Cinquanta milioni di metri quadri di Marziano Bernardi

Cinquanta milioni di metri quadri Cinquanta milioni di metri quadri Una stupenda fascia di memorie storiche Il progetto della Regione per una cintura di verde attorno alla città costituirà anche un incentivo alla "cultura" del cittadino Il grandioso progetto della Regione Piemonte consistente nel dotare Torino d'una fascia di cinquanta milioni di metri quadrati di «verde» godibile — come immenso «serbatolo» di beni ambientali e culturali — dai cittadini e dagli abitanti del territorio limitrofo, già è stato illustrato l'altro giorno da La Stampa in occasione del convegno durante il quale, in una sala del Museo Cavouriano di Santena, il presidente della giunta regionale Aldo Viglione ha ufficialmente annunziato l'intervento della Regione nella gestione del castello, del parco e del museo, finora amministrati dalla città di Torino e dalla «Fondazione Camillo Cavour» in seguito al lascito del marchese Giovanni Visconti Venosta (1946) ed alla costituzione (1955) della Fondazione per volontà della marchesa Margherita Visconti Venosta. Si parte dunque da Santena per organizzare questa immensa fascia «ambientale-culturale» che dovrà comprendere oltre venti milioni di metri quadrati della tenuta di La Mandria, circa sedici dei terreni di Stupinigi, uno e mezzo delle Vallere, gli altri sul declivio della collina. Si parte — secondo i dati forniti dall'articolo di Domenico Garbarino — da questi 350 mila metri quadrati del meraviglioso parco e delle aree annesse al castello, a! museo, alla severa cripta funeraria dove riposa il sommo statista tra le salme dei suoi familiari, per costituire un percorso che non è soltanto una stupenda cintura di «verde» propizio alla salute, al riposo, allo svago nel tempo libero, di centinaia di migliaia di persone condannate a vivere nel cemento e nello smog, ma è un eccezionale incentivo alla cultura del cittadino medio non nutrito di particolari studi, in quanto questa cintura è costellata di edifici, monumenti e memorie Illustri. Il progetto, la cui attuazione richiede evidentemente tempi lunghi, si che occorre fin d'ora frenare le impazienze, si basa sulla nuova concezione urbanistica e politica del rapporto Inscindibile tra città e territorio, un rapporto che si può estendere al concetto museo-città, monumento ed educazione di massa, da vitalizzare con una Istruzione che deve cominciare nella scuola primaria Ma vorremmo anche aggiungere che — ne siano o no coscienti i suoi benemeriti fautori — in questo progetto s'ha da ravvisare un bellissimo ricupero storico che straordinariamente lo avvaloraquasi si tratti del rinnovarsi, dopo una lunga sterile pausa, di una «vocazione» civica tipicamente torinese. Questa vocazione, In una società tutta basata sulla gerarchia del potere e della ricchezza, toccava naturalmente il suo culmine più vistoso nell'arbitrio della sovranità assoluta; e di conseguenza nell'arco di oltre due secoli sorsero nei dintorni della capitale sabauda quei «palazzi di piacere e di caccia» — dal Parco a Miraflores, dalla Venaria a Stupinigi — dove la corte con la maggior frequenza possibile celebrava i suoi riti mondani. Ma la medesima vocazione, più modesta ed infinitamente più diffusa, spingeva l'intera cittadinanza torinese ad ambire al possesso di una villa o cascina nella pianura circostante, o di una «vigna» sulla prossima amena collina, allora denominata «montagna». Cascine e vigne Quando, Infatti, l'architetto Gio. L. Amedeo Grossi tra II 1790 e II '91 pubblicò i suoi due famosi volumi, Guida alle cascine e vigne del territorio di Torino e suoi contorni, e Guida alle ville e vigne del territorio di Torino e contorni, soltanto sulla collina tra San Mauro e