damur. Otto giorni dopo l'ultimo assalto lanciato dai falangisti e dai loro alleati del fronte nazionale, il fuoco cova ancora nel quartiere della Quarantine, o in quanto di esso resta. La maggior parte di questa grande bidonville, situata nei pressi del porto di Beirut — dove vivevano migliaia di rifugiati curdi, palestinesi e libanesi del Sud — non è più che un'immensa distesa di macerie che, a tratti, sembra essere stata livellata. A Damur, grosso borgo da dodicimila a quindicimila abitanti (nella grande maggioranza cristiani), venti chilometri a Sud di Beirut, nemmeno una casa è rimasta intatta. Da quando le milizie progressiste e alcune unità palestinesi se ne sono impadronite, il 21 gennaio, la città è soggetta ad un saccheggio sistematico. Nei due casi, a Damur come alla Quarantine, la popolazione è scomparsa. Gli ultimi abitanti di Damur si sono uniti a quelli di Saadiyat, un villaggio situato un poco più a Sud. Da sette a diecimila persone sono state trasportate su battelli noleggiati dalle organizzazioni del fronte nazionale fino al porto di Ju-1 nieh, diventato in queste ultime settimane la capitale del Libano cristiano. I superstiti della Quarantine, circa cinquemila persone, sono stati riuniti dai falangisti e scortati sui camion dell'esercito fino alla frontiera dei quartieri Ovest di Beirut, dove sono stati presi in consegna dall'Organizzazione per la liberazione della Palestina e dal fronte progressista. Prima dell'applica." . 'ne progressiva del «cessate il fuoco», il Libano ha conosciuto i combattimenti più duri e più sanguinosi, e questo è tanto più evidente oggi che ci si abbandona in ogni campo alle violenze e alle rappresaglie più brutali. Dopo l'occupazione di Dbaye e il blocco degli altri due campi palestinesi di Tel! El Zaatar e Jisr El Bacha, forze progressiste e palestinesi hanno attaccato la regione di Damur dove, già da parecchi mesi, avevano luogo scontri sporadici. Nello stesso tempo, i falangisti portavano a termine l'accerchiamento della Quarantine, che — come i campi di Teli El Zaatar e Jisr El Bacha — dall'inizio della crisi mi- nacciava le vie d'accesso ai quartieri controllati dai falangisti. Anche Damur dominava la strada di Saida, principale via di approvvigionamento delle organizzazioni palestinesi e progressiste. Il trasferimento delle popolazioni di questi due agglomerati nelle zone controllate da ciascuna delle parti in conflitto ha confermato — se ce n'era bisogno — la divisione di fatto del paese. I principali edifici del centro di Damur sono sventrati, bucati da granate, parecchi sono crollati e, fra essi, quello della sede dei Kataeb (falangisti). Damur ha subito per tre giorni un assalto continuo dell'artiglieria. Nell'andirivieni delle ambulanze, équipes di infermieri della Croce Rossa e militari palestinesi sollevano i corpi che, sei giorni dopo la battaglia, giacciono ancora fra le rovine. Ne avrebbero contati circa duecento. Alcuni cadaveri bruciano ancora, la maggior parte delle case è stata incendiata, le altre sono rimaste in piedi perché non sono ancora state saccheggiate. Sui bordi della strada da Danur a Saida, ingombra di calcinacci e cocci, si ammucchiano pile di mobili che aspettano di essere caricate sui camion. Non ci si nasLondc più. I razziatori vengono da Beirut c anche da più lontano per servirsi. Nei frutteti che circondano l'agglomerato, centinaia di persone «raccolgono» frutta e legumi, specialità di Damur. Alcune auto sembrano schiacciate sotto il mucchio dei caschi di banane. Un fedayn armato, incaricato di mantenere l'ordine sulla strada, assiste al saccheggio. Si rifiuta di dare qualsiasi spiegazione, e ci dice solamente: «Vi assicuro che questo non si può evitare». Quando gli si fa notare che Kamal Jumblatt, leader del fronte progressista, ha condannato vivacemente il saccheggio di Damur, lui aggiunge: «Evidentemente, alla Quarantine non c'è stato saccheggio