Costruttore di ponti di Lorenzo Mondo

Costruttore di ponti Costruttore di ponti Paolo Barbaro: « Le pietre, l'amore », Ed. Mondadori, pagi 192, lire 3.500. Paolo Barbaro è noni de piume, nasconde, non per estetismo ma pei- riserbo, l'identità di un ingegnere veneto che, prima di questo, ha già scritto due libri, legati sempre alla sua esperienza di costruttore di ponti, di strade, di tunnel. Non li ho letti, ma questo non mi impedisce di apprezzare la grana insolita dell'ultimo romanzo: dove non attirano soltanto i contenuti e i nomi nuovi di cose nuove, il ruvido ingresso di un « dilettante », di un uomo « mechanico » tra le nostre congreghe letterarie, ma l'andamento stesso della scrittura, che ha la pacatezza e insieme il calore nascosto, nidiaceo, di quelle pietre verso le quali l'autore manifesta tanta confidenza Le pietre, l'amore lo si racconta in tre parole, ma non si finisce poi di estrarne significati. E' la vita nomade del costruttore, il suo fare e disfare cantieri sulle alte valli montane, quasi il corrispettivo « laico » del gettatore di volte e del maestro scalpellino che disseminavano di cattedrali l'Europa medioevalc. Un gruppo di uomini, assistiti dalla scienza e dalla tecnica — calcoli progettuali e pale meccaniche — imbriglia le montagne, le fora e le scavalca, in cospetto di una natura che, a quelle altezze, fa sentire ancora la sua voce autorevole. E' un'esistenza dura, ascetica, punteggiata di drammatici infortuni; tanto più inebria la vacanza, la rapida corsa in paese o in città a cercare il calore di una donna, anche soltanto a barattar parole, a confrontarsi con quest'altro elemento estroso ed etereo dell'universo. Quando non siano loro stesse, magiche apparizioni, a salire in cantiere, con stivali e casco; ma troppo simili all'uomo nella frenesia del lavoro, nella sicura determinazione e, proprio per questo, ancora più aliene. Nel libro di Barbaro, ci sono profili di donne graffiti con molta grazia, tra il sorriso e la malinconia: umili, piegate dalla fatica oppure vittoriose e altere, bistrate talora dal disinganno. Ma torniamo alle pietre. Ci sono quelle lavorate dall'uomo, frantumate, amalgamate, riplasmate. Barbaro, con la competenza e il gusto del lavoro manuale che si è perso non soltanto in letteratura, ce ne fa sentire la vita nascosta: « ...ogni ponte clic si rispetti ha la sua struttura precisa e il suo comportamento individuale perché è nato per un certo punto della valle e solo per quello: pensato, adattalo, inchiodato nel buco esatto in cui deve incastrarsi... Però tutti, uguali o diversi, a un certo punto si tendono, si impuntano, perfino si alzano o s'abbassano, nel lo sforzo che devono sopportare: quello di tenere su la strada, e la tua macchina che passa ». Tuttavia in questa prosa chiara, definitoria, « politecnica » c'è spazio anche per le inquietudini, le domande senza risposta. Il tecnico non può limitarsi a un confronto astratto, ad una gara solitaria con la roccia friabile o con il cemento armato. Il mito, anche nell'atmosfera più rarefatta, è insidiato dall'urgere delle realtà sociali, dal pungolo delle verità morali. La montagna si spopola e non ha più bisogno di certe opere, le nuove tecniche di costruzione a elementi prefabbricati rendono il lavoro sempre più « impersonale », la naturale saturazione umilia il pioniere alla routine della manutenzione. I pensieri si prolungano e si ramificano, indugiano, senza rimpianti passatisti, sul significato di una natura che l'uomo ferisce e violenta, protraendo stoltamente un antagonismo superato, quando occorrerebbero invece prudenti approcci, cure solidali. Anche le pietre non lavorate sono vive; lo sa il geologo che avverte i crepitii, i tonfi, le spaccature profonde, i moti torpidi del gigante, le lotte strenue e silenziose delle pietraie al confine con il regno vegetale, con gli aggressivi licheni. « E' bello guardare un uomo che amiamo, o semplicemente un uomo, mentre va su tra le pietre: che sono tutte per strada anche loro, ora sappiamo: mai ferme, se Dio vuole. Instabili, in difficoltà, in crescita, in malattia, in decadenza, senza pace come noi». Sono tra le pagine più ferme di questo libro così amabile (appena gli nuoce qualche lentezza e l'uso incerto, ad ogni capitolo, d'una sezione in corsivo: che vale, mi sembra, a dilatare certi temi, in modo anche più soggettivo, senza turbare il controllato disegno narrativo). Barbaro sa bene che forse è fatale per l'uomo « distruggere » il mondo, trasformarlo; lo turba il fatto che tutto ormai sembri piegarsi alla legge del profitto, tutto venga operato senza speranza di durata, dmidcfnnasdntssi di eternità, come quel vecchio muro montanaro che resiste, indistruttibile, alla demolizione del cantiere e fa voglia di carezzarlo. « Niente più vien fatto con quest'idea: né chiese né case né centrali né amore né altro ». Ecco, il lavoro, gli affetti, le pietre, l'amore, tutto si salda al fuoco centrale di un desiderio di sopravvivenza, del non morire: « La possibile eternità — può darsi anche questo, non si sa mai — proprio dei nostri muri come delle nostre anime: magari in qualche impasto secondario, dimenticato. In barba a tutti i calcolatori del mondo, che azzeccano i logaritmi ma sbagliano le somni : Dobbiamo sperare nell'errore, accontentarci di questa mezza ironia, ai nostri tempi ». Scrivere romanzi come operette morali, per l'ingegner Barbaro, è un altro modo di rispondere alla grande scommessa, r mm . Lorenzo Mondo

Persone citate: Barbaro, Paolo Barbaro

Luoghi citati: Europa