Moncalleri censì ben 421 ville o « vigne ». Ed erano di più, considerando il quadrilatero collinare compreso tra Chlvasso, Moncalierl, Baldissero, come ha fatto la valente studiosa Elisa Gribaudl Rossi nella sua recentissima esemplare opera Ville e vigne della collina torinese, due volumi che seguono quello Cascine e ville della pianura torinese (tutti e tre editi da « Le Bouquiniste » di Torino). In rapporto con la popolazione torinese che nel 1791 contava 94.489 anime, il numero di questi edifici collinari è sorprendente, è la dimostrazione di quanto vivo e vasto fosse il desiderio del torinesi di rifugiarsi tra II verde a due passi dalla città non appena le loro faccende lo consentivano, e di farvi poi lunghe soste nella piena estate. Tanto vivo e vasto questo desiderio che quando da Torino assediata nel 1706 si vide « dévorer par le feti plus de centcinquante de nos maisons de plalsance » (è la triste testimonianza del Journal Historique du siège, del conte Solare della Margarita, comandante dell'artiglieria della piazzaforte; e dal canto suo il Diario del Soler! pubblicato da Dina Rebaudengo annota: « Lì francesi hanno continuato ad abrrgtare Vigne sopra li monti »), il proposito immediato del possessori che piangevano di rabbia vedendo quel roghi, fu la ricostruzione dopo la fine delle ostilità. Una vocazione Eppure molti di quei circa quattrocento proprietari non erano ricchi, e non appartenevano all'aristocrazia torinese. Tra essi si contavano 49 mercanti ed artigiani, 34 uomini di legge, 24 burocrati, 11 impiegati al Regio Servizio, 14 militari, 6 medici, 6 musici, 29 religiosi, vari pittori, scultori, argentieri, orologiai: un complesso sociale assai misto, tale da giustificare quanto scrive la Gribaudi Rossi: « L'ambizione di possedere la vigna, non frenata dalla poca disponibilità di denaro liquido, mise parecchi cittadini in gravi difficoltà... CI tu chi dovette disfarsi in pochi mesi del prezioso bene faticosamente raggiunto; ma c'era chi, ritrovandosi quattro soldi in tasca, si affrettava a rinnovare il sogno... ». So ritorniamo con la memoria ad una situazione del passato non è perché si debba attendere una sua restaurazione dalla Regione. Ma semplicemente per Indicare come questa, mutatis mutandls, sia sulla via di un vero e proprio « ricupero » spirituale: ricostituire cioè il godimento, esteso a una collettività enormemente col tempo dilatatasi, di un bene ambientale e culturale, che costituiva, già In secoli trascorsi, quella che abbiamo detto una « vocazione » torinese, forse più sentita tra Superga e la Sagra di S. Michele che altrove. E' un programma, ripetiamo, non di « medio termine » ma di termine lunghissimo. Tuttavia occorre che il principio della sua attuazione si manifesti subito non con parole bensì con segni concreti. Riferendoci a Santena vi sono provvedimenti da prendere Immediatamente. La custodia del mirabile castello ricostruito nel Settecento da Carlo Ottavio Benso conte di Santena, del parco, del Museo Cavouriano, è presentemente affidata ad una sola persona, il signor Nano (un colosso malgrado il suo nome), e a un cane da guardia; e sia nel castello che nel museo la vigilanza esige un numero adeguato di custodi. Il museo stesso, ideato dalla compianta Maria Avetta, splendidamente realizzato nel 1961 da Vittorio Viale e da Maria Grazia Daprà Conti nel fabbricato rustico dipendente dal castello, è attualmente privo di direttore: non bisogna tardare a nominarlo. Quanto alla fruizione del « verde » di La Mandria, il problema non può essere dissociato dalla fruizione del castello di Venaria Reale e quindi dal suo restauro. E' un chiodo su cui battiamo da anni. Speriamo che riesca a forare le più dure resistenze. Marziano Bernardi