Le Regioni: fare rispettare la nuova legge per i medici di Franco Giliberto

Le Regioni: fare rispettare la nuova legge per i medici Un documento unitario al convegno di Napoli Le Regioni: fare rispettare la nuova legge per i medici Ammesse alcune eccezioni, che, comunque, non violerebbero la norma fondamentale che obbliga il medico a scegliere tra clinica e ospedale - Più aspre le polemiche (Dal nostro inviato speciale) Napoli, 27 gennaio. Importante, e non da tutti previsto, fatto politico a Napoli. Gli assessori regionali alla Sanità — democristiani, comunisti, socialisti, socialdemocratici — si sono trovati d'accordo sulla linea di condotta da adottare in tema di assistenza ospedaliera, case di cura private, esercizio della libera professione medica. Alla seconda giornata del loro convegno, i rappresentanti di tutte le Regioni italiane hanno approvato all'unanimità un documento che indica scelte comuni. Per la prima volta, dopo tante polemiche sui medici e sul loro «doppio lavoro», da Napoli giunge un pronunciamento di pubblici amministratori, che dovrebbe far pensare a uniformità di azioni in tutta Italia. La riunione si è chiusa con l'impegno degli assessori regionali alla Sanità di ritrovarsi a Bologna a fine febbraio. Si vuole stabilire la prassi di convegni periodici sui problemi assistenziali del Paese. Anche questa innovazione di metodo è importante dal punto di vista politico. Dopo aver registrato gli interventi dei vari assessori e dei rappresentanti sindacali dei medici, ieri avevamo descritto a grandi linee le immaginabili conclusioni del convegno. Il documento finale conferma quelle previsioni scendendo nei dettagli. Eccone la sintesi: 1) gli assessori hanno ribadito la loro indisponibilità, sia giuridica che politica, per ogni ipotesi di slittamento del divieto ai medici di lavorare contemporaneamente in casa di cura privata e in ospedale; il divieto deve essere rispettato — scrivono gli assessori — anche dai medici universitari, compresi quelli che lavorano nei policlinici direttamente gestiti dall'Università; 2) nelle regioni in cui le case di cura private risultino indispensabili a garantire adeguati livelli di assistenza, il divieto ai medici ospedalieri di lavorarvi potrebbe creare difficoltà; in via del tutto eccezionale e transitoria — so stengono gli assessori — l'ospedale potrà integrare l'attività della struttura privata con proprio personale a tempo pieno. Questo vuol dire: medici ospedalieri in prestito alle case di cura private se queste ultime con i loro organici non saranno in grado di fornire un'assistenza ritenuta indispensabile, zona per zo na; 3) il problema dell'esercizio della libera professione nell'ambito degli ospedali, previsto dalla legge, va considera to alla luce della definizione che si deve dare della libera professione stessa: sarà tale — dicono gli assessori — soltanto se esiste una precisa scelta individuale del malato. Le Regioni si sono, comunque, impegnate a una ristrutturazione degli ospedali — si legge nel documento — che per ora consenta ampio spazio all'attività ambulatoriale; per i ricoveri a pagamento di malati che chiedono di essere curati da un medico o da un chirurgo di loro fiducia «le Regioni si dichiarano disponibili ad esaminare nelle singole realtà territoriali l'attuazione e la disciplina di tale attività, anche in rapporto con le reali esigenze dell'assistenza ospedaliera»; 4) si legge ancora nel documento degli assessori che in alcune zone del Paese potranno esserci particolari iniziative regionali che consentano «l'esercizio da parte del cittadino della libera scelta del medico, utilizzando transitoriamente ed eccezionalmente anche la struttura privata, con l'adozione di meccanismi di gestione e di controllo da parte dell'ente pubblico e nell'ambito della disciplina contrattuale». Quest'ultima affermazione ha alcuni risvolti clamorosi: non sottolinea più la figura del medico libero professionista, ma quella del cittadino «Ubero utente», il quale va a ricoverarsi dove gli pare — poniamo — anche in casa di cura privata e poi chiede di essere curato da un chirurgo dipendente ospedaliero, e, soltanto dopo questa richiesta, il chirurgo è autorizzato ad assisterlo, col permesso e con le tariffe dell'ospedale. Intorno a queste linee di tendenza emerse dal convegno di Napoli è facile prevedere un rinfocolarsi delle polemiche tra gran parte dei medici e i politici. Lo stesso documento unitario degli assessori non è stato un parto facile. Quando oggi, verso le 13, si è aperta la discussione fra i partecipanti alla riunione nell'aula del Consiglio provinciale, una ventina di giornalisti sono stati invitati a uscire. Non sono servite a nulla le proteste. I contrasti fra pubblici amministratori delle varie Regioni non dovevano essere registrati? I croni. ssdvsnasbzgmgsgslpsn sti hanno avuto il tempo di sentire l'assessore alla sanità della Lombardia, dottor Rivolta, che affermava: «La stesura del documento ha un tono di durezza che non giova alla soluzione dei problemi sul tappeto. A noi bastava ribadire le nostre posizioni senza acri punte, senza dare pugni nello stomaco alla classe medica... ». Che si tratti, se non di pugni, di affermazioni in contrasto con il punto di vista di gran parte dei sanitari non ci sono dubbi. Sono contrari all'impostazione, definita punitiva per la categoria, molti primari, aiuti e assistenti ospedalieri, i medici universitari e parecchi iscritti alla stessa Anaao (Associazione nazionale aiuti e assistenti ospedalieri), che è il sindaca¬ to più progressista e più vicino — almeno negli interventi del segretario nazionale — alle tesi del documento reso noto a Napoli. A fianco di tatti questi discorsi, c'è una realtà dell'assistenza ospedaliera allucinante. Al «San Camillo» di Roma si scopre un malato che, stratagemma dopo stratagemma, è riuscito a vivere ricoverato nell'ospedale per 6 anni; oppure si denuncia che per certi esami coprologici viene fornita ai pazienti una lattina vuota di pomodori pelati, perché vi depongano (con quanta vergogna e fatica?) il reperto da analizzare. In certi ospedali di Torino di tanto in tanto i malati sono ammassati nei corridoi; a Venezia piove in certe corsie per il tetto mai riparato; in Sicilia si assumo¬ no duecento giardinieri per le aiuole dell'ospedale, mentre c'è la caccia al posto-letto di malati che sperano nella morte altrui per sdraiarsi su un materasso; a Milano e in tutte le grandi città, le prenotazioni per un banale esame clinico determinano attese di settimane e mesi. Una radiografia, che oggi le sviluppatrici possono sfornare in 90 secondi, viene data con ritardi di giorni e giorni, dopo che l'attesa del malato per «passare i raggi» ha già avuto tempi morti di 3-5 giorni almeno. Ecco il difetto, se ne ha uno, del documento degli assessori regionali: il grosso distacco fra certe realtà assistenziali e la teorizzazione tecnico - politica Franco Giliberto

Persone citate: Rivolta