Al Mulino di Francesco Santini

Al Mulino Nel mondo delle riviste Al Mulino Bologna, gennaio. C'è nell 'establishment rosso dell'Emilia un pesante complesso: quello di non riuscire a selezionare una classe dirigente di livello nazionale. La convinzione nasce constatando che i comunisti emiliani, nel loro partito, contano assai meno di quanto il numero degli iscritti e dei voti potrebbero far pensare. Così il pei, in Emilia, ha rinunciato ad allevare nuclei d'intellettuali ed ha abbandonato l'ideologia per la prassi. Né a Bologna gli sarebbe stato consentito di più, con il gruppo del « Mulino » che, in venticinque anni, gli ha sottratto gli ingegni migliori, attratti da un modello non stereotipato di intellettuale prò gressista che attraverso la critica alle ideologie recupera, nell'appello alla ragione, l'impegno civile, per mediare le contraddizioni sociali e politiche del suo tempo. Né la presenza di Umberto Romagnoli, professore di diritto del lavoro a Bologna e iscritto al pei, ha mai modificato la tendenza. Anzi rafforza, nell'esperimento davvero singolare del Mulino, la costante che per 25 anni mai ha abbandonato lo spirito dei giovani che nel 1951 si raccolsero per dar vita a quella che è oggi una delle riviste più prestigiose nel panorama politico-culturale del paese: la volontà dell'intellettuale di autogestire il proprio lavoro, nella convinzione che dal confronto di tesi e di tradizioni diverse nasce la capacità di intendere la realtà in movimento e i perché profondi dei fatti. Pietro Scoppola, che dal 74 ha sostituito Nicola Matteucci nella direzione della rivista, insiste su quest'esigenza. L'apporto di Romagnoli, accanto a quello di Andreatta, di Alberoni, di Raimondi, di Pedrazzi, di Mancini, di Prodi, di Giugni, di Elia e degli altri cinquanta soci altrettanto significativi, è visto in funzione del « confronto » sul terreno culturale « al di là degli slogans: non al servizio di tesi precostituite ma per verificare, nel dibattito, quali siano i contenuti culturali delle proposte che non appaiono di schieramento ». « Il Mulino — dice Scoppola — non è al servizio di una tesi ma vuole guardare dentro, sezionare le proposte politiche, per scoprirne i contenuti culturali ». Redattore capo della rivista è Luigi Lavato. Ha in preparazione il numero 243. Ha davanti a sé l'articolo di Scoppola, del cattolico impegnato che avverte la necessità di un discorso più politico, per il recupero, sul piano del ripensamento storico, delle tradizioni delle grandi forze popolari italiane e commenta: « E' un intervento importante, ma sempre nello spirito del Mulino, dell'articolo 2 dell'associazione che è privata, e non ha fini di lucro ». Il cemento tra gli intellettuali del Mulino è il comune impegno democratico. « Essi sanno — e lo dice lo statuto — che la soluzione dei problemi sociali e politici del nostro tempo impegna in primo luogo le responsabilità delle autorità pubbliche e delle forze politiche organizzate; ma giudicano che in una democrazia pluralistica sia altresì importante il contributo di studio e di formazione che può essere portato alla società e all'opinione pubblica da parte di gruppi indipendenti ». Così il vero patrimonio del Mulino appaiono i suoi stessi soci che cominciarono a riunirsi per respingere i condizionamenti degli Anni Cinquanta, e avviare uno strumento teso alla modernizzazione del paese con la promozione dello studio delle scienze sociali in Italia. E' il programma che i redattori enunciano nel '57, dopo cinque anni di lavoro di una generazione che sa di essere la prima del dopoguerra « a preoccuparsi di far uscire il paese da "una cultura nazionale ", oggi inesistente come tale, dal momento che si danno solo piccole chiese ». Sono intellettuali che dichiarano il proprio interesse per lo Stato democratico, con i suoi problemi di funzionamento, di sviluppo, di impostazione giuridica e di efficienza tecnica. Si importa in Italia la sociologia americana, si avvia l'attività editoriale. E Lavato cita una pubblicazione emblematica, all'insegna del Mulino, la teoria della letteratura di WellekWarren. « Voleva dire — ricorda — andare contro la tradizione critico-letteraria di stampo crociano, scoprire nuovi parametri di giudizio togliere Croce dal mito che aveva chiuso l'Italia in una dimensione provinciale ». Comincia l'attività editoriale, con l'impegno di scoprire, nella ricerca di voci diverse, contributi nuovi e singolari. Ed è anche questo, forse, il segreto del successo di una « piccola » casa editrice che nel dibattito tra uomini di estrazione diversa riesce a captare con grande anticipo le linee di sviluppo degli interessi culturali destinati a divenire domanda sul mercato, accumulando titoli ed autori in catalogo. Francesco Santini

Luoghi citati: Bologna, Emilia, Italia