perché non c'era niente da saccheggiare. Gli abitanti erano troppo poveri». In un villaggio di montagna a qualche chilometro da qui, i rifugiati di Damur affermano di essere stati testimoni di numerose estorsioni durante la presa della città. Un vecchio che non i ha potuto fuggire racconta di i avere visto «un gruppo di quat¬ o o o i e r , i i o i a a e a i e i . c o tro giovani sospettati eli essere falangisti e mitragliali a bruciapelo». Una ragazza ferita da numerose schegge alla gamba afferma che le sue sorelle, di 14 e 17 anni, di cui non ha più avuto notizie, sono state violentate. Altri testimoni raccontano che morti e feriti sono stati mutilali. Sulla riva del mare, all'uscita | Sud di Beirut, la maggior parte dei 4000 rifugiati della Quarantine sono stati provvisoriamente sistemati nei bungalows di due spiagge private, un tempo frequentate dalla società-bene di Beirut. Decine di donne fanno la coda davanti a uno sportello dove si distribuisce latte per i bambini. Questi giocano sulla sabbia con palloni, salvagenli, maschere da immersione c altri oggetti trovati nelle cabine dei bagni. Più lontano, si distribuiscono buoni-pasto scritti su biglietti per lo sci nautico. Tutta questa gente è arrivata senza alcun bagaglio e quasi i due terzi delle famiglie sono prive di parecchi componenti: marito, genitori, o bambini. Si sentono qui le stesse accuse. Sdraiato su una poltrona, per coperta un materassino pneumatico sgonfio, un vecchio riferisce gli ultimi momenti della battaglia: «l falangisti avanzavano casa per casa. Ci elicevano eli uscire, poi lanciavano una granata o un razzo dalla finestra. Tutto bruciava. Mio figlio è stato ucciso così, perché spesso restava della gente all'interno. Poi, ci hanno spinti verso un posto elove eravamo tutti radunali, gli uomini eia una parte. le donne deill'altra. Durante il tragitto, la genie correva da tutte le parti: molli sono stati feriti o uccisi. Ho visto uit bimbo piccolissimo cadere morto vicino a me. Prima, mi allevano preso il denaro, duecento lire e l'orologio». La maggior parte dei rifugiati afferma di essere stala spogliata nello slesso modo. Una giovane piange, ripetendo senza tregua: «Non voglio più ricordare ciò che ho visto». Quattro dei suoi figli sono morti, altri due sono dispersi. «Perché hanno ucciso i miei figli? — dice — Non erano combattenti. In ogni caso, da tempo non c'erano più munizioni». Un militare conferma e aggiunge che per tutta la notte precedente l'attacco, il quartiere è stato bombardato senza tregua, e che i soldati dell'esercito libanese intervenivano a fianco dei falangisti. Continua: «Accerchiati da Ire giorni, non potevamo più difendere il quartiere. Molti miei amici hanno allora tentato di raggiungere Nabaa, un quartiere vicino, anch'esso difeso dai guerriglieri progressisti. Non si pensava che i falangisti avrebbero agito in quel modo, lo ho potuto sfuggirgli fingendomi morto; ìòi strisciando fra i morti...». Una ragazza fa vedere il collo e tende i polsi: «Mi hanno preso tutti i gioielli, sono riuscita a tenermi soltanto un anello perché era eli rame. Poi, non so perché, hanno ucciso mio fratello maggiore elicendo che io certamente non avevo visto. Ad Achrafieh, dove ci hanno conelotti, i falangisti hanno detto che ci avrebbero interrogati. Facevano entrare le mie amiche una per volta dentro una stanza. Questo è durato molto, e anche altri falangisti entravano ridendo. Uno dei loro capi è venuto ad interrompere questi interrogatori». Precisando che imparava il francese a scuola, un'adolescente ci ha consegnato un pezzo di carta sul quale aveva scritto questo messaggio: «Non abbiamo più casa, speranza, null'altro ». Francis Cornu Copyright di « Le Monde » e per l'Italia de « La Stampa » | Tregua a Beirut dopo 9 mesi di guerra: una casa distimia, strade deserte, un uomo con le stampelle (Telefoto Ap)

Persone citate: Bacha, Francis Cornu, Kamal Jumblatt