Briga fisti accoltellati in cella da tre detenuti incappucciati di Alfredo Venturi

Briga fisti accoltellati in cella da tre detenuti incappucciati Aggressione nel carcere di San Vittore Briga fisti accoltellati in cella da tre detenuti incappucciati I feriti sono Pietro Morlacchi (uno dei luogotenenti di Curcio) e Gianbattista Miagostovic - Colpito anche un giovane di Lotta Comunista,* sfuggito all'aggressione l'avvocato Spazzali, fuori cella - La direzione nega che ci sia un movente politico (Dal nostro inviato speciale) Milano, 24 gennaio. Ore nove e venti, carcere di San Vittore, terzo piano del primo raggio. Tre uomini mascherati e armati di coltello irrompono in una cella: la porta è aperta per l'ora d'aria. La cella ospita normalmente quatto detenuti, tutti «politici», tutti «di sinistra». Uno di costoro, l'avvocato Sergio Spazzali, in carcere con l'accusa di aver introdotto esplosivi in Italia, per sua fortuna sta facendo la doccia al piano di sotto. Gli altri tre, i brigatisti rossi Giambattista Miagostovic, e Pietro Morlacchi, lo studente di «Lotta co-1 munista» Pasqualino Siriani, sono in questo momento in cella, e vengono brutalmente aggrediti a coltellate. Miagostovic, ventitré anni, | arrestato nell'ottobre scorso dai vigili urbani dopo un movimentato inseguimento con 1sparatoria ai giardini pubblici, cade in un lago di sangue, ripetutamente colpito al ventre. Uno degli altri due, pare il Morlacchi, che qualcuno considera il luogotenente di Curcio cerca di scappare nel corridoio: viene inseguito e colpito. Anche il Siriani viene più volte accoltellato. A questo punto i tre mascherati si allontanano nei corridoi affollati, evidentemente si liberano di cappucci e coltelli, e si mimetizzano con facilità nel formicolìo del carcere. Le guardie soccorrono i feriti, li portano tutti e tre nell'infermeria di San Vittore: ma per il Miagostovic l'infermeria non basta, sembra in condizioni gravi, lo trasferiscono all'ospedale San Carlo, entra in sala operatoria, i chirurghi devono lavorare a lungo. Siriani e Morlacchi restano nell'infermeria del carcere, il primo ferito al¬ le gambe, il secondo, molto lievemente ad un braccio. Nel carcere c'è un momento di subbuglio, e forse si teme il peggio: non sarebbe la prima volta che un simile fatto di violenza innesca la reazione a catena della rivolta. Nei cinque raggi di questa tetra fortezza milanese si diffonde immediatamente la notizia che «hanno assalito quelli delle Brigate rosse», corre anche voce che i brigatisti si sono difesi, addirittura che «hanno vinto». Arrivano a San Vittore funzionari di polizia, ufficiali dei carabinieri, il sostituto procuratore Luigi De Liguori, il giudice di sorveglianza Bruno Siclari. Li riceve il direttore del carcere, Amedeo Savoia. C'è il consueto riserbo, appena incrinato da una messa a punto ufficiosa che viene dagli ambienti della questura, dove ci si preoccupa di far sa¬ pere che non si tratta di fatto politico. Si ricorda che i «politici» di colore opposto rispetto a quello dei detenuti feriti, cioè i fascisti, sono in tutt'altro raggio. Dunque i «rossi» non sono stati colpiti in quanto tali? Veramente sì, secondo l'ipotesi ufficiosa, ma soltanto nel senso che la loro presenza, i loro tentativi di politicizzazione del problema carcerario, la loro militanza dietro le sbarre, insomma, darebbe fastidio a quei detenuti «comuni» che, a San Vittore come nell'intero universo carcerario nazionale, hanno organizzato, un sistema di potere mafioso. Un sistema che, proponendosi di gestire dall'interno la condizione carceraria con un meccanismo di lucrosi pedaggi, di favori a pagamento, magari di garanzia disciplinare, fa evidentemente a pugni col proposito dei militanti di estrema sinistra di presentare il problema della detenzione come problema politico, e di respingere mafie e corruzioni interne. Davanti agli inquirenti c'è ora il grosso problema di identificare i tre aggressori. Secondo la citata ipotesi ufficiosa, si tratta di tre detenuti comuni, tre dei quaranta che in quel momento si trovavano al primo raggio, che avrebbero agito in nome e per conto delle «cosche» interne, per dare una lezione a quei rompiscatole che buttano tutto in politica. Pare certo, del resto, che i tre killers (proprio killers vanno chiamati, perché la loro intenzione di uccidere era manifesta) non sono entrati a San Vittore dall'ester- Alfredo Venturi (Continua a pagina 2 in ottava colonna) 1